Un altro barcone della morte, un altro tributo di vite sul Canale di Sicilia, un cimitero a cielo aperto che continua ad inghiottire uomini, donne, bambini. Per lo storico Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant'Egidio, l'«Onu di Trastevere», come viene chiamata per la sua opera di dialogo nei quattro angoli del mondo, quella dei barconi della morte «è un'escalation che non permette più di attendere». Come ministro della Cooperazione italiana con delega all'immigrazione nel governo Monti, Riccardi ha analizzato bene il problema. «Prima del mio ministero - dice - sembrava che l'Italia dovesse essere soggetta a un'invasione di fronte alla quale dovevamo alzare muri, palizzate, pattugliare le sponde per sostenere la politica dei respingimenti. In realtà il problema è un altro».
E quale?
«Dobbiamo considerare che nella maggior parte dei casi non si tratta di immigrati economici, ma di rifugiati. Non ci stanno invadendo, ma chiedono un sacrosanto diritto d'asilo. Sono in fuga dalla guerra, dalle persecuzioni, vengono dalla Siria, dall'Eritrea, dall'Etiopia, dall'Iraq e da altri Paesi in cui sarebbero imprigionati, torturati, uccisi. È un loro diritto essere assistiti e un nostro dovere accoglierli, in base alle leggi di diritto internazionale e ai principi umanitari».
Però è nelle cose che l'Italia sia l'unico Stato a sostenere i costi e il lavoro della missione umanitaria della Marina italiana «Mare Nostrum». L'Europa, a partire dal commissario uscente degli Affari interni dell'Unione europea, Cecilia Malmstrom, è stato quasi del tutto indifferente, a parte qualche paternale spesso fuori luogo...
«È chiaro che la missione "Mare Nostrum" deve diventare un'operazione europea. Bisogna rovesciare la prospettiva del chiudere e aprire le frontiere, come se la costa meridionale dell'Europa fosse una saracinesca. Bisogna fare dei rifugiati e anche degli immigrati economici anche una grande opportunità per far crescere il Vecchio continente. Da questo punto l'istituzione di un commissario europeo per l'Immigrazione potrebbe essere un passo in avanti verso questa direzione, verso questa prospettiva nuova, così come è avvenuto con la creazione del mio ministero».
Come giudica l'azione del governo Renzi in sede europea?
«Il governo Renzi ha mostrato una certa capacità in sede europea, soprattutto a proposito della necessità di una maggiore flessibilità nei vincoli di bilancio. E credo che questa capacità vada utilizzata anche per il problema epocale dell'immigrazione. I rifugiati non devono rischiare la vita solcando le acque del Canale di Sicilia, dopo chilometri e chilometri di marciane' deserto, soggetti alle organizzazioni criminali di mercanti di uomini. Dobbiamo dare loro la possibilità di fare domanda di espatrio in loco, in Sudan, in Egitto, per poi raggiungere l'Europa attraverso corridoi umanitari, in modo da stroncare i traffici di questi mercanti senza scrupoli».
La nuova governance europea può essere più sensibile alle ragioni dei Paesi della sponda meridionale?
«Io credo che sia possibile. Lo si vede già dall'atteggiamento nuovo che sembra uscire dai palazzi del potere di Bruxelles. Già parlare di un commissario all'Immigrazione offre una nuova prospettiva. Del resto anche noi italiani ci siamo rivolti a Bruxelles offrendo più lamentele - a volte anche strumentali - che proposte costruttive per risolvere un problema epocale che coinvolge milioni di uomini. Il problema è creare una maturazione della coscienza europea, capire che si tratta di uomini come noi in difficoltà gravi, che sarebbero rimasti volentieri in casa propria e che invece hanno dovuto fuggire dalle bombe, come ad esempio in Siria, la cui crisi terribile non è avvertita dalla popolazione del Vecchio continente. Bisogna anche guardare alla crisi libica. La Libia è un punto di passaggio importante dei flussi dei rifugiati. Anche in Libano ogni mille immigrati ci sono 180 rifugiati dell'Iraq. L'Europa deve essere un soggetto importante in quell'area, non può restare a guardare da Bruxelles o da Varsavia, dove ha sede il Frontex, l'Agenzia di immigrazione europea».
E per quanto riguarda l'immigrazione economica cosa dovremmo fare?
«Credo che per gli immigrati in cerca di lavoro l'atteggiamento dell'Europa dovrebbe fare un passo in avanti. L'emigrazione dalle regioni africane di molti giovani impoverisce le loro terre di origine. Noi europei dovremmo prima di tutto aiutare i governi a convincerli che il loro futuro non è altrove, ma proprio nella terra dove sono nati. Questo ovviamente non può essere fatto solo dando paterni consigli, ma attraverso il rafforzamento della cooperazione economica, agendo sui governi degli Stati africani, creando anche delle agenzie di collocamento e di sviluppo in loco. Ripeto, è il cambiamento di prospettiva culturale che deve cambiare. Ma ho fiducia che tutto questo possa avvenire, anche per l'azione intelligente che sta conducendo il nostro premier in questo avvio del semestre di presidenza europea».
Lorenzo Rossi