COMUNICATO STAMPA:
Con la sentenza resa sul caso Hirsi e altri contro l’Italia, il Giudice di Strasburgo ha condannato la pratica dei respingimenti in mare, ripetutamente attuati da mezzi navali italiani senza dare ai migranti, riportati contro la loro volontà sulle coste libiche, l’opportunità di richiedere asilo o altra forma di protezione internazionale.
Una decisione storica, che può anche contribuire a ridurre il numero delle vittime nel Mediterraneo: almeno 1500 solo nel 2011.
I fatti cui la sentenza si riferisce sono legati alla nota decisione italiana, di riaccompagnare a Tripoli, su imbarcazioni italiane, circa 200 persone di nazionalità somala ed eritrea (tra cui bambini e donne in stato di gravidanza), contro la loro volontà, senza che fossero prima identificati, ascoltati e neppure preventivamente informati sulla loro destinazione. In tal modo i migranti intercettati in acque internazionali il 6 maggio 2009 a 35 miglia a sud di Lampedusa non ebbero alcuna possibilità di presentare richiesta di protezione internazionale in Italia.
Molti dei respinti hanno poi subito maltrattamenti e violenze al loro ritorno in Libia. Altri sono morti tentando di raggiungere nuovamente le coste italiane, secondo testimonianze di compagni di viaggio, successivamente e diverse testimonianze di familiari e amici giunti fortunosamente in Italia che la Comunità di Sant’Egidio ha incontrato ed accolto.
Tra coloro che invece si sono salvati c’è anche chi, dopo essere stato respinto, ha di nuovo rischiato la vita per mare, riuscendo finalmente ad arrivare in Italia e ad ottenere lo status di rifugiato.
La Comunità di Sant’Egidio aveva con forza suggerito al governo italiano di non attuare una politica di respingimento indiscriminato, che contravveniva gli standard europei che vietano:
1) secondo il principio di non-refoulement, l’espulsione e il rimpatrio verso un Paese in cui esista il rischio di essere sottoposti a torture o altri trattamenti inumani o degradanti;
2) l’espulsione collettiva di stranieri sancita dall’art.4 del Protocollo n.4 alla Convenzione Europea dei Diritti Umani (CEDU) prima di essere identificati e consegnati alle autorità libiche (che non avevano aderito alle Convenzioni internazionali, nel campo, come è noto );
3) il respingimento di persone senza che queste abbiano la possibilità, prima, di presentare domanda di protezione in Italia.
Numerosi ricorsi sono stati accolti e molti dei respinti, dopo un secondo viaggio, hanno visto la propria domanda di asilo accolta, per intervento dell’ ACNUR. Molti sono poi fuggiti in Tunisia dopo l’inizio del conflitto in Libia, altri sono stati oggetto di rappresaglie da parte di milizie fedeli al regime, sia da parte degli insorti, altri hanno dovuto nascondersi nel deserto senza acqua e cibo. Uno dei ricorrenti – ricorda l’Unione forense per la tutela dei diritti umani - , E.B., è riuscito a raggiungere successivamente l’Italia ed è stato trattenuto per mesi nel CARA di Crotone in attesa di una decisione sulla domanda di asilo. Il 21 giugno 2011 ha visto riconosciuto lo status di rifugiato da parte delle autorità italiane dopo un primo respingimento.
Non siamo felici della condanna che colpisce il nostro Paese, anche se era prevedibile e se la Comunità di Sant’Egidio aveva invitato il governo italiano a ripensare il provvedimento.
La decisione della Corte europea favorisce definitivamente, ci auguriamo, una politica saggia e rispettosa dei diritti umani di fronte alle grandi migrazioni mondiali. E’ un’occasione, in maniera lineare e trasparente, per rilanciare una iniziativa europea, concordata, per fare fronte al problema delle migrazioni verso l’Europa.
|