A Buenos Aires, Bergoglio amava andare a celebrare la messa nelle cappelle delle villas miseria, in mezzo ai diseredati di quella grande città globale. Per questo la visita agli emarginati di Roma, a cui da decenni si dedica con encomiabile passione la Comunità di Sant’Egidio, è suonata alle orecchie del Pontefice come un ritorno a casa. Un gesto famigliare. Traspariva dalla tenerezza dei gesti e dei sorrisi: perfettamente a suo agio, Bergoglio sa che è da questi uomini e da queste donne che occorre sempre ricominciare. Si potrebbe arrivare a dire che, per capire questo Papa e il suo modo di intendere l’autorità non si può che partire da qui.
Tuttavia, è lecito porsi delle domande: se non è un atto puramente formale, qualcosa che si deve fare per mille motivi più o meno condivisibili, perché Bergoglio abbraccia i poveri? E poi una visita come questa non rischia di lasciare il tempo che trova. Ci sono almeno tre piani che un gesto come quello del Papa mette in movimento. Il primo è quello comunicativo. Da un lato, la visita del Papa attira l’attenzione su coloro che si trovano in questa condizione — e che sono sempre di più, in un mondo continuamente messo a soqquadro da guerre, trasformazioni climatiche, mutamenti culturali —, confermando al tempo stesso a tutti quelli che si trovano in difficoltà che non sono e non saranno dimenticati. In un mondo in cui sembra esistere solo ciò che entra nel circuito mediatico e nel quale non riusciamo più nemmeno a percepire la sofferenza umana che esiste attorno a noi, in un mondo dove alla fine ciò che si afferma è la «globalizzazione dell’indifferenza», non è poco.
Il secondo piano è quello della rigenerazione della coscienza personale e istituzionale. L’esposizione diretta a chi è in condizione di povertà aiuta a rimettere in discussione le priorità di quello che si fa. Fermarsi, parlare, toccare e farsi toccare dal povero ci aiuta a non dimenticare, come invece ci capita spesso, che il fine di ciò che facciamo non può che essere l’uomo.
Il terzo piano è quello dell’azione, che di conseguenza dovrà venire.Anche se nessuno è in grado da solo di risolvere gli enormi problemi umani e sociali in cui siamo immersi, è però possibile rinnovare la determinazione personale e istituzionale ad andare nella direzione di una maggiore giustizia. Superando gli indugi e le difficoltà che s’incontrano sul cammino.
L’aspetto sorprendente è che una tale idea di autorità — la stessa per cui Francesco ha rifiutato l’appartamento papale per vivere a Santa Marta — trova oggi imprevedibili echi nel mondo politico: da José Mujica, il presidente dell’Uruguay, amatissimo dal suo popolo, che vive in condizione molto modeste ad Andrej Kiska, il neoeletto presidente slovacco che ha invitato alla festa per il suo insediamento i senzatetto e gli emarginati, annunciando che devolverà ai poveri il suo stipendio. Come a dire che, nel nostro tempo, la grave crisi economica e sociale, assieme a una più evoluta coscienza morale, sembra sollecitare un’idea nuova d’autorità: per essere riconosciuta e legittimata, non deve mai dimenticare quello che Boltanski chiama «il principio di comune umanità». Che è poi il bene più grande che tutti gli esseri umani condividono.