Alla fine arrivano qui, in silenzio, tutti in fila, ad aspettare un panino e un caffè caldo. È il punto oscuro della marginalità, trincee che sono stazioni di treni, svuotate di viaggiatori ora che è notte e riempite di vite dolenti, esercito di nuovi poveri, prima linea di chi non mangia e non dorme.
Li chiamano "senza fissa dimora". Ma non sono più i barboni di un tempo, clochard per scelta, vagabondi da leggenda. Adesso basta un piccolo inciampo, deragli e la vita ti butta in strada.
Sandro ci è ritornato e lui sa come fare. Prende il panino con la frittata e si infila nella stazione. I posti migliori sono quelli d’angolo, «pochi spifferi». Si siede, allunga le gambe, cala la coperta. E racconta: «Ho passato sei anni in strada. Ho imparato a vivere senza nulla, con la notte che ti fa paura». Parla piano in questo lembo di città, stazione Tiburtina, Roma capitale anche dei poveracci che non hanno casa, né affetti. Lui un affetto l’aveva trovato, ma è durato poco. Poi è inciampato. Chissà perché. Non lo vuole dire. E la strada se l’è ripreso. Lui è uno che non fa paura. Lo guardi e ti sembra un viaggiatore che aspetta il treno, finché non stende la coperta.
Da vent’anni tutti i martedì sera
La tiene nello zainetto, pulita: «Oggi per vivere in strada ti devi proteggere, sembrare uno normale, altrimenti finisci male, finisce che qualcuno t’accende come hanno fatto a quel poveraccio di Rimini». Sandro è uno che ci sa fare: doccia quattro volte alla settimana, vestiti puliti, pranzo e cena alla Caritas o a Sant’Egidio, qualche notte ai dormitori.
Vive su un crinale, cerca di non scivolare. Racimola un po’ di denaro con le pubblicità da distribuire, s’arrabatta con le pulizie, lava vetri, vende giornali ai semafori. A Roma sono quasi 4 mila.
Guglielmo Tuccimei, insegnante di Lettere, spegne il motore dell’auto davanti alla stazione Tiburtina. Fa così da vent’anni, tutti i martedì sera. Quelli della Comunità di Sant’Egidio sono tenaci. Guglielmo porta pane e caffè. La regola è due panini a testa, un bicchiere di caffè, un frutto o due, se ne avanza. Roma ogni sera è percorsa da pattuglie che portano cene frugali, ma anche affetto. Guglielmo li conosce tutti, per nome e per dramma.
Il primo se lo ricorda bene: «Si chiamava Nereo, ex legionario, fascista totale, barbone d’altri tempi. Abitava un anfratto di piazza Trilussa, all’imbocco di Trastevere. Ogni sera gli portavo da mangiare e lui mi raccontava imprese in Indocina, pallottole a pioggia, qualche nefandezza e tante donne. È morto a 77 anni. La strada non lo ha provato».
Adesso quelli come Nereo non li trovi più. Franco non ha 60 anni, gli occhi rossi di chi non dorme e fatica. Indossa un vecchio paltò di loden verde, si appoggia a una stampella arrugginita. Guglielmo lo vede e dice: «Questo è nuovo». Lui alza la stampella e saluta: «Hai un panino per Franco?». Si sforza di essere normale, come Sandro che conosce i segreti della strada, ma non ce la fa a mentire. La vita a Franco gli è scivolata via e lui ha deciso di umiliarsi. Racconta della famiglia a pezzi, dice che è colpa sua e che lui deve pagare con questa vita, deve soffrire, deve provare vergogna, la strada come espiazione. Viene dalla Sicilia. È arrivato con il treno in questa stazione 20 giorni fa e da allora non si è più mosso. Aveva qualche soldo, ma adesso li ha finiti. Non ha mai chiesto nulla, nemmeno un panino, fino a questa sera.
Racconta dei figli che non devono sapere, di felicità perdute. Chissà cosa è capitato a Franco. Arriva un’ambulanza e portano via uno che è caduto a terra come un sasso, accanto ai suoi sacchetti. Il freddo e l’alcol schiantano il cuore. Accade ogni sera.
Antonio ha un amico all’ospedale. Dice che lui è fortunato. Vuole una sigaretta, anzi due, perché la notte è lunga: «Se esci a fumare con me ti racconto come me la sto cavando alla grande». Di notte si infilava in un parcheggio, cartoni e sacco a pelo, una vita sbaragliata dalla droga: «Poi ho conosciuto lei, che era come me. Una sera è stata male e l’hanno portata all’ospedale. Così io vado a trovarla e mi lasciano stare lì, a dormire. Adesso l’hanno dimessa, ma ho trovato un altro amico da andare a trovare».
Un popolo che ha paura
Il popolo della strada cerca ripari, anfratti, tunnel dove dormire, infagottato nelle coperte e nei giornali. Dorme in vecchie auto, roulotte posteggiate lungo le vie delle periferie. È un popolo invisibile che si alza prima dell’alba e va a letto tardi, dopo aver fatto la fila alle mense della solidarietà cattolica. Ma è un popolo che ha sempre più paura.
Victor dice di essere polacco. Da tre anni abitava in un tugurio ben attrezzato, in un parco. Fino all’altra sera, quando hanno sgomberato lui e i suoi amici, con una razione di botte. Roma non li sopporta più, non li lascia in pace, disturbano e rovinano il pubblico decoro. I parchi li hanno quasi tutti chiusi. Ma i poveri aumentano.
Spiega Francesca Zuccari, che coordina il lavoro della Comunità di Sant’Egidio a Roma: «Oggi si finisce in strada anche se si ha un lavoro, perché spesso è precario. Con 700 euro al mese non si mangia né si paga l’affitto. E se poi vi sono un paio di crolli ravvicinati, un matrimonio che va a pezzi, uno sfratto, un debito, resta solo la strada».
Roman ha il volto di un moschettiere, capelli lunghi e curati, due pail e la giacca a vento. Prende i panini e sorride: «Anche oggi ho lavorato, ho messo da parte i soldi per i miei in Romania». Ha moglie e tre figli. Ogni tre mesi prende l’aereo e torna a casa. Sta costruendo una villetta. Lavora nei cantieri e ristruttura case. Abita in un magazzino, avuto in cambio da un tale dopo avergli ristrutturato l’appartamento. Resiste, come Mariano, che dorme in una baracca in un parcheggio, perché ha perso casa, moglie e figli, lavora qui e là, ma non vuole finire a frugare nei cassonetti.
Quelli di Sant’Egidio conoscono le storie di tutti e ogni sera ne imparano una nuova, perché è sempre peggio. C’è chi passa la notte sugli autobus, chi prende il treno e poi si fa fermare dalla Polfer, così resta al caldo per il resto della notte. E chi va a dormire all’aeroporto, partenze internazionali, dove gli uomini della sicurezza e la polizia chiudono un occhio, anzi due. Ma bisogna essere ben vestiti e lavati e mettersi in un angolo. Dove fa più caldo.