Kardinal, Präsident des Päpstlichen Rates zur Förderung der Einheit der Christen, Heiliger Stuhl
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1. Il dialogo ha certamente un futuro nello spazio vitale cristiana, poiché esso è radicato nell'essenza di Dio stesso. Infatti, Dio è carità e Logos. Entrambe queste qualità si realizzano solo se non riposano in se stesse, ma cercano e trovano un'alterità. La carità appella la risposta dell'amato; il logos cerca un interlocutore e, tramite esso, diventa dia-logos. Il rnistero della Trinità divina suggerisce che la vita di Dio stesso è dialogica nello scambio d'amore tra Padre, Figlio e Spirito e che Dio, come creatore e redentore, oltre la sua vita intratrinitaria coltiva anche un dialogo con il suo creato e soprattutto con 1'uomo fatto a sua immagine e somiglianza. In virtù di cio, il Concilio Vaticano Secondo ha adottato un'interpretazione dialogica-comunicativa della rivelazione che ha preparato, come giovane teologo, Papa Benedetto XVI, ponendo l'accento sull'atto con cui Dio si mostra all'uomo e lo ama, piuttosto che, come fa la tradizione più recente, sul risultato oggettizzato di tale atto. Poiché nella rivelazione c'è necessariamente qualcuno che la recepisce e poiché la comunicazione che Dio fa di se stesso puo essere rivelazione soltanto se viene ricevuta da qualcuno, essa altro non puo essere che una realtà dialogica.
2. Se il dialogo è il fulcro più intimo della vita di Dio, allora esso deve essere anche un tratto basilare della vita della Chiesa in quanto icona della Trinità. Questa visione fondamentale fu sviluppata in maniera proficua per l'ecclesiologia soprattutto da Papa Paolo VI nella sua prima enciclica "Ecclesiam suam". Nella convinzione che la Chiesa, per essere fedele alla sua chiamata e per realizzare la sua missione deve percorrere tre strade, ovvero la riflessione su se stessa, il rinnovamento ed il dialogo, Paolo VI fece del dialogo il concetto chiave della sua prima enciclica, fornendo cosi 1'orientamento fondamentale: "La Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio." (n. 67). Il Papa in tai modo dava risalto a cio che era stata anche una priorità centrale del Concilio Vaticano Secondo e che, sul piano istituzionale, trovo la sua più chiara espressione nella creazione di tre Segretariati tutti dedicati al dialogo, ovvero il Segretariato per la promozione dell'unità dei cristiani, il Segretariato per i non cristiani ed il Segretariato per i non credenti. Di questi tre impegni a favore del dialogo, tuttora importanti, ci limiteremo a trattare il dialogo ecumenico qui di seguito.
3. Per il Concilio Vaticano Secondo, il dialogo ecumenico non è un tema secondario, ma uno dei suoi compiti fondamentali, come emerge chiaramente già dalla prima frase del suo Decreto sull'ecumenismo: "Promuovere il ristabilimento dell'unità fra tutti i cristiani è uno dei principali intenti del sacro Concilio ecumenico Vaticano II" (UR 1). L'importanza fondamentale del dialogo ecumenico per la Chiesa cattolica si esprime anche nel fatto che il Decreto sull'ecumenismo trae i suoi principi dogmatici dalla Costituzione Dogrnatica sulla Chiesa. Papa Paolo VI, dichiarando esplicitamente, in occasione della promulgazione del Decreto sull'ecumenismo, che questo Decreto delucidava e completava la Costituzione Dogrnatica sulla Chiesa ("ea doctrina explicationibus completa"), non sminuiva assolutamente il valore teologico del Decreto sull'Ecumenismo, ma, nel suo significato teologico fondamentale, lo collegava piuttosto alla Costituzione Dogmatica sulla Chiesa In seguito, su questa base, Papa Giovanni Paolo II, nella sua lungimirante enciclica sull'impegno ecumenico "Ut unum sint", contro i vari dubbi nutriti sia dai fautori che dai detrattori dell'ecumenismo ha sottolineato in maniera inequivocabile che la decisione della Chiesa cattolica a favore dell'ecumenismo è irrevocabile, poiché la Chiesa con il Concilie Vaticano Secondo "si è impegnata in modo irreversibile a percorrere la via della ricerca ecumenica, ponendosi cosi all'ascolto dello Spirito del Signore, che insegna come leggere attentamente i 'segni dei tempi' "(UUS 3). Chi condivide le decisioni del Concilie Vaticane Seconde e il Magistero dei vari ponte:fici che si sono susseguiti, non puo non essere convinto che il dialogo ecumenico ha un future.
