Economista, Confrontations Europe, Francia
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Denunciare l’ampiezza delle ineguaglianze nel mondo non evidenzia il problema essenziale: l’ampiezza crescente delle esclusioni umane sotto tutte le forme. Molti popoli sono riusciti a sottrarsi a una miseria profonda nel contesto della mondializzazione, ma la disoccupazione, la precarietà, la fragilità crescono. L’indifferenza e l’impotenza sono intollerabili. La crescita forte è stata la risposta essenziale del capitalismo alla questione sociale, ma l’ampiezza degli squilibri economici e finanziari mostra che essa non è sostenibile. Le divisioni fra i popoli si accentuano e la risalita del livello di violenza è visibile ovunque.
La colpa non è della sola mondializzazione. La moltiplicazione degli scambi è in effetti una fonte di interazione portatrice di più grandi progressi umani ma essa ha un lato oscuro. Noi dobbiamo imparare a far prevalere l’apertura agli altri e la condivisione sulla rivalità.
Tempo fa Magellano e i marinai hanno rivelato agli Europei l’esistenza delle popolazioni e degli spazi del mondo a loro sconosciuti fino a quel momento. Ma invece di abitarli con amore, l’Europa ha proiettato lo spirito di dominazione. Il colonialismo e l’imperialismo sono il lato oscuro della nostra eredità. L’universalismo europeo ha rivelato i suoi difetti così come le sue virtù. L’Europa ha fatto sprofondare il mondo trascinandolo in guerre catastrofiche. La grande lotta per i diritti dell’uomo e lo stato di diritto che ne è seguito è stato l’inizio di una rinascita. Essa ispira anche gli sforzi intrapresi recentemente in materia di regolamentazione economica, per il commercio, l’ambiente e la finanza. Ma questi sforzi sono ancora troppo pochi e la rinascita è incompiuta. Andrea Riccardi ce lo fa capire, quando dice che la globalizzazione è una rivoluzione antropologica e culturale che obbliga a raccogliere una sfida formidabile di rinnovo morale e politico.
Anticipando la crescita generale delle interdipendenze, Teilhard de Chardin ha sottolineato già molto tempo fa la necessità di lavorare a una coscienza dell’umanita tutta intera. Di fronte agli antagonismi, se ne misura meglio oggi la difficoltà. Si tratta di condividere le ragioni dell’intendersi e di trattare i conflitti col diritto, ma bisogna anche condividere i valori! Teilhard immaginava che la fraternità sarebbe possibile nello spirito di Cristo, era un punto di vista un pò unilaterale nei confronti della diversità e della profondità delle tradizioni. Inoltre per avanzare verso una coscienza comune è necessario radicarla nell’organizzazione dei beni comuni accessibili a tutti: risorse naturali, ma anche e di più l’istruzione, la sanità, il mercato del lavoro. Condividere dei beni essenziali per superare le differenze e le divergenze delle scelte collettive, questo è il cuore del problema della solidarietà come l’emergere dei nuovi modelli di crescita. Una prospettiva di sviluppo umano, ecologico e solidale deve aprirsi quando i tipi di crescita attuali sono ( quasi) allo stremo. Bien inteso questo implica delle mutazioni istituzionali. Paul Ricoeur ha sottolineato che un governo che non si fonda su una società civile cosciente e attiva, su una “affectio societatis”, è costruita sulla sabbia. Costruire le solidarietà implica il forgiare i tessuti delle relazioni umane al di là delle frontiere. Questo deve fare appello all’autocritica degli attori attuali della società civile e l’emergere di nuovi attori societari. Coscienza comune, sviluppo solidale, democrazia transnazionale, io sviluppo brevemente questi tre punti.
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Per abbandonare l’esclusività dei suoi valori e dei suoi beni, l’Occidente ha bisogno di un profondo decentramento. In questa prospettiva, la prova dello sguardo, poi della riconoscenza e più ancora della responsabilità degli altri, è cruciale: Emmanuel Levinas è un pioniere della creazione etica di cui noi abbiamo bisogno. Ma questo implica il riunire due creazioni più grandi : l’inserimento degli esclusi e l’organizzazione di relazioni che arricchiscono reciprocamente . Dopo l’anno Mille l’accesso degli schiavi nella Chiesa e l’uso della lingua popolare hanno permesso lo schiudersi di una spiritualità di massa incarnata in centri di solodarietà per l’accoglienza, la cura, e l’aldilà. Lo stato–nazione ha preso piede. Svolge il ruolo della Provvidenza per la protezione sociale. Ma questo sistema fa acqua; il miglior indice di questo è, lo ripeto, la crescita massiva delle esclusioni. La proclamazione del valore uguaglianza è allora una grande ipocrisia, e questo tanto più che l’elitarismo repubblicano è esso stesso una fonte maggiore di esclusione. I nodi di solidarietà esplodono. La ripresa degli sforzi delle solidarietà locali è positiva se esse sono aperte e se le popolazioni locali moltiplicano le loro relazioni con il mondo esteriore. Ma bisogna sottolinearlo, la nazione e il suo stato proteggono i propri e respingono gli altri. I valori che trascendono si scoprono nello scambio, o all’evidenza, gli scambi umani che potrebbero creare dei legami attraverso le frontiere, si scontrano con degli ostacoli istituzionali e sociali notevoli. Il bene pubblico (o comune) fondamentale, è l’uomo; ma l’uomo non si sviluppa e non crea se non nella relazione. Nella globalizzazione, beni essenziali dovrebbero essere condivisi e accessibili a tutti. Per prima cosa l’istruzione e l’accesso all’impiego. In Occidente, l’accesso di massa alla scuola è un progresso importante, ma l’istruzione nazionale rinchiude e isola I giovani in una concezione nazionale stretta dei valori e dei racconti. Bisogna moltiplicare gli scambi dei maestri e dei giovani scolari, fin dalla giovane età. Per quanto riguarda la cultura dell’Impiego nazionale, che ha fatto disastri nel periodo fra le due guerre, riappare oggi che la società e lo stato si rivelano impotenti a creare dei posti di lavoro per contenere la disoccupazione. Bisogna organizzare un mercato del lavoro su scala dell’Unione europea, aperto agli scambi con l’esterno. Nell’ora della rivoluzione informatica, la mobilità di spirito e di attività è un imperative. I percorsi di mobilità per la formazione e l’impiego devono essere facilitati e organizzati con delle reti di solidarietà attive. Il test delle migrazioni è il più violento e il più complesso. Gli esclusi dall’interno si oppongono loro stessi agli esclusi dall’esterno. L’Europa, Germania in testa, cerca di organizzarsi per l’asilo e l’accoglienza, essa deve farlo in solidarietà. Ma l’accoglienza implica in seguito dei progetti di inserimento… ed eccoci davanti alla necessità di cooperazione fra mercati del lavoro allargati.
Sottolineiamo anche che la maggior parte delle popolazioni del pianeta non beneficia di sistemi pubblici di protezione sociale. Per esempio, il 95% della popolazione mondiale non è protetta da catastrofi climatiche. Gli stati saranno sollecitati e devono cooperare, ma le imprese, I settori finanziari privati, le associazioni anche e sempre di più. Una catena di montagne e di reti di partenariati pubblici-privati deve essere concepita.
In questi campi nazioni e stati mostrano I loro limiti. Un muro deve essere superato per prenderne coscienza.
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La divisione del lavoro ha cambiato natura nella globalizzazione e nella rivoluzione informatica. La produzione di beni e servizi non è più limitata al territorio locale e nazionale. Ogni prodotto è il frutto di attività ripartite in diversi paesi e coordinate, delocalizzabili e rilocalizzabili. Allora il ruolo ancestrale delle solidarietà ci manca sotto I nostri piedi.
Nelle grandi metropoli del mondo, l’esclusione è violenta e I più ricchi rompono I legami con la società. Le reazioni sono vivaci. Anche I movimenti regionalisti si moltiplicano, ma essi possono essere significativi di una globalizzazione egoista più che solidale. In effetti la solidarietà interregionali diminuisce nelle nazioni mentre essa dovrebbe accompagnare i tentativi di rinnovamento dell’attività e dell’economia locale, e le cooperazioni interregional transnazionali restano molto deboli nell’Unione Europea. Le nostre società si frammentano. La de-globalizzazione diviene uno slogan politico nel nome della protezione delle popolazioni, ma la rottura delle catene di produzione e di scambio internazionalizzate avrebbe un prezzo troppo alto. Invece di una prospettiva di progresso ci vorrebbero delle concertazioni per una divisione armonizzata internazionale del lavoro.
Il progresso della coscienza della sfida climatica e più generalmente ecologica è una buona notizia. Prendersi cura del nostro ambiente naturale è indissociabile dal rispetto di se stessi e degli altri. Ma si è ancora lontani dai progressi della solidarietà che questo implica nel funzionamento dell’economia mondiale. Numerosi popoli hanno un bisogno vitale di crescita forte in un contesto di forte crescita demografica. Questo richiede trasferimenti tecnologici e finanziari massici da parte dei paesi sviluppati. Ora la crescita di questi si è basata sulla competizione e lo scambio ineguale, e non sulla cooperazione. Papa Francesco ha ragione a sottolineare che il Nord ha un debito ecologico rispetto al sud e di volere stabilire un legame stretto fra la lotta per l’ambiente e la protezione sociale dei più deboli. La costruzione dei mercati del carbone dove gli inquinanti saranno tariffati deve andare di pari passo con la mobilitazione del risparmio per gli investimenti massivi della decarbonizzazione dell’economia. Non si tratta quindi di offrire compensazioni sociali di solidarietà per I paesi poveri. Io vedo d’altra parte che gli africani non chiedono aiuto pubblico ma sopratttutto una cooperazione umana e produttiva per I loro sforzi di sviluppo. L’imperativo ecologico è per me una dimensione dell’imperativo dello sