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2012 9月 11

Monti: "Il futuro si chiama Europa"

Il discorso improntato all'ottimismo del premier al convegno della Sant'Egidio organizzato a Sarajevo. Ricordato lo "Spirito di Assisi".

 
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“Anche nel campo economico, si sente il bisogno di sconfiggere ogni visione particolaristica e rassegnata, per acquisire una visione comune del futuro”, dice il premier  Monti intervenendo a Sarajevo al convengo “Vivere insieme è il futuro”, organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio. Il capo del Governo dei tecnici ha parlato da “uomo dell’economia”, aggiungendo che “la questione non è soltanto quella di mettere a posto i bilanci pubblici, ma di risvegliare nel Paese una voglia di crescere, di ottimismo e di fiducia nel futuro. Credo che sia particolarmente importante che anche nel cercare di risolvere le crisi troviamo formule e modalità che ci uniscano anziché dividerci”.

Ancora una volta, nella visione di Monti l’Europa ha un ruolo centrale: “I tempi che stiamo vivendo sono tempi di crisi e non solo economico finanziaria. Si tratta di una crisi più profonda di quanto si possa pensare, che mina le basi di quell'umanesimo attorno al quale è nata e si è sviluppata la costruzione europea. Popoli e nazioni che hanno deciso di mettere in comune capacità, risorse e conoscenze, per fondare una società nella quale fosse impossibile ripetere gli errori tragici del passato, sono arrivati al punto più alto del percorso di integrazione, esprimendo un mercato unico e un'unica moneta, per poi sembrare aver smarrito il senso del loro agire insieme”. Così, “l'euro, che rappresenta un fattore unificante da preservare, ha rischiato di divenire fonte di nuove divisioni, o di nuove linee di frattura, in Europa. Il senso profondo dell'azione che a livello europeo si sta compiendo non è quindi solo quello della ricerca di soluzioni tecnico politiche, ma è prima di tutto quello di uno sforzo teso a recuperare quel comune sentire, basato sui grandi valori positivi della tradizione europea, solidarietà, tolleranza, ricerca del bene comune. Questi valori devono caratterizzare il nostro agire se vogliamo che il nostro continente continui ad essere un pilastro di civiltà”.

In questo senso, secondo Monti, l'Europa deve vivere la globalizzazione, non solo senza paura, ma anzi come un'opportunità, per tornare ad occupare un posto di primo piano sulla scena mondiale. Le religioni possono giocare un ruolo importante: “In questi anni, abbiamo compreso meglio quanto siano tornate a essere una realtà importante per la coesione sociale e per la pace del mondo. La crescente globalizzazione ci pone infatti di fronte a scenari e a sfide sempre nuovi, tra le quali vedo ai primi posti la sfida dell'imparare a costruire una società che viva e si alimenti delle diversità che la globalizzazione ci impone, per divenire più unita, più ricca e più solidale”. Lo ha detto proprio a Sarajevo, “città globalizzata prima della globalizzazione”, la città della convivenza e del fallimento della convivenza. Una città dalle “memorie differenti”, ma tutte abitate dal dolore, poiché, come ha ricordato Andrea Riccardi, “il dolore di tutte le madri è uguale qualunque sia la loro etnia e la loro religione”. Lo ha detto davanti a numerosi rappresentanti di tutte le religioni del mondo, riunite a Sarajevo a vent’anni dall’avvio del più lungo assedio d’Europa e a quasi cento dalla pallottola che fece scoppiare la Prima guerra mondiale.

È qui che fa sosta dal 9 all’11 settembre lo “spirito di Assisi”. Nell’ottobre 1986, infatti, Giovanni Paolo II organizzò una giornata di preghiera interreligiosa per la pace e da allora la Comunità di Sant’Egidio, definita da Monti “faro nel mondo che rende l’Italia orgogliosa di esserne sede”, promuove, ogni anno in città diverse, un incontro di dialogo tra le religioni. A Sarajevo sta già dando i primi frutti. Ieri, Irinej, patriarca serbo ortodosso, è intervenuto alla liturgia celebrata nella cattedrale cattolica: non avveniva da vent’anni, dal tempo della guerra.


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