3. A cinquant'anni dall'inizio del Concilie Vaticane Seconde dobbiamo riconoscere che non abbiamo certamente raggiunto l'obiettivo del dialogo ecumenico, ovvero una comunione ecclesiale vincolante e l'unità visibile nella fede, nei sacramenti e nei ministeli ordinati. Nel corso del tempo, piuttosto, l'obiettivo del movimento ecumenico si è fatto man mano più confuso. Moiti dei partner ecumenici hanno abbandonato l'obiettivo originario dell'unità visibile a favore del postulato di un mutuo liconoscimento delle diverse Comunità ecclesiali come Chiese e dunque come parti dell'unica Chiesa di Gesù Cristo, cosi che 1'unica Chiesa di Gesù Cristo risulta essere una mera somma delle varie comunità ecclesiali esistenti. Poiché tale obiettivo non è conciliabile con i principi teologici dell'ecumenismo dal punto di vista cattolico, il dialogo ecumenico oggi deve riflettere con rinnovato impegno su una visione comune dell'obiettivo ecumenico e deve sforzarsi di pervenirvi. A cio si aggiunge una seconda sfida: il motivo per cui fmora sull'obiettivo ecumenico non è stata conseguita un'intesa veramente solida ed alcuni consensi parziali raggiunti al riguardo nel passato sono stati sotto certi aspetti rimessi in discussione va ricercato fondamentalmente nel fatto che oggi come ieri esistono, gli uni accanto agli altri, concetti confessionali di Chiesa e di unità della Chiesa del tutte diversi e inconciliabili tra loro. Poiché ci sono dunque tante idee di obiettivo ecumenico quante ecclesiologie confessionali, in futuro il punto principale all'ordine del giorno nelle discussioni ecumeniche deve essere il chiarimento del concetto di Chiesa e di unità della Chiesa.
4. Il dialogo ecumenico non deve perdere né il suo carattere vincolante né il suo obiettivo. Esso deve mantenere davanti agli occhi l'obiettivo dell'unità visibile. Al contempo, fin tante che non raggiungerà tale obiettivo, non deve cedere alla rassegnazione. Poiché questo rischio sussiste soprattutto se si adotta l'atteggiamento del tutto o niente, oggi il dialogo ecumenico ha bisogno di formulare e conseguire scopi intermedi realistici, attuabili se facciamo insieme cio che possiamo e dobbiamo fare, arricchendoci vicendevolmente e sperimentando sempre più che, seppur ancora divisi, possiamo essere una cosa sola: una cosa sola nella testimonianza comune della fede cristiana in Dio e della carità in un monde che ha sempre più bisogno di questa testimonianza. Di particolare importanza ai miei occhi è la riscoperta di gesti ecumenici come la pratica proposta da Oscar Cullmann delle collette ecumeniche o la famosa usanza, comune nella tradizione delle Chiese orientali, del cosiddetto pane dell'eulogia. Tali gesti possono contribuire a fare in modo che il dialogo ecumenico non rimanga semplicemente su un piano teorico, ma diventi sempre più anche una dimensione dell'esperienza quotidiana.
5. Nel corso degli ultimi anni e decenni, è emersa nel dialogo ecumenico una problematica del tutto nuova, con l'apparire di grandi tensioni e divergenze nel campo dell'etica. Si tratta fondamentalmente di una nuova situazione: mentre in una precedente fase del movimento ecumenico vigeva il motto: "La fede divide, l'agire unisce", oggi dobbiamo costatare che, se da una parte è stato possibile superare parzialmente vecchie controversie confessionali riguardanti la fede o perlomeno operare un riavvicinamento, dall'altra sono affiorate grandi differenze principalmente in questioni etiche, al punto che oggi soprattutto l'erica divide ela fede unisce. Se le Chiese e le Comunità cristiane non riusciranno ad esprimersi con una sola voce sulle grandi questioni etiche del nostro tempo, questo rninerà la credibilità dell'ecumenismo cristiana nella società odiema. Poiché dietro i problerni etici si celano perlopiù questioni che riguardano l'immagine dell'uomo, un grande compito che dovrà assolvere 1'ecumenismo è quello di elaborare un'antropologia cristiana ecumenica comune. E proprio tale compito dimostra che anche nel futuro il dialogo ecumenico non sarà certamente disoccupato. |