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24 Maggio 2015

Romero. A San Salvador in 265mi1a per la beatificazione

L'arcivescovo Romero beato. Fu voce profetica dei poveri

La festa di un popolo che lo ha sempre considerato un difensore dalle ingiustizie. Il postulatore Paglia: la difesa degli ultimi fu la causa della «sentenza» di morte

 
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"L'arcivescovo, martire, che, sostenuto da Cristo, pietra angolare, donò la vita per la costruzione del Regno, d'ora in avanti sarà chiamato beato". Il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle cause dei santi e delegato del Papa a San Salvador, ha scandito le parole contenute nella Lettera di Francesco con vibrante emozione. Pochi istanti dopo, il pesante telo azzurro è caduto, scoprendo il ritratto ufficiale del nuovo beato, Oscar Amulfo Romero y Galdaméz.
Un'ondata di emozione ha travolto la folla radunata in Plaza de las Americas. Un oceano di ombrelli colorati, utilizzati dalla gente per ripararsi dal sole tropicale. Almeno 260mila persone, questo affermano le stime, si sono strette di fronte al Divino Salvador del Mundo, patrono di El Salvador e monumento-simbolo del Paese più piccolo dell'America Latina, per la Messa di beatificazione del loro Monsehor (come i salvadoregni chiamano l'arcivescovo martire), assassinato il 24 marzo 1980. E proprio il 24 marzo è stata fissata la sua memoria liturgica.
Stava celebrando l'Eucaristia nella cappella dell'ospedale della Divina Provvidenza, come ha sottolineato  l'arcivescovo Vincenzo Paglia, postulatore della causa, nel leggere la breve biografia del nuovo martire. Le omelie profetiche e l'impegno nella difesa dei poveri contro la repressione del regime furono la sua sentenza di morte. Ora, 35 anni dopo, Romero trascende i confini di El Salvador per essere iscritto nel novero dei beati della Chiesa: la camicia strappata dal proiettile assassino è stata la prima reliquia portata in processione all'altare dopo il rito di beatificazione.
Ieri è stata una giornata epocale un popolo che, dalle parole di Monsehor, ha tratto luce e ispirazione per affrontare i momenti più bui della sua storia tormentata: 12 anni di guerra civile, terminata nel 1992, e altri 17 perché potesse esserci una vera alternanza democratica. «Diamo grazia a Dio perché ha concesso all'arcivescovo martire la capacità di vedere e ascoltare la sofferenza del suo popolo, e ha reso sensibile il suo cuore affinché, nel suo nome, lo orientasse e illuminasse», ha scritto Francesco nella lettera indirizzata all'attuale arcivescovo di San Salvador, José Luis Escobar Alas, che ha espresso un profondo grazie al Papa.
«La sua opzione per i poveri non era ideologica ma evangelica», ha sottolineato il cardinale Amato nell'omelia della Messa, celebrata da cinque porporati e 1.500 sacerdoti. Prudente e misurato di carattere, Romero ha avuto dallo Spirito il dono «di una speciale fortezza pastorale - ha aggiunto il prefetto della Congregazione delle cause dei santi - che gli ha permesso di collocarsi senza riserve dalla parte degli oppressi». Le parole dell'arcivescovo, però, non erano mai «un incitamento all'odio e alla vendetta ma un'accorata esortazione di un padre ai suoi figli divisi che venivano invitati al perdono, all'amore, alla concordia», ha sottolineato il cardinale Amato, più volte interrotto dagli applausi della folla.
E proprio a Romero, El Salvador guarda per liberarsi dal fardello di un'eredità violenta e costruirsi un futuro di pace. «Non posso crederci, è un sogno che si avvera per tutti noi», dice Marita, giunta dalla periferia nella Plaza dalle 3 del mattino per poter assistere all'evento, iniziato alle 10 locali (le 18 italiane) e andato avanti per oltre tre ore. Accanto a lei contadini dei villaggi più remoti di El Salvador, spesso analfabeti ma in grado di citare a memoria interi brani delle omelie romeriane. Il rapporto tra Monsehor e la gente era così stretto che l'arcivescovo diceva «Il popolo è il mio profeta», come scrive Alberto Vitali in "Oscar Romero, pastore di agnelli e di lupi" (Paoline) .
Alla beatificazione, però, hanno partecipato persone dall'intero Continente. E dal mondo. Anche dall'Italia. Tra questi, Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio che in questi anni si è spesa per la causa di beatificazione. «È un grande riconoscimento del cattolicesimo latinoamericano - dice lo storico -. Ed è bello che avvenga durante il pontificato di un Papa latinoamericano».


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