Stanno lavorando a un appello ai capi di Stato e di governo che si riuniranno a San Pietroburgo, in Russia, giovedì, e intanto avvisano che la loro diplomazia «corsara», che ha già avuto successo in diverse crisi dopo la mediazione per la pace in Mozambico agli inizi degli Anni Novanta, adesso è pronta a tessere il dialogo per una soluzione del conflitto siriano. Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant'Egidio, rivela che all'inizio della crisi la Comunità aveva tentato di mediare per incoraggiare chi in Siria voleva la pace e una soluzione politica che traghettasse il Paese verso maggiore libertà e democrazia: «Ma poi il fragore delle armi e il disinteresse della comunità internazionale ha fatto crollare ogni ipotesi di tavolo negoziale».
Presidente, ma oggi qual è la novità? «La giornata di preghiera e di digiuno promossa da Papa Francesco apre una breccia e inchioda la comunità internazionale alle proprie responsabilità. Il Papa in sostanza dice basta ai riti dell'impotenza diplomatica a cui assistiamo da mesi. È un gesto concreto, il primo che fa un leader mondiale. È una mano tesa per uscire dall'impasse».
È anche una critica a Obama, che scaldai motori dei jet? «Intanto c'è una fortissima condanna dell'uso delle armi chimiche. Sicuramente poi si può leggere un invito agli Stati Uniti a non scartare le vie diplomatiche. Barack Obama ha grande considerazione della figura di Papa Francesco e del ruolo della Chiesa. Il capo del suo staff, Denis McDonough, è cattolico, fratello di un sacerdote che lavora in Minnesota, e da ciò che sappiamo è stato lui l'artefice della decisione di Obama di fermare per ora i cacciabombardieri».
La Santa Sede ieri ha parlato esplicitamente di rischio di conflitto mondiale... «Sarebbe lo scenario peggiore. Finora i conflitti in Medio Oriente hanno mantenuto un profilo militare regionale con implicazioni politiche mondiali. Ma da quelle partì tutto è molto delicato e il rischio dell'escalation del terrorismo è sempre dietro la porta. In più c'è il pericolo del coinvolgimento del Libano, dove gli attentati contrapposti stanno rendendo rischiosa la situazione, riproponendo lo scontro tra sciiti e sunniti. Il Papa è molto preoccupato, ma fino a oggi sembra che sia l'unico a esserlo».
Lo ha dimostrato con il tweet in cui ha riproposto l'appello di Paolo VI all'Onu? «E stato il segnale più importante dei forti timori della Santa Sede. Quell'appello, mai più la guerra, impressionò il mondo e Papa Francesco spera che oggi abbia lo stesso effetto». Sabato sarà una giornata di preghiera e digiuno.
Ci si può aspettare, secondo lei, anche un'azione diplomatica più diretta della Santa Sede? «Vedremo. Il Papa ha appena nominato il nuovo Segretario di Stato, monsignor Piero Parolin, che è un finissimo diplomatico. Ma già l'annuncio della giornata di sabato sta costringendo le diplomazie a fare i conti con la propria impotenza di questi mesi».
Il Gran Muftl di Damasco ha detto che vorrebbe partecipare alla preghiera in piazza San Pietro. Si tratta di una presenza opportuna o imbarazzante? «È un uomo del regime assai vicino al presidente Bashar al Assad. Io credo tuttavia che la sua presenza possa essere opportuna. Potrebbe servire per aprire una linea di dialogo importante. La Santa Sede non ha mai scelto gli interlocutori sulla base di convenienza politica. Papa Wojtyla mandò in Iraq il cardinale Etchegaray a parlare direttamente con Saddam».
I musulmani come hanno preso l'annuncio della giornata di sabato? «Da quello che abbiamo saputo da molti interlocutori musulmani in contatto con la Comunità di Sant'Egidio, la scelta del Papa è stata apprezzata. Sono stati molto colpiti dal fatto che Bergoglio abbia annunciato preghiera e digiuno. Il digiuno è un spetto fondamentale della fede musulmana, che abbraccia tutte le diverse espressioni dell'islam, ed è il segno che il Papa considera importante la partecipazione dei musulmani alla preghiera per la pace in Siria e nell'intero Medio Oriente».
Insomma ritorna lo «Spirito di Assisi» di Karol Wojtyla? «Io credo che quello che chiamiamo lo "Spirito di Assisi" faccia ormai parte della tradizione della Chiesa. È cresciuto con Giovanni Paolo II, è stato rafforzato daBenedetto XVI e oggiviene riproposto come un fatto del tutto normale da Papa Francesco. Di fronte alla guerra e alla violenza servono parole e gesti, serve l'invettiva di Paolo VI e il dialogo e l'abbraccio di Assisi. Gli uomini di religione possono far molto per favorire l'apertura di tavoli, anche di trattative diplomatiche. La comunità internazionale non può far finta di niente e lavarsene le mani un'altra volta».