Tutti dentro. Non è un delirio giustizialista ma un appello accorato, quello che Antonio Mattone lancia con "E adesso la palla passa a me" (Guida): dieci anni di volontariato nel carcere di Poggioreale testimoniati da una cinquantina di articoli usciti sul quotidiano "Il Mattino" e raccolti nel volume che si presenta oggi alle 17,30 nella sala del refettorio di San Domenico Maggiore. Con l'autore ci saranno il giornalista Antonio Manzo, il sottosegretario alla Giustizia, Gennaro Migliore e Stefania Tallei, della Comunità di Sant'Egidio. L'assessore alla cultura Nino Daniele saluterà gli intervenuti che saranno moderati da Alessandro Milone, mentre le letture sono affidate a Maria Castronuovo e all'attore Gennaro Silvestro.
In un paese come l'Italia, in cui i detenuti sono circa 60mila, parlare di carcere significa imbattersi in problematiche relative al sovraffollamento degli istituti, all'inadeguatezza delle strutture, agli effetti nefasti dell'inattività prolungata, alla presenza, sempre più numerosa di extracomunitari senza famiglia.
Una realtà complessa e difficile nella quale Mattone si muove con delicatezza e rispetto, nella consapevolezza che se, come recita la Costituzione, le pene "non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato", allora la società non può non interessarsi a quello che avviene dietro le sbarre.
Perché se il carcere non rieduca, inevitabilmente diventa un incubatore di criminali, pronti nuovamente ad agire nell'illegalità, non appena le loro condanne sono state eseguite. Infatti, il carcere, così com'è oggi in Italia, "è cancerogeno", scrive Mattone con un'espressione molto efficace. Quali le proposte per spezzare il circolo vizioso che proprio nel carcere vede il suo catalizzatore? Non è l'autore a fornirle, ma il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, che ha firmato la prefazione del libro: si tratta sia di favorire le misure alternative alla detenzione, sia di incoraggiare il lavoro e lo studio in carcere, ma anche di lavorare sulla sburocratizzazione e sullo svecchiamento del linguaggio che, per come viene praticato all'interno delle case circondariali, è infantile e mortificante.
Invece, il compito che Mattone si pone è quello di accompagnare il lettore dentro la realtà carceraria, in modo da avvicinarlo a un mondo che, pur nella sua separatezza, gli è molto più vicino di quanto egli stesso non creda. Perché dietro quelle mura alte e spesse ci sono degli uomini: condannati molti, in attesa di giudizio tanti, in custodia cautelare troppi. Tutti accomunati da una colpevolezza accertata o da verificare, è vero, ma innanzitutto "uomini". Ed è verso questa "umanità dolente" che si dirige lo sguardo attento di Mattone. Che, non a caso, usa un'espressione dantesca. Solo che qui, "la città dolente", come il poeta chiamava l'Inferno, non si trova nell'altro mondo ma è la realtà, concreta e tangibile, del carcere.
Mattone vi si avvicina, prima con circospezione da neofita e poi con sempre maggior confidenza, ogni volta con compassione e sollecitudine: non da giudice, ma da amico.
È il senso evangelico delle opere di misericordia che Mattone mette in atto: membro storico della Comunità di Sant'Egidio, l'autore vive il suo cristianesimo con passione e determinazione. La sua non è una carità sdolcinata e umiliante: quello che gli interessa è aiutare i detenuti a non dimenticare di essere uomini.
Non si tratta allora di offrir loro una spalla su cui piangere, ma soprattutto di regalare un momento di serenità: il pranzo di Natale, lo show di un cantante famoso, la visita di una personalità importante rappresentano una boccata d'aria luminosa nel grigiore stagnante della vita in cella. Forse il primo passo verso il recupero della dignità perduta. Si spiega così anche il titolo del libro: «E adesso la palla passa a me» l'ha detto a Mattone un detenuto sul punto di essere scarcerato. Un'esplicita ammissione di responsabilità nei confronti dell'unica partita che meriti di essere giocata fino in fondo, quella della vita.
Un libro coraggioso perché punta l'obiettivo là dove gli altri girano gli occhi. Su coloro che dai più vengono guardati con disprezzo e considerati rifiuti sociali. Su coloro che, essendo privati dei diritti politici, non garantiscono voti e quindi non sono interessanti per chi aspira a consolidare il proprio potere. Su coloro verso i quali, risulta anzi più conveniente, da un punto di vista strettamente elettorale, dichiararsi spietati.
Mite nei toni ma lucido nei contenuti, "E adesso la palla passa a me" fotografa un universo tragico davanti al quale l'autore non si sente, in quanto uomo, di rimanere indifferente. E così fa una scelta di campo: si schiera dalla parte degli ultimi, dei miseri, dei reietti riconoscendo loro la dignità di uomini. E così indica la via per un riscatto possibile.
Un riscatto per i detenuti, che solo partendo dalla dignità ritrovata possono pensare a ritornare nella società da cittadini liberi e disposti a vivere nel rispetto della legge.
Un riscatto per la società intera che, lasciandosi inquietare dalla testimonianza di Mattone, deve darsi da fare a trovare, per arginare la delinquenza, soluzioni diverse dal "mettiamoli dentro e buttiamo la chiave". Magari rispondendo a quella che rimane la più straordinaria provocazione di Cristo: "Chi è senza peccato, scagli la prima pietra".
Armida Parisi
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