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16 Giugno 2014

Papa Francesco a Sant’Egidio ascolta le testimonianze delle “periferie”

Sono stati giovani e anziani, italiani e stranieri a presentare al Papa la propria storia di sofferenza e anche di redenzione. Gli obiettivi della Comunità di Trastevere: «Pace e per la vita»

 
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Nella basilica di Santa Maria in Trastevere Papa Francesco incontra la periferia esistenziale domenica 16 giugno. Un disagio che assume molti volti, ciascuno con la sua storia. L’arcivescovo siro ortodosso, monsignor Dionisius Jean Kawak, porta «negli occhi e nel cuore, la sofferenza di un popolo ostaggio della guerra, prigioniero di una situazione bloccata. Il popolo siriano - racconta - è prigioniero del male, e prigioniere sono le tante persone rapite durante il conflitto. Il nostro metropolita Mar Gregorios Yohanna Ibrahim e il vescovo greco ortodosso Paul Yazigi. Prigionieri sono tanti sacerdoti, come padre Paolo Dall’Oglio, i padri Maher Mahfuz e Michel Kayyal, e i laici. Ringraziamo tutti coloro che continuano a pregare per loro con fede ed insistenza, come si fa in questa basilica ogni sera da più di un anno». 

Anche gli anziani vivono la loro guerra quotidiana, quella della solitudine e dello scarto delle loro energie e della loro memoria. Come racconta Irma Lombardo, di 90 anni, da 20 nella Comunità di Sant’Egidio: la risposta al senso della propria inutilità, l’ha trovata nell’occuparsi degli altri: «Ho iniziato a visitare anziani come me, ricoverati in istituto. Non avevo mai pensato a quanti sono costretti a finire i loro giorni così, lontani dalle loro case, dimenticati. La preghiera è il nostro servizio più importante. Nella preghiera anche chi è debolissimo può aiutare». 

Francesca Gregori, 12 anni, “Giovane per la pace” della Comunità di Sant’Egidio, viene dalla periferia di Roma, da Tor Bella Monaca: «Tante volte - racconta - questo significa essere giudicati in modo negativo, come se chi viene da lì, contasse di meno. Ma non è vero. Ho incontrato però una grande ingiustizia: tanti anziani lasciati soli. Uno dei nostri impegni, come Giovani per la pace, è di aiutare gli anziani e li andiamo a trovare negli istituti». 

La crisi e la disoccupazione emarginano anche i giovani come Daniel, 28 anni, e una «bellissima famiglia con tre bambine»: tutto questo potrebbe renderlo felice, se avesse un lavoro. «Vengo da un quartiere della periferia di Roma - racconta al Papa - e l’inizio della mia vita non è stato facile. Ho iniziato presto a lavorare. Ma oggi con la crisi, il lavoro non c’è, soprattutto nell’edilizia. Ci sono tante strade per avere soldi, me lo dicono in tanti, ma io non voglio. Sarei disperato se non avessi imparato da Gesù che la vita non vale per quello che faccio, ma per quello che sono». 

Anche Adriana Ciciliani, 58 anni, è ai margini, non a causa della sua disabilità, fisica e mentale, ma per la solitudine. «Quando ho perso mia madre, sono rimasta sola e credevo di morire, non solo fisicamente ma spiritualmente. La Comunità non mi ha mai abbandonato. Il vuoto si è riempito piano piano, avendo gli amici attorno. Oggi sono contenta. Nel 2009 mi sono anche sposata. La vita è bella perché è piena di amici. In questi anni - conclude - ho capito che la mia più grande malattia era la solitudine. Ma Gesù mi ha guarita». 

Branislav Savic, 30 anni, è stato messo ai margini a causa della sua etnia. “Branco” come lo chiamano gli amici, è un rom: «Sono nato e cresciuto a Roma - legge al microfono, con il figlio accanto - e per un lungo periodo ho vissuto in un campo nomadi, una grande baraccopoli fuori dalla città. A scuola ho imparato che non tutti i compagni si vogliono sedere vicino a te. Ti dicono che sei uno zingaro in maniera dispregiativa. Ho conosciuto gli amici di Sant’Egidio a cinque anni. Con loro sono stato battezzato, ho fatto la comunione e la cresima. Oggi sono una persona felice: ho una bella famiglia, lavoro come cameriere in un ristorante vicino a San Pietro, vivo in un appartamento».

Dawood Yousefi, 29 anni, è un rifugiato dell’Afghanistan, musulmano. Fa parte di un gruppo etnico, gli azara, che nel suo paese viene perseguitato. Così a 18 anni è partito per l’Italia: un viaggio pieno di pericoli, attraverso le montagne tra Iran e Turchia; poi il gommone per raggiungere la Grecia e il viaggio verso l’Italia, nascosto 35 ore tra le ruote di un camion. «Oggi sto bene, lavoro. Ho conosciuto la comunità di Sant’Egidio una sera alla stazione Ostiense dove portavano la cena per quelli che vivono per strada. Oggi proviamo a costruire la pace nelle scuole. Dove vado a parlare della mia storia, simile a quella di molti profughi». 

L’azione di Sant’Egidio nel mondo viene spesso contrastata, come racconta Jaime Aguilar, originario di El Salvador nel Centro America. In questo zone del mondo «Sant’Egidio lotta per l’affermazione della pace e della vita, proposta che si concretizza nelle tante Scuole della pace. Ma la Comunità in questi ultimi anni è stata attaccata nel suo corpo. William Quijano, un nostro amato fratello di 21 anni, è stato assassinato, era un testimone della fede, gioioso, non violento».


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