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Il Fatto Quotidiano

29 Agosto 2016

Sant'Egidio, Daniela Pompei e la famiglia siriana a Roma da Lesbo

"Ma il gesto di Bergoglio ha smosso non solo nel mondo dei religiosi"

 
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Nour e Hasan hanno trent'anni. Lei biologa, lui agronomo e architetto, sono scappati da Damasco insieme a Riad, il loro figlio di due anni. Dalla metà di aprile vivono a Roma, dove sono atterrati il 16 aprile insieme a papa Francesco e altri nove loro connazionali sbarcati a Lesbo. Quando ha saputo la notizia del loro arrivo, una signora di Firenze ha chiamato la Comunità di Sant'Egidio e ha messo a disposizione un suo appartamento nel centro della Capitale.
ORA LA COPPIA abita in questa casa, ha ottenuto lo status di rifugiato e sperano di ricominciare a vivere, magari iscrivendosi a qualche specializzazione.
"Sono 21 i profughi siriani che il pontefice ha fatto arrivare da Lesbo", racconta Daniela Pompei, professoressa di Scienze sociali all'Università Roma Tre e responsabile per i servizi agli immigrati della Comunità di Sant'Egidio, movimento di laici fondato da Andrea Riccardi nel 1968.
I siriani sono arrivati in due tranche. I primi dodici, quelli che avevano già tutti i documenti in regola, sono
giunti ad aprile col papa e sono stati accolti da due comunità di religiose a Roma, in strutture della comunità e, come nel caso di Nour e Hasan, in un appartamento. "Sono stati riconosciuti rifugiati e hanno avuto il permesso di soggiorno per cinque anni", continua Pompei.
Nel frattempo hanno cominciato a frequentare i corsi di italiano: "Riad viene al centro di sostegno alla genitorialità che abbiamo a Trastevere. Altri bambini hanno già cominciato le scuole anche se al loro arrivo mancava poco alla fine dell'anno, ma almeno così potevano cominciare a integrarsi - prosegue -. Alcuni ex ospiti della nostra comunità, invece, si sono dati da fare per aiutare i nuovi. Ad esempio dei ragazzi hanno trovato dei corsi di judo gratuiti".
A GIUGNO, poi, sono arrivati altri nove siriani, in ritardo, ma altrettanto bisognosi di accoglienza. Lo rivelano le cicatrici sul volto e sulle mani di Qutaiba, un ingegnere trentenne che ha subito torture sia dalle forze del governo di Bashar Al Assad, che lo ritenevano una spia, sia dall'Isis. Adesso abita in un appartamento nel quartiere Monteverd e affittato per lui e per altri connazionali dalla parrocchia della Trasfigurazione e dalla Comunità di Sant'Egidio.
"Nei primi mesi, prima di arrivare all'autonomia, devono essere seguiti da vicino dai volontari", spiega la professoressa. In tutto questo il papa non si è dimenticato di loro. L'11 agosto tutti i 21 profughi sono stati invitati a pranzo nella casa Santa Marta, dove il pontefice alloggia: "Quelli che hanno già imparato a parlare italiano gli hanno raccontato le loro storie e lo hanno ringraziato". I bambini lo hanno fatto coi disegni che gli hanno regalato.
Il gesto di Bergoglio, conclude Daniela Pompei, "ha smosso nel mondo dei religiosi e dei non religiosi".


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