E’ nota la condizione dei 67 mila detenuti delle carceri italiane, costretti a vivere in istituti penitenziari che hanno una capienza complessiva di 45mila posti.
In questa estate infuocata in carcere tutto diventa più difficile. Il caldo è un motivo di malessere in più e va ad aggravare il sovraffollamento già patito da lungo tempo.
D’estate le prigioni cambiano, tutto è fermo: chiuse le scuole, le attività e i servizi ridotti al minimo o sospesi, i tribunali fermi, molti operatori in ferie e le visite dei familiari si diradano, talvolta anche la liturgia non è sicura per la carenza di cappellani. Non resta che aspettare una notizia, una lettera, una visita. Chi è malato fa i conti con le ferie dei medici e degli infermieri. La fragilità, il disagio, la malattia causano numerosi gesti di disperazione, come quelli che si sono verificati in questi mesi in tante carceri d’Italia.
Il Ministro della Giustizia Paola Severino, in seguito al suicidio di un ragazzo tunisino affetto da disturbi psichiatrici, ha visitato il carcere di Regina Coeli per incontrare i detenuti, per rendersi conto personalmente delle reali condizioni e prendere alcuni impegni.
In questa difficile situazione abbiamo intensificato l’aiuto, le visite, gli incontri nelle carceri.
Tante iniziative nelle carceri di Roma, di Napoli, di Firenze: feste, concerti e cocomerate, e in Liguria nelle carceri di Genova di Chiavari, Imperia e Savona, e in Piemonte nel carcere di Vercelli con distribuzioni di generi di prima necessità a chi non ha ciò che serve per vivere dignitosamente. Quest’anno incontri anche con i detenuti delle carceri pugliesi di Foggia, Trani e Lecce e nel carcere più grande della Sardegna, quello di Cagliari. Sono momenti di ristoro, che fanno sentire di non essere dimenticati e accendono la speranza nel futuro.
Ma i detenuti e le detenute non chiedono solo di essere aiutati, ma anche di essere utili agli altri, ad esempio ai terremotati dell’Emilia. Le donne del carcere di Pozzuoli, in sciopero della fame per una settimana, hanno fatto sapere alla Comunità di Sant'Egidio: “Vogliamo che il nostro sacrificio non significhi buttare via quello che può essere importante per chi è povero: tutto il cibo che non consumeremo vogliamo regalarlo a voi perché lo portiate ai poveri di Napoli, agli anziani e a chi vive per strada.”
Per una settimana gli anziani e i poveri senza casa hanno mangiato mozzarelle, formaggio, meloni, carote, melanzane, peperoni, latte e mortadella. Tutto preparato con cura dalle detenute.
Nelle carceri italiane prosegue da tre anni ormai l’impegno per la campagna “Liberare i prigionieri in Africa”, sostegno concreto a chi come loro è prigioniero, ma nelle terribili carceri africane, dove manca tutto e il rischio di morire è molto alto. Le foto di prigionieri con le catene alle caviglie e le immagini delle celle, dove, viene spiegato, non tutti possono sdraiarsi contemporaneamente in terra per dormire, hanno un forte impatto su chi vive l’esperienza dura della privazione della libertà.
La drammatica condizione dei prigionieri africani è percepita dai detenuti come ingiusta e intollerabile. Essi rispondono con grande sensibilità e offrono generosamente il poco che hanno per aiutare chi vive così miseramente. Al contempo nei prigionieri africani è grande l’apprezzamento di questo aiuto che viene da chi soffre la stessa prigionia. Questa solidarietà che dalle carceri italiane raggiunge quelle africane ha dato buoni risultati: molti hanno potuto mangiare e ricevere il dono del sapone, per altri è stato pagato il riscatto e sono stati liberati. Davvero anche chi è povero può aiutare chi è più povero. La campagna, come ben precisato in una lettera scritta dai detenuti di Regina Coeli, vuole creare con tante piccole “gocce”, un oceano di solidarietà. |