Cardinal, Archevêque de Naples
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Negli ultimi dieci anni, dopo l’11 settembre 2001 e le sue ripercussioni sullo scenario mondiale, con una certa frequenza si è assistito a dibattiti che hanno come tema la guerra e i conflitti. E in modo ricorrente, in diverse occasioni, la loro origine è stata attribuita non solo a “scontri tra civiltà “ ma anche a contrapposizioni religiose dal forte carattere identitario. In questi ultimi dieci anni la guerra e la pace sono divenute un grande interrogativo per i credenti delle religioni. L’esperienza amara dell’impotenza di fronte al conflitto, il travolgimento degli stessi valori religiosi nella guerra, hanno reso tanti pensosi su come le religioni potessero rendere più solida la pace e allontanare la guerra. Dove ciascuna comunità religiosa ha affrontato da sola il male rappresentato dalla guerra totale, è stata la sconfitta di tutti, anzi dell'umanità intera. I mondi religiosi, ed è stata l'esperienza tragica della seconda guerra mondiale, si sono accorti di come sia facile lasciarsi beffare dal male, da quel male assoluto rappresentato dai campi di sterminio. Da queste lezioni si è appreso, ad esempio, che cristiani e ebrei non possono vivere prigionieri dell'insegnamento del disprezzo. Giovanni Paolo II, che ha conosciuto la guerra mondiale e la follia dei lager , ha parlato della guerra come “avventura senza ritorno”. E oggi, a dieci anni da quei tragici fatti che colpirono gli Stati Uniti, ci troviamo qui a Monaco per imprimere un’inversione di tendenza da ogni logica di scontro e conflitto.
Come vescovo cattolico sono profondamente convinto dell’importanza del dialogo tra le religioni come uno dei percorsi che preparano la pace nel mondo e che la preservano in situazioni più fortunate. Si tratta di un dialogo che negli ultimi cinquant’anni ha subìto un’accelerazione importante grazie all’iniziativa della Chiesa Cattolica, a partire dal Concilio Vaticano II, di cui proprio il prossimo anno, nel 2012, ricorre il cinquantesimo anniversario dell’inizio. Nel 1964 il Concilio approvò la dichiarazione Nostra Aetate che indicò alla Chiesa e al mondo l’importanza fondamentale delle relazioni di amicizia e collaborazione tra i cristiani e le altre grandi religioni mondiali, in particolare l’ebraismo e l’Islam. “La Chiesa si fa dialogo” – amava dire papa Paolo VI, e i suoi simbolici viaggi nel mondo hanno mostrato questa ferma volontà di dialogo con gli uomini di religione e di cultura incarnata dal Papa e maturata nell’assemblea conciliare.
Poi è venuto Giovanni Paolo II, un papa che ho avuto la grazia di conoscere da vicino e con cui ho collaborato per lunghi e affascinanti anni. Papa Wojtyla, vescovo profondamente figlio del Concilio, ha impresso al dialogo tra le religioni (e le culture) un’accelerazione straordinaria. Tanto che fino ad oggi l’incontro di preghiera per la pace tenutosi ad Assisi nell’ottobre 1986 resta un’immagine insuperata del dialogo tra le religioni e dell’impegno delle stesse per la pace.
L’intuizione – oserei dire – “profetica” del papa ha saputo interpretare una domanda di pace che non si è fermata a quel 1986, quando si era ancora in piena guerra fredda ed incombeva la minaccia nucleare. Infatti Assisi ha saputo rispondere anche alle successive le vicende del mondo contemporaneo che hanno conosciuto un’incredibile accelerazione dagli esiti imprevedibili: la fine dell’impero sovietico, lo sfaldamento del cosiddetto Terzo Mondo, l’avanzamento del processo di globalizzazione, la manifestazione del terrorismo internazionale l’11 settembre 2001.
Nella preghiera per la pace di Assisi si riunirono attorno al Papa tanti rappresentanti delle confessioni cristiane e delle grandi religioni mondiali. Gli uni accanto agli altri, e non più –come notò Giovanni Paolo II- gli uni contro gli altri. Uno storico ha scritto che quell’iniziativa ha rappresentato “una svolta dell’atteggiamento del cattolicesimo contemporaneo verso le religioni”, ma pure una svolta nella visione che le religioni non cristiane hanno del cristianesimo.
Lo “Spirito di Assisi” ha intuito il profondo rapporto esistente tra la religione e la pace. L’immagine di Assisi costituisce una delle grandi icone di speranza del Novecento religioso. Raffigura la fecondità del dialogo tra le religioni, chiave di volta per la costruzione di una nuova civiltà in questo mondo conflittuale, una civiltà del convivere fondata sull’arte del dialogo. Ma è un’icona che viene da lontano. Da un secolo, il XX, gravido di speranze ma anche di immani sofferenze. Lungo tutto il Novecento qualcosa ha avvicinato i credenti, e nella seconda metà del secolo genti di religioni diverse si sono parlate e incontrate come mai prima nella storia. Il Concilio Vaticano II ha recepito tale novità fornendo una spinta propulsiva decisiva con la Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, la cosiddetta Nostra Aetate, in cui la Chiesa si assume il compito di “promuovere unità e carità fra gli uomini, ed anzi tra i popoli”, in un tempo di accresciuta interdipendenza.
