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Liturgia di ringraziamento per il 50mo anniversario della Comunità di Sant'Egidio

10 febbraio, ore 17,30 Basilica di San Giovanni in Laterano

 
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10 Settembre 2012 09:30 | Priests' House (Conference Hall)

Immigrazione: dall’emergenza all’integrazione


Miguel Humberto Díaz


Ambasciatore degli Stati Uniti d'America presso la Santa Sede

Buon giorno,
vi ringrazio di avermi invitato a questo dibattito così attuale intitolato “Immigrazione: dall’ emergenza all’integrazione”. E’ un argomento importante per me, sia come esule cubano-americano giunto negli Stati Uniti da bambino, sia ora come rappresentante degli Stati Uniti, un paese che è definito dai suoi immigrati e dalla loro collettiva integrazione.

C’è una storia popolare del Vecchio Testamento che richiama la visita di tre stranieri presso la casa del Patriarca Abramo e di sua moglie Sara. Come avvenuto nei tempi antichi, la storia narra della pratica dell’ospitalità che era essenziale per la sopravvivenza dei viaggiatori. Nell’intenzione di accogliere questi stranieri nella propria casa, ci viene detto che Abramo e Sara “si affrettarono” a preparare un pasto. In un sorprendente succedersi di eventi, Abramo e Sara scoprirono che i loro ospiti erano ambasciatori di Dio che venivano per annunciare il compimento delle promesse di Dio. La storia suggerisce sfide ed opportunità che nascono dall’incontro con gli stranieri e la responsabilità etica di condividere le risorse di sostentamento vitale.

Quello che accadeva nei tempi antichi avviene anche oggi. Il 21° secolo è stato caratterizzato dal fenomeno migratorio. Le Nazioni Unite stimano che vi siano attualmente più di 190 milioni di migranti nel mondo. Questa cifra costituisce un sorprendente 3% della popolazione mondiale. Messo in altro modo, una ogni 35 persone sulla terra è un migrante. E vi sono molte ragioni per questo fatto: ragioni sociali, culturali, politiche, religiose, di genere, economiche e sempre più ecologiche.

Date queste cifre, è chiaro che le nostre vite si intersecano con i diversi, coloro che rappresentano l’altro. Una reazione umana comune è costruire la protezione dagli altri. Noi costruiamo steccati pensando che possano proteggerci e farci scudo dall’incontro con il pericolo di cui crediamo portatori gli altri che non pensano, agiscono o credono come noi. La vita dietro a questi steccati ci isola e noi neghiamo ciò che tanti prima di noi hanno affermato più e più volte, ovvero che la persona umana non è un’isola, che condividiamo una storia ed un destino comune e che, sì, noi siamo il guardiano dei nostri vicini e come un’unica famiglia umana, cadiamo o restiamo in piedi insieme. Il fatto che oggi la paura dell’altro sia patologicamente insito alla nostra esistenza si vede in ciò che ha caratterizzato come “la paura non solo dell’altro ma di ogni alterità” dove “ La differenza stessa è una minaccia, così anche quando la differenza non costituisce minaccia per noi noi la rifiutiamo semplicemente perché non ci piace.”

Sono grato che tutti voi siate qui oggi perché la vostra presenza indica il vostro interesse ad intraprendere conversazioni costruttive al fine di far progredire la comunità internazionale relativamente a politiche migratorie giuste e umane. Facendo questo, ponti prenderanno il posto degli steccati umani.

Il movimento di persone attraverso i confini è sempre avvenuto da tempi immemorabili, e non finisce. Lo sviluppo di approcci salutari volti all’integrazione dei migranti è segno di un potere intelligente per gli stati. L’esercizio di un potere intelligente dovrebbe prevedere il coinvolgimento della società civile, e più specificamente, l’indispensabile contributo delle comunità religiose. La Chiesa Cattolica è una delle istituzioni religiose più attive e di più ampia portata nelle società civili nel mondo. La sua ampia rete mondiale comprende comunità di ordinati e laici, che come la Comunità di Sant’Egidio costituiscono partner essenziali nel cogliere le sfide e le opportunità che ci presenta questa epoca di migrazioni umane.

Come uomini e donne di fede, o come rappresentanti di governo, molte questioni devono essere prese in esame:
Come la famiglia umana dovrebbe abbracciare società il cui volto nel mondo è radicalmente trasformato dalle migrazioni umane? Quali le sfide e le opportunità che le società devono considerare alla luce dei modelli migratori? Come potrebbero le società impiegare i doni delle comunità di accoglienza ed allo stesso tempo quelli delle comunità di provenienza? Come possono affrontare le società le problematiche legali, culturali, religiose ed economiche che provengono dall’immigrazione ?

Senza ignorare alcuna delle difficili questioni che accompagnano le migrazioni umane, sono convinto che una delle principali sfide dei nostri tempi sia come abbracciare la diversità umana. Credo fermamente che la diversità promuova giuste relazioni e retto governo all’interno della società. Inoltre , all’interno delle tradizioni religiose ebraica, cristiana e musulmana, la diversità umana ricorda costantemente che le persone sono state create ad immagine e somiglianza di Dio. Tale visione impedisce a ciascuno di noi di vivere nell’illusione che l’altro sia un mero riflesso della mia propria immagine e uno strumento dei miei interessi socio-politici.

Mentre l’integrazione dei migranti in una società non è un compito facile, essa è essenziale per la creazione e la sopravvivenza di società sane. Quando si fa nel modo opportuno, l’integrazione conduce a società più forti e culturalmente più ricche. Prendiamo per esempio gli Stati Uniti. Sin dalla sua nascita il mio paese ha accolto molti immigrati sulle sue coste. Mentre ogni nuova comunità ha affrontato la sua parte di sfide, noi abbiamo trovato in modo ampio strade durature e creative per includere i migranti che sono arrivati sulle nostre coste nel mosaico vivente di popoli e culture. Come ha detto il Presidente Obama: “Noi siamo la prima nazione ad essere fondata per un’idea, l’idea che ciascuno di noi merita l’opportunità di forgiare il proprio destino. Per questo secoli di pionieri e immigrati hanno rischiato tutto per venire qui…”.

Quando parliamo di integrazione, le nostre leggi vanno oltre per permettere a nuove generazioni di immigrati di diventare Americani. Gli immigrati legali hanno il diritto di entrare a far parte della forza lavoro non appena arrivano, inoltre come chiaramente affermato dal 14° emendamento della nostra Costituzione, approvato nel 1868: “Tutte le persone nate o naturalizzate negli Stati Uniti e soggette alla loro sovranità sono cittadini degli Stati Uniti e dello Stato in cui risiedono”. Ma anche se per la maggior parte degli Americani, la cittadinanza per diritto di nascita è il primo passo nel viaggio verso l’integrazione, vi sono milioni di altri che risiedono nel mio paese il cui status legale non è ancora risolto.

Recentemente si è parlato molto e c’è stato un vivace dibattito sui cosiddetti “sognatori” nel mio paese. Il termine si riferisce ai bambini che sono Americani in ogni modo possibile tranne che legalmente perché sono introdotti senza documenti nel Paese. Il Presidente Obama ha sostenuto apertamente il “Dream act”[legge sogno ndt.] , che afferma che se i tuoi genitori ti hanno portato negli Stati Uniti da bambino, se il bambino è stato negli USA per cinque anni, e se il bambino desidera andare a scuola o adempiere al servizio militare, questa persona può avere la cittadinanza. Come ha detto il Presidente: “Non ha senso espellere giovani di talento che sono a tutti gli effetti Americani – sono stati cresciuti come Americani; si concepiscono come parte di questo Paese - espellere questi giovani che vogliono lavorare nei nostri laboratori, o cominciare nuove imprese, o difendere il nostro paese, semplicemente a motivo delle azioni dei loro genitori, o per l’inerzia dei politici”. Come persona che è stato portato negli Stati Uniti da bambino da esuli cubani, so per esperienza diretta che non ha senso pensare a bambini cresciuti negli Stati Uniti se non come Americani.

Il 15 giugno di quest’anno, il Presidente ha annunciato una nuova politica per il Dipartimento per la sicurezza nazionale che permette ad alcuni giovani introdotti negli USA da bambini, che non rappresentino un rischio per la sicurezza nazionale e pubblica, di essere considerati idonei a rimanere nel Paese ed a non essere rimpatriati.

Di certo l’immigrazione negli Stati Uniti ha cambiato il volto dell’America. Il censimento 2011 negli Stati Uniti ha rivelato che, per la prima volta, le minoranze razziali ed etniche costituiscono più della metà dei bambini nati negli USA. Oggi, in America, uno su sette dei nuovi matrimoni è interraziale o interetnico. E’ giusto dire che il fenomeno migratorio ha cambiato e continuerà a cambiare il panorama della società americana. Il fenomeno migratorio ha creato una realtà complessa e diversificata a livello sociale, culturale, politico e religioso che ha preservato la natura dinamica della nostra unione ed ha mantenuto vivo il progetto permanente di perfezionare questa unione.

Nel suo storico discorso al Cairo, il Presidente Obama ha ricordato che gli Stati Uniti di America sono “fondati sull’ideale che tutti sono creati uguali” ed hanno lottato “per secoli per dare senso a queste parole – all’interno dei nostri confini, e nel mondo”. Il Presidente ha sottolineato che come Americani noi “siamo forgiati da ogni cultura, provenienti da ogni angolo della terra e riconoscibili in un semplice concetto: Ex pluribus unum: “da molti, uno”.

Sembra che questa coscienza nazionale di creare unione attraverso la diversità dei popoli non ha bisogno di essere solo un’idea americana. Non solo in America, ma in tutto il mondo, dobbiamo lavorare insieme per affrontare le cause alla radice del fenomeno migratorio ed assicurare leggi giuste per proteggere ed integrare le popolazioni migranti. Oggi noi parliamo del tema - l’emergenza dell’immigazione – perciò è importante considerare anche il processo di integrazione. La storia dell’America testimonia il potenziale creativo di popoli integrati.

Sono profondamente grato al mio Paese per avermi accolto da bambino e perché mi dà ora la possibilità di rappresentarlo come ambasciatore degli Stati Uniti presso la Santa Sede. Permettetemi di concludere con le parole di Emma Lazarus, che come sapete, sono incise sull’effigie bronzea del piedistallo della statua della libertà.
 Esse riflettono la mente aperta ed il cuore dell’America che ha accolto me e molti altri viaggiatori stranieri sulle sue coste:

Non come il greco bronzeo gigante
Sopra ogni sponda despota predace:
Qui, su le soglie ove son l’onde infrante
S’ergerà la gran Donna dalla face
Che fe’ prigione il lampo, e un nome santo
Avrà: Madre degli Esuli. Il vivace
Suo faro invita il mondo, e il pio sembiante
Scruta il mar che tra due città si giace.
Antiche terre, – ella con labbro muto
Grida – a voi la gran pompa! A me sol date
Le masse antiche e povere e assetate
Di libertà! A me l’umil rifiuto
D’ogni lido, i reietti, i vinti! A loro
La luce accendo su la porta d’oro.

(Il nuovo Colosso, Emma Lazarus, 1883)

 
 

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