“Tra noi africani e voi europei siamo una sola famiglia”. Luis aveva solo 44 anni. E’ stato uno dei primi pazienti del programma di lotta all’AIDS. La Comunità lo accompagnato negli ultimi mesi di vita.
Luis aveva 44 anni ed era malato di Aids. L’avevamo conosciuto a Novembre a Matola. Era un militare “ dislocato” e viveva di stenti con una pensione di circa 30.000 lire al mese, in una poverissima casa di Matola Rio, con una famiglia di circa 10 persone.
Era malato da molto tempo e dopo un ricovero nell’ospedale di Machava era stato dimesso in condizioni molto critiche. Andavamo tutti i giorni a casa sua per curarlo, assicurandogli gli alimenti e il trasporto in ospedale per le visite di controllo.
In queste ultime due settimane la sua situazione si era ulteriormente aggravata. Era arrivato a pesare circa 25 kg. Abbiamo intensificato il nostro intervento, garantendogli una reidratazione intensiva, terapie mediche mirate, un’aggiunta di alimenti idonei e visite mediche ed infermieristiche quotidiane.
Mercoledì, viste le sue aggravate condizioni, abbiamo deciso di portarlo in ospedale. La macchina del servizio domiciliare è diventata un’ambulanza. Lo abbiamo portato in ospedale con una barella, con l’aiuto dei ragazzi del servizio, e grazie alla fattiva collaborazione dei medici dell’ospedale, è stato subito ricoverato. In ospedale Luis ha ricevuto per due giorni un idoneo trattamento medico e due volte al giorno i ragazzi del servizio domiciliare gli hanno assicurato pasti caldi e cure igieniche particolari.
Venerdì mattina, proprio durante la visita medica, Luis è spirato.
La famiglia, non potendo assolutamente permettersi un funerale, si era rassegnata a lasciare che Luis venisse portato nella cosiddetta “valle comune“, senza bara, dove vengono gettati i corpi degli indigenti.
Abbiamo allora deciso di sostenerli nel loro ultimo desiderio e abbiamo organizzato un funerale per il nostro amico, assicurandogli il trasporto e la bara.
La mattina dopo, con loro grande sorpresa, i familiari sono stati accompagnati dalla nostra macchina in ospedale, per seguire il corteo.
Noi ed i ragazzi del servizio domiciliare seguivamo dietro con l’altra macchina, come una nuova ritrovata famiglia.
Al cimitero, davanti alla buca dove è stato poi deposto, ci siamo riuniti a pregare ascoltando un salmo ed il Vangelo. Poi mentre veniva cantato un canto tradizionale, abbiamo deposto ciascuno un fiore, lanciando una manciata di terra.
Al termine della piccola cerimonia, il figlio maggiore ha preso la parola, e dopo averci ringraziato ha aggiunto: ”Oggi qui abbiamo visto che tra voi europei e noi africani non c’è differenza. Oggi siamo tutti una famiglia“.
Gianni Guidotti |