EUROPA è stanca. Ha aspettato a lungo, papa Francesco, prima di pronunciarsi sul vecchio continente e quando lo ha fatto ha ripreso un'immagine garbata, suggeritagli da un europeo. L'ha usata, infatti, Andrea Riccardi, nel corso dell'incontro del papa conia Comunità di Sant'Egidio. Tanta prudenza non è casuale. Il primo pontefice non europeo dopo moltissimi secoli non ha voluto pronunciare parole avventate su un continente così importante nella storia della Chiesa e del mondo. Siamo abituati a sentir parlare di crisi, di declino o, addirittura, di tramonto dell'Europa. Ma, in genere, sono gli europei a usare queste parole. Qualunque espressione critica, anche solo ruvida o affrettata, sulla bocca di un papa argentino avrebbe fatto pensare a una malcelata soddisfazione "terzomondista" per rapporti di forza che si stanno ribaltando. Ma non sono questi i sentimenti di Bergoglio.
Francesco è convinto che all'Europa la Chiesa debba molto e, del resto, in questo continente si trovano le sue stesse radici familiari, culturali e religiose. Ma sa che anche l'elezione di un papa proveniente, per gli europei, dalla "periferia" conferma l'esaurimento della spinta eurocentrica che ha animato per secoli l'iniziativa europea - militare e politica, culturale ed economica - nel mondo. Ora non è più così: quando va in Medio Oriente o parla di pace in Ucraina, quando si rivolge all'Asia o torna in America Latina, Francesco non incontra tale iniziativa. Ai suoi appelli per la tragedia siriana o per le violenze in Centrafrica, per la pace tra israeliani e palestinesi o per i cristiani perseguitati in Nigeria, gli europei non rispondono. E Francesco non è indifferente a tutto questo. Il papa argentino guarda alla crisi europea con preoccupazione e con speranza. Nell'incontro con la Comunità di Sant'Egidio, ha riconosciuto che l'Europa «ha rinnegato le sue radici» ma ha subito aggiunto che «dobbiamo aiutarla a ritrovarle». L'allusione al legame di tali radici con il cristianesimo è apparsa chiara, ma è rimasta implicita: è un dettaglio rivelatore dell'originalità dell'approccio di papa Francesco a un tema già presente nel pensiero cattolico degli ultimi decenni. È oggi papa un non-europeo meno severo verso l'Europa, che conosce il problema del distacco del vecchio continente dalle sue radici cristiane ma che non usa parole di condanna per questo. Per Francesco, infatti, tornare alle radici non significa rimpiangere il passato, ma chiedersi che cosa «queste radici hanno da dire al mondo di oggi» per realizzare la «grande rivoluzione» della misericordia e della tenerezza.
È il metodo del Vaticano II, che è tornato alle origini per contrastare la stanchezza depositata da secoli di continuità istituzionale e di allontanamento dagli inizi evangelici. Francesco, perciò, non ripete i lamenti usuali in molti ecclesiastici per i fenomeni di secolarizzazione diffusi in quello che una volta era il continente della" cristianità". Si interroga, piuttosto, sulle conseguenze del distacco dalle radici cristiane sulle scelte e sui comportamenti degli europei in tutti i campi. È il caso, ad esempio, dell'antisemitismo. Per Francesco, le radici dell'Europa non sono solo cristiane ma anche ebraiche, quantomeno perché «dentro ogni cristiano c'è un ebreo», come ha detto in una recente intervista. Va perciò combattuta ogni forma di antisemitismo, sentimento troppo diffuso, che «solitamente si annida meglio nelle correnti politiche di destra». A partire dalle radici profonde dell'Europa, inoltre, si sono sviluppati nei secoli i processi che hanno unificato i popoli, creando grandi Stati nazionali. Per questo Francesco critica esplicitamente le spinte secessioniste in Scozia, Catalogna e Padania. Ancora di più lo preoccupano i meccanismi di un'economia che ha dimenticato la centralità degli uomini e delle donne, cardine dell'umanesimo europeo, per sostituirla con l'Idolo del denaro". Più volte, recentemente, Francesco ha alzato la voce per denunciare lo scandalo di 75 milioni di giovani europei che non studiano e non lavorano: un'intera generazione "scartata". Con la stessa forza ha condannato anche lo "scarto" degli anziani e dei disabili. «La parola solidarietà tanti vogliono toglierla dal dizionario, perché auna certa cultura sembra una parolaccia». Aiutare l'Europa a riscoprire le sue radici, perciò, significa anzitutto riconoscere che «solidarietà è una parola cristiana» e agire di conseguenza. Occorre, ad esempio, affermare che «lo straniero è un nostro fratello da conoscere e aiutare»: accogliere questi «nuovi europei, migranti giunti dopo viaggi dolorosi e rischiosi» è infatti, secondo Francesco, decisivo per «ringiovanire» il vecchio continente.
Agostino Giovagnoli