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Il Segno

19 Dezembro 2012

Dialoghi

È così che Dio entra nel braccio della morte

intervista di Luisa Bove a Dale S. Ricinella

 
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Da ventanni Dale S. Recinella fa il cappellano laico in due carceri della Florida, presso l'Union Correctionol Institution a Raiford e l'Apalachee Correctionol lnstitution vicino a Sneads assistendo anche i detenuti nel braccio della morte. È giunto alla decisione di svolgere l'attività da volontario a tempo pieno dopo un lungo percorso spirituale, che ha coinvolto tutta la famiglia, e che ben descrive nel suo libro Nel braccio della morte  tradotto per i tipi della San Paolo. 

La sua è una storia davvero unica perché dopo alcuni anni di brillante carriera come avvocato nel mondo della finanza di Wall Street assistendo importanti clienti, ha iniziato a occuparsi degli ultimi: poveri, senza tetto, malati di Aids e alla fine detenuti. 

Che cosa l'ha convinta a rinunciare ai soldi, al successo, a una bella casa, a una vita agiata per dedicarsi ai diseredati?

Quello che facevo come avvocato era una cosa buona, svolgevo un lavoro utile alla società, è giusto e bello essere un avvocato. Ma mia moglie Susan e io a un certo punto ci siamo sentiti sfidati dalle parole del Vangelo, come se Gesù in quel momento stesse parlando a noi. All'inizio ci siamo chiesti: ma Gesù voleva proprio dire quello che ha detto? E proprio a noi? Quando abbiamo capito che era così, ci siamo domandati come rispondere alla sua richiesta.
E i vostri amici, colleghi e parenti come l'hanno presa? 

All'inizio familiari e amici erano molto preoccupati, ma poi vedendo l'aiuto che ricevevamo nella direzione spirituale e che noi e i nostri figli eravamo felici, si sono convinti. Prima, infatti, siamo andati dal nostro parroco e da un sacerdote francescano (che era il nostro assistente spirituale) perché volevamo essere sicuri. Entrambi ci hanno detto: state ascoltando le parole di Gesù nel modo giusto, ma avete cinque figli, quindi andate adagio e teneteli d'occhio, perché saranno loro il vostro barometro. Poi ci hanno dato un consiglio: i vostri figli non possono vivere basandosi sulla vostra fede, ma dovete permettere che cresca anche la loro. 

A volte non ha la sensazione di aver buttato via i suoi talenti? 

Io  sto usando tutte le mie capacità e tutti i talenti che usavo nella mia carriera, anche se in un modo nuovo. Quando lavoravo, con le mie attitudini assumevo l'incarico di progetti che nessun altro pensava di riuscire a realizzare, questo significa che le sfide mi piacevano già allora. Erano i lavori più pagati appunto perché difficili. Non ho buttato via nessuna delle mie abilità: la forza di persuasione, la solidarietà, la sensibilità, la capacità di rappresentare la società, di comunicare, di presentare una nuova idea a un gruppo di persone facendo loro credere che era la soluzione che stavano cercando... Adesso vado davanti a una cella del carcere e mi presento alla persona che è rinchiusa. Per la società quel detenuto non è un essere umano e non merita nemmeno di vivere. Ma il mio compito è di convincerlo che la vita, la sua vita, è un dono di Dio, e che la Chiesa e altre persone gli danno valore, si preoccupano di lui e non vogliono che muoia. 

Nelle sue scelte lei ha sempre coinvolto la famiglia, sua moglie e i suoi cinque figli, e insieme avete cercato le risposte nella Parola di Dio...

Quando ho cominciato a cercare una vita diversa, mia moglie e i miei figli avevano il diritto di chiedermi di ricominciare a guadagnare, perché io non sono un sacerdote o un religioso, ma un uomo sposato. Avrebbero potuto dirmi: noi non accettiamo questo cambiamento, tu devi continuare a mantenerci come facevi prima, lo a quel punto avrei dovuto accettare. Invece Susan e i miei figli hanno detto: noi vivremo con meno, non perché tu ci hai costretto, ma perché lo scegliamo, così che tu possa trovare il tempo di occuparti delle persone che soffrono. Quando poi mi è stato chiesto di assistere i detenuti in carcere, ho detto no, questo non è possibile, Dio non mi chiederebbe mai di fare una cosa del genere. Ma poi sono stati proprio Susan e i ragazzi a dirmi: devi farlo, guarda cosa ha detto Gesù. Dio si è servito di loro per aiutarmi a vedere le cose più chiaramente. 

