L'arcidiocesi di Pesaro si sta preparando al Convegno ecclesiale nazionale di Firenze con una serie di incontri organizzati dall'Istituto superiore di scienze religiose "Giovanni Paolo II" e presieduti dall'arcivescovo Piero Coccia. L'ultimo, sul tema «Cristianesimo e globalizzazione», ha avuto come relatore Andrea Riccardi.
Il cristiano, ha detto il fondatore della Comunità di Sant'Egidio, non è spaventato dalle novità della globalizzazione. Anzi, plaude a un mondo unificato come mai nella storia, sorvolato da 50mila aerei, da 2.500 satelliti e con l'inglese parlato da un miliardo e mezzo di persone.
Tuttavia «vicinanza» non significa «prossimità» e questa civiltà dell'«empatia» è anche un mondo dove si scontrano civiltà e manca un «pilota». E così i confini vengono riscoperti non come barriere da abbattere, ma come protezioni da difendere. Prevalgono insicurezza, ripiegamento individualistico, «morte del sociale» (Alain Touraine). Lo si vede in tanti fenomeni: la stessa crisi della famiglia è una crisi non di valori, ma di un modo di intendere la vita che non è più «comunitario».
Questa destrutturazione della prossimità è inaccettabile per il cristianesimo, il quale possiede sì una dimensione globale, ma considera indispensabile, per aprirsi al mondo senza «spaesarsi», un radicamento in una comunità, una relazione non virtuale con il fratello. Questa oggi è la grande sfida umanizzante della Chiesa: proporre all'uomo planetario la stabilità, fatta di comunità, di famiglia, di città, di identità di destino. Rispetto a questa sfida la Chiesa si è spesso ritratta in sé. Tuttavia - ha concluso Riccardi - se pensiamo ai tanti cattolici che investono pastoralmente sul gratuito, non possiamo non giudicare la Chiesa «esperta in umanità». E se a noi cattolici chiedessero quanto ci stimiamo, dovremmo rispondere come solevano i gesuiti: «Poco, se mi considero. Molto, se mi confronto».
Paola Campanini
|