L'evento che si celebra oggi in Vaticano, «l'invocazione per la pace» alla quale papa Francesco ha invitato i presidenti Shimon Peres e Mahmud Abbas (Abu Mazen), fa seguito all'anniversario di uno dei più significativi momenti di svolta della seconda guerra mondiale, lo "sbarco in Normandia". E, al di là delle coincidenze, c'è di che riflettere. Sulla spiaggia di "Sword", uno dei cinque punti dello sbarco alleato contro la Festung (fortezza) Europa hitleriana, capi di stato e di governo hanno ricordato una battaglia aspra e sanguinosa, che accelerò il crollo della Germania nazista e aprì la strada alla fine della guerra mondiale.
Sembra che l'incontro di Putin con i suoi omologhi occidentali, come pure con il neo presidente ucraino Poroshenko, possa preludere all'apertura di strade di pace in quell'Ucraina orientale in cui sono ancora in corso combattimenti. Questa luce di speranza sulla vicenda ucraina si è accesa nel giorno della memoria di una guerra che ha travolto l'Europa e il mondo più di settant'anni fa. La memoria storica tocca, coinvolge, cambia. Certamente può riaccendere qualcosa di sopito, avvelenare le relazioni tra gli uomini e i popoli. Ma può anche far rientrare in se stessi, ricordare il dolore della guerra, permettere incontri e collaborazioni prima impensabili. La memoria concorde di oggi suscita nuove speranze di pace, non può essere esaltazione bellicistica.
L'Europa, che nemmeno due anni fa ha giustamente ricevuto il Nobel per la pace, sa da dove viene la pace di cui tutti oggi godiamo. Dalla scelta forte (mai rimessa in discussione) di non dimenticare più l'orrore della guerra mondiale, lo scenario di contrapposizione in cui si sono dilaniati popoli ora fratelli, il razzismo istituzionalizzato che ha annientato, con la Shoah, il popolo ebraico, parte integrante del tessuto continentale. La nostra Europa pacifica nasce dalla memoria. Una memoria che si fa richiamo a vigilare sulle purtroppo ancora ricorrenti manifestazioni di disprezzo e di razzismo, e sostenere le energie d'inclusione e di solidarietà che esprimono il me - glio dei nostri Paesi.
La memoria è promessa cosciente, è impegno e speranza per il presente e per il futuro. Di qui il legame con l'iniziativa voluta dal Papa. Un incontro nel nome di Dio. Perché il nome di Dio è la pace: per tutte le religioni abramitiche. Un incontro di preghiera, laddove tante iniziative politiche hanno fallito. Tanto Peres quanto Abbas saranno chiamati a una memoria (non rabbiosa, non vendicativa) del dolore e dei lutti seminati da decenni di conflitto arabo-israeliano in quella terra, resa santa dal passaggio di profeti venerati dalle religioni monoteistiche. La preghiera di oggi si nutrirà di memoria, ma non sarà incatenata da essa. Il sangue versato, i tanti caduti per una strada senza uscita suggeriranno, infatti, l'unica exitstrategy p ossibile: l'accordo e finalmente la pace.
Il Medio Oriente ha bisogno di cambiamento, come ha ripetuto il Papa nel suo recente pellegrinaggio. Francesco ha invitato tutti gli attori della regione a guardare avanti. Uno sguardo sostenuto dalla fede. Dalla memoria del sacrificio di troppe generazioni sorge l'impegno a dire "Mai più!". Dalla consapevolezza che «chi dimentica il passato è condannato a riviverlo», come ricordava Primo Levi, nasce la volontà di cambiare scelte e percorsi.
L'iniziativa papale si fa "levatrice" di un tempo nuovo, di responsabilità, di un'umanità che rinasce dalla memoria e dalla preghiera. «La preghiera può tutto », ha twittato il Papa. Che la giornata di oggi sia il tempo di un nuovo sbarco, non più armato, ma pacifico, nei territori dell'intesa e della riconciliazione. Ci auguriamo sia un nuovo D-Day, un giorno che chi verrà dopo di noi possa celebrare come l'inizio del crollo della fortezza della contrapposizione e dell'odio in quelle terre così care alle religioni abramitiche.