Nei decenni successivi le migrazioni e l'abbattimento delle frontiere hanno visto moltiplicarsi le terre di coabitazione tra credenti di varie religioni, stimolando la necessità di dialogo. Ne sono testimone nella mia città, Napoli, in cui per via dell’immigrazione, sono presenti tante comunità religiose a cui la Chiesa guarda con profondo rispetto. Ad Assisi nel 1986 si è espressa una comune manifestazione di fiducia nelle energie spirituali e nella straordinaria “forza debole” della preghiera, senza commistioni sincretistiche, nel rispetto delle diversità, in una sinergia tra dialogo interreligioso e impegno dei credenti per la pace. Nel discorso conclusivo Giovanni Paolo II affermò: "Forse mai come ora nella storia dell’umanità è divenuto a tutti evidente il legame intrinseco tra un atteggiamento autenticamente religioso e il grande bene della pace... la preghiera è già in se stessa azione, ma ciò non ci esime dalle azioni al servizio della pace".
Rispondendo a quest’appello, la Comunità di Sant’Egidio ha inteso non solo contemplare l’icona di Assisi, punto di arrivo e di ricezione creativa del Concilio, ma soprattutto farne fruttificare lo spirito promovendo una rinnovata solidarietà tra culture e popoli diversi. Grazie alla Comunità e a tanti responsabili di ogni credo, lo Spirito di Assisi ha raggiunto molte città d’Europa. E ricordo con emozione la preghiera per la pace che ho voluto a Napoli nel 2007 con gli amici di Sant’Egidio, dal titolo Per un mondo senza violenza. Religioni e culture in dialogo, con la presenza paterna di papa Benedetto XVI all’inizio del convegno. E’ stata un’esperienza straordinaria per la città e in particolare per tanti giovani che nelle scuole si sono preparati all’evento studiando e facendo esperienza della ricchezza dei mondi religiosi.
Cosa può suggerire lo Spirito di Assisi oggi, in un tempo in cui messaggi, culture, processi si incrociano? In epoca di globalizzazione i cambiamenti avvengono con rapidità, ed è difficile registrarsi. Una difficoltà avvertita anche dai mondi religiosi. Lo Spirito di Assisi, cioè l’avvicinamento amichevole tra religioni diverse, in passato spesso nemiche o indifferenti le une alle altre, fa emergere ulteriormente quanto un messaggio di pace sia insito in profondità forse in tutte le grandi tradizioni religiose del mondo. È sorprendente come, proprio sul finire di un secolo che avrebbe dovuto vedere la scomparsa delle religioni, queste siano state nuovamente proiettate nello spazio pubblico, in connessione talvolta con la rinascita delle nazioni, altre volte con la protesta degli esclusi, altre volte ancora con i conflitti o il ridisegnarsi delle identità.
Cosa vogliono e cosa possono oggi gli uomini e le donne di religione? Essi vivono sempre meno in mondi culturalmente e religiosamente omogenei. Genti di religione o etnia diversa vivono più mischiati. È l’esperienza dell’Europa di fronte all’immigrazione, ma anche alla nuova comunanza tra Est e Ovest. È la sfida del continente africano – che ho conosciuto nella mio incarico di Prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli - dove la tenuta di Stati nazionali infragiliti è messa alla prova dalla pluralità di etnie, gruppi, confessioni. E’ la sfida dell’immenso mondo asiatico dove le religioni e le culture si incontrano e si scontrano da tempi lontanissimi. Al contempo, nel mondo virtuale si entra a contatto con tutti, si vive sempre più assieme e l’incrocio con chi è diverso da sé è un destino. C’è, infine, la sfida di vivere in un mondo in cui si vede tutto, soprattutto l’abisso tra la ricchezza di pochi e la miseria di tanti.
Sempre più, la condizione umana – come dice il professor Andrea Riccardi - sta diventando il convivere. È la quotidianità per molti popoli, religioni, gruppi. Non sempre è facile. Orizzonti troppo ampi quali quelli della mondializzazione, inducono fenomeni preoccupanti: individualismi irresponsabili, tribalismi difensivi, nuovi fondamentalismi. In tanti si sentono aggrediti e spaesati di fronte a nuovi vicini e a un mondo troppo grande. Chi è spaesato ha paura del presente e del futuro; e chiede alle religioni protezione. Ne nascono fondamentalismi di vario tipo. Sono semplificazioni che possono affascinare giovani, disperati, gente spaesata per cui la società odierna è troppo complessa e inospitale, ma che pure possono attrarre politici spregiudicati alla ricerca di scorciatoie per il potere. E i fondamentalismi hanno il marchio dell’odio, se non della lotta al diverso religiosamente o etnicamente. Forse, in passato, i mondi religiosi si potevano ignorare. Oggi invece la mutua ignoranza conduce rapidamente all’inasprimento. Responsabili religiosi isolati si trovano facilmente intrappolati in orizzonti nazionalisti. L’universalità propria delle diverse tradizioni religiose, si esprime proprio nel contatto e nel dialogo.
È per tutto questo che l’avvenimento del 27 ottobre 1986 non è rimasto un fatto isolato ma ha conquistato tanti cuori in molte parti del mondo, indicando un futuro di pace e convivenza mentre ancora c’è chi parla di guerre di religione o di civiltà come destino inevitabile. In maniera semplice e convincente, lo Spirito di Assisi continua a prospettarci una convivenza possibile, fatta proprio, secondo l’amata espressione di Francesco, di pace e bene. E’ ciò che ci aspetta in questo Incontro di Monaco di Baviera e nel prossimo incontro di ottobre, nella città del Serafico, voluto da Benedetto XVI proprio a venticinque anni da quel primo evento. |