È più facile credere da liberi o da reclusi?

La fede è un dono. Se una persona chiede il dono della fede, non ha molta importanza in quale situazione si trovi, Dio glielo darà. La domanda vera è: in quale circostanze ci si rende conto più facilmente di avere bisogno della fede? Quando ti senti padrone dell'universo e un maggiordomo in guanti bianchi viene a servirti i pasti alla scrivania oppure qualcuno viene a prenderti con la limousine per portarti da un aeroporto alla sala conferenze, perché il tuo tempo è troppo prezioso per sprecare anche solo un minuto... è molto difficile rendersi conto di aver bisogno comunque del dono della fede. Dio ci ha fatto capire che potevamo liberarci da soli di tutte le "prigioni" che ci tenevano rinchiusi: denaro, fama, rimpianti, rabbia... Si è in carcere in due modi: nel mondo esterno oppure fisicamente rinchiusi. Ma io credo che se ci si rende conto di essere in prigione, di qualsiasi tipo si tratti, si è pronti per il dono. 

Come riesce a conciliare la sua fede cattolica con la pena di  morte?

È inconciliabile, perché gli insegnamenti della nostra Chiesa sono molto chiari: non si può assolutamente ricorrere alla pena di morte. Finché esistono mezzi pacifici e non violenti per tenere la popolazione al sicuro, non c'è bisogno di ricorrere alla pena di morte. E se c'è un Paese al mondo che ha i mezzi per garantire la sicurezza alla società e tenere una persona in carcere senza bisogno di ucciderla, sono proprio gli Stati Uniti. Anche se non accetto la pena di morte, in qualità di cappellano cattolico all'interno del carcere, mi è vietato dallo Stato fare qualunque forma di attivismo a livello secolare. Però non possono proibirmi di manifestare la mia fede. Per questo tutte le nostre conferenze, discorsi, libri, scritti, partono sempre dalla fede. A motivo della mia fede quindinon accetto la pena di morte, ma attraverso la mia fede sono in grado di resistere.

Come può sopportare di assistere alle esecuzioni capitali quando un condannato glielo chiede? 

Nessuno è abbastanza forte da non essere colpito quando assiste all'uccisione di un essere umano, peggio ancora se si tratta di un malato mentale grave o di un innocente. Quello che abbiamo imparato, io e Susan (la moglie, psicologa, il giorno dell'esecuzione assiste i parenti di un condannato a morte, ndr) è che non esiste nulla sulla terra che ci possa aiutare veramente a superare queste esperienze terribili. Non si riesce a staccarsene. Io per esempio faccio sogni terribili per molto tempo, queste esperienze negative quindi si ripresentano e anche per questo la risposta è stata per noi la fede. Noi ci siamo avvalsi della forza che ci viene dalla Chiesa, dai sacramenti, dalla tradizione... In ogni situazione cerchiamo sempre di cogliere la presenza di Dio, anche se agli occhi del mondo sembra impossibile. 

Lei ha preso sul serio il Vangelo. Che cosaconsiglierebbe ad altri? 

Questa è la croce di San Damiano (dice Recinella mostrandomi la croce che porta al collo, ndr) e avrà letto nel mio libro il ruolo che san Francesco d'Assisi e santa Chiara hanno giocato nella nostra vita. Ci siamo accorti che anche un grande santo come san Francesco non ha mai detto: «Devi fare quello che faccio io». E prima di morire ha detto: «lo ho fatto quello che Dio mi ha chiesto, cercate di fare quello che Dio chiede a voi». Quindi ciò che noi raccomandiamo alle persone che ci fanno questa domanda è di ascoltare le parole di Gesù, di pregare lo Spirito Santo, di cercare consiglio dal parroco e dalla comunità spirituale. Occorre rispondere alla domanda: che cosa mi chiede Gesù? Lui ha incarichi per tutti e saranno sempre incarichi adatti ai doni che si hanno già. Gesù ha promesso che se noi cerchiamo, lui ci darà la risposta. 

 

Per scrivere a un condannato 

Centinaia di condannati a morte, grazie alla Comunità dí Sant'Egidio corrispondono con altrettanti amici in tutto il mondo: sono detenuti nelle carceri degli Usa, ma anche di Trinidad, Tobago, Camerun, Zambia e Russia Chi desidera diventare amico di penna di un condannato può scrivere a Stefania Tallei ( ) indicando la lingua in cui è in grado o preferisce corrispondere. Poi riceverà il nome e il profilo di un detenuto. 


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