Filtrare l'acqua da bere è la prima cura per tanti malati di AIDS in Mozambico: la storia di Ernesto, uno dei malati seguiti dal servizio di assistenza domiciliare realizzato dalla Comunità.
Notizie dal servizio di assistenza domiciliare ai malati di AIDS di Matola
A Matola, la città sobborgo di Maputo dove è iniziata dalla scorsa estate l’attività di assistenza domiciliare ai malati di AIDS, è terminata la ricostruzione della casa che serve da ufficio e centro di questo servizio.
E’ una bella casetta bianca ad un piano. Qui, ogni mattina, si raccolgono gli operatori e gli infermieri che visitano a domicilio i malati.
Ma il centro è anche una “casa” per chi è in cura: si viene per effettuare i controlli delle cure, ma anche per chiedere consigli ed esporre problemi. Inoltre, due volte la settimana, un medico mozambicano visita i pazienti.
La casa è anche il luogo dove si imparano alcune cose semplici, che consentono di resistere alla malattia: per esempio ad usare i filtri per ottenere l’acqua potabile.
Ai malati il centro piace molto, ed in effetti è una vera casa, bella, confortevole, molto diversa dai canissi (le case di canne) dove molti di loro abitano.
Sono molto sorpresi che quella casa sia per loro, che possano entrare, sedersi, starci insieme ad altri. Questo è motivo di stupore anche per il personale dell’ospedale vicino e per le nostre stesse infermiere, che hanno imparato in questi mesi di lavoro con la Comunità un inconsueto rispetto per i malati. Questi, infatti, sono abituati ad aspettare per ore sotto il sole o la pioggia, all’aperto.
C’è perfino chi pensa che questa casa sia troppo bella per i malati: qui sono loro i più importanti. E’ un po’ il mondo alla rovescia.
Molti dei malati seguiti stanno meglio: hanno cominciato a bere acqua filtrata e clorata raccolta nei contenitori che abbiamo distribuito. Inoltre i loro pasti sono più ricchi e più nutrienti perché ricevono settimanalmente una integrazione alimentare durante la nostra visita nella loro casa.
Paola Germano
La storia di Ernesto: dove può l’intelligenza dell’amore
Ernesto è un padre di famiglia, che vive a Matola 2. Lo abbiamo incontrato ad agosto, nascosto nel dedalo anonimo di viuzze sterrate di Infulene, nella sua povera casa di due vani. Un uomo alto, consumato dall’AIDS, magrissimo e indebolito da una diarrea che lo perseguita da 14 mesi, circondato da sua moglie, i suoi 4 bambini ed altri conviventi, accolti con quella generosità africana dei poveri che tanto spesso fa diventare larghe le famiglie.
C’è anche una nonna con il suo nipotino sieropositivo. Ernesto non lavora più da tempo, non ne ha le forze.
Lo aspettiamo 20 minuti, perché tanto è il tempo che gli serve per vestirsi. Durante l’incontro lo vediamo passare dalla tristezza alla speranza, non tanto per quello che dice, ma per quel suo sguardo di uomo incupito dal dolore e dalla malattia che pian piano diviene curioso, stupito. Ci racconta di quel suo problema, di quella diarrea che lo sfinisce, per cui nessuno ha avuto soluzioni, non i guaritori, non i rimedi a base di erbe e nemmeno la medicina dei bianchi.
Lo adottiamo come paziente nel nostro servizio.
In questi mesi la sua famiglia ha ricevuto cibo, cure mediche ed anche un buon filtro dell’acqua. E finalmente, pochi giorni fa, lo incontriamo con sorpresa al centro dell’assistenza domiciliare, dove è voluto recarsi di persona per ringraziarci. La diarrea lo ha finalmente lasciato e lui è venuto a comunicarci la sua gratitudine per quella che sente già come una guarigione dalla malattia.
E’ bello ritrovarlo in forze, anche un po’ ingrassato, e non può non venirci in mente che è bastato quel filtro, 120.000 lire in tutto, per dare a lui e a tutta la famiglia un’acqua decente da bere. L’acqua sembra niente a noi occidentali. Per noi l’acqua è un prodotto sofisticato. La vogliamo calda o ben fresca, gasata, diuretica, effervescente ma non troppo, la facciamo scorrere dai nostri rubinetti senza quasi accorgercene. Ma cos’ è l’acqua in Africa? E’ quel che era in Europa all’alba della transizione demografica, nell’800: poca, sporca e difficilmente accessibile. Abbiamo forse dimenticato che furono anche le nuove realizzazioni di acquedotti e fognature un po’ lungo tutto il continente europeo a dare vita alla impressionante riduzione della moria di bambini e adulti per malattie gastrointestinali.
E allora l’intelligenza dell’amore è anche ricordarsi di dar da bere acqua pulita a tutti.
Affrontare l’AIDS per noi è anche questo, porci oggi il problema dei filtri, ma anche quello degli acquedotti e delle fognature.
Come non pensare al carcere di Matola: 2.000 persone senza un servizio igienico, come non pensarci soprattutto quando piove e si finisce per vivere nella melma.
Per noi l’AIDS è anche pensare al cibo, all’acqua, all’igiene minimale in un mondo di piaghe e di parassiti, di infezioni opportunistiche e di enteriti, in una parola, è pensare alla povertà.
Ernesto, ne siamo certi, è solo il primo ‘guarito’ di una lunga schiera.
Ci viene in mente un intervento effettuato in Albania, ai tempi del colera. Allora cercavamo cloratori per le reti idriche che servivano un milione di persone. E non fu difficile trovarli, erano una piccola parte dell’enorme stock di riserva nei magazzini del Ministero della Sanità italiano. Chissà quante vite hanno salvato.
Leonardo Palombi |