Prima di tutto, vorrei ringraziare la Comunità di Sant’Egidio per l’onore di partecipare a questo augusto incontro di dialogo e per avermi dato l’opportunità di condividere i miei pensieri in questo incontro internazionale di pace. Mi sento umile in questo convegno di giganti, ma ascoltarli mi incoraggia a parlare perché questi giganti sono davvero angeli di pace.
Questo incontro descrive la pace come un bisogno del tempo presente e chiama a vivere insieme in un tempo di crisi. Io voglio parlare di questa crisi, perché è travolgente. Questa crisi sta colpendo il nostro dialogo così come il nostro destino comune. Sarebbe presuntuoso da parte mia entrare nei dettagli, e quindi parlerò per punti.
Va da sé che la pace costituisca il destino comune dell’intero genere umano, ma sebbene noi crediamo in questo, il nostro dialogo in direzione della pace non sta facendo progressi. Questo dialogo, specialmente tra cristiani e musulmani, è spesso interrotto e nella maggior parte dei casi combattuto.
A mio modo di vedere, ciò è dovuto al fatto che non comprendiamo pienamente la crisi. Non è una crisi che possa essere compresa in termini politici, economici o teologici. In effetti, si tratta di una crisi epistemologica. La vita moderna, in sostanza la modernità, ha messo in discussione le categorie di base primarie del nostro pensiero, i nostri strumenti percettivi, le nostre categorie logiche di ragionamento e la nostra visione del mondo. Siamo stati abituati ad affidarci alla teologia come schema interpretativo per la conoscenza e la percezione. Le realtà della vita hanno cambiato gli schemi interpretativi teologici ed hanno seriamente inciso sui nostri tentativi di dialogo.
Oggi il dialogo richiede una nuova epistemologia. Il pensiero moderno si esprime in termini di positivismo, diritti, autonomia individuale, ateismo e laicità, e queste categorie non fanno ancora parte delle nostre teologie; piuttosto tali categorie lanciano una sfida all’epistemologia teologica. Il positivismo riguarda la moralità soggettiva, l’idea dei diritti milita contro le tradizioni sociali e l’etica religiosa; l’autonomia individuale si fonda sulla libertà, la quale mette in discussione i valori tradizionali e religiosi, e l’ateismo e la laicità rifiutano ogni posto alla religione nelle questioni pubbliche e politiche.
Per quanto riguarda il dialogo, noi parliamo ancora in termini di Musulmani, Cristiani ed Ebrei, mentre in molte società le persone non si definiscono più in tali termini. Queste identificazioni oggettivizzano le religioni in termini riduttivi ed escludono un certo numero di persone dal dialogo. D’altra parte, un certo numero di musulmani percepisce l’Occidente come cristiano e le società occidentali fanno spesso riferimento al Corano quando vogliono descrivere i musulmani. Questo riduttivismo sta bloccando il dialogo.
La modernità stessa è pure in crisi. Stiamo ancora parlando in termini di impero, sicurezza e guerra. La globalizzazione, i diritti umani e la tecnologia nucleare vengono usati tuttora per politiche egemoniche. Nel diritto internazionale, l’universalità del concetto di primato del diritto scende a compromesso con le preoccupazioni legate alla sicurezza e all’interesse nazionale. Il terzo mondo sta ancora confrontandosi con l’idea di Stato-nazione, mentre il nuovo ordine mondiale ha prodotto una gigantesca struttura corporativa internazionale che non crede nei confini e nella sovranità dello Stato.
In questo contesto il dialogo richiede un nuovo schema interpretativo teologico che rivisiti sia le categorie teologiche che il progetto della modernità. La categoria della conversione non è più di moda nel dialogo. Ma ancora, dialogo non significa indebolimento della propria fede. In effetti, il dialogo deve essere basato sulla fede, perché la fede dà la forza di ergersi per una causa. Noi possiamo camminare insieme solo se riconosciamo e rispettiamo le nostre differenze e particolarità. Non possiamo definire efficacemente il bene comune e degli scopi comuni se prima non ci comprendiamo reciprocamente con le nostre differenze e le nostre particolarità. Detto questo, dobbiamo includere nel dialogo quelle persone che non corrispondono alle convenzionali classificazioni teologiche di fede.
Per concludere devo sottolineare che la presente crisi ha permesso agli estremisti, ai fondamentalisti ed ai terroristi di impossessarsi e di sfruttare sia le categorie teologiche che il progetto di modernità. Il dialogo tra musulmani e cristiani può andare avanti solo se mettiamo in discussione le politiche di potere e d’egemonia indipendentemente dal fatto che queste usino l’Islam, il cristianesimo o la laicità e la modernità come loro quadri concettuali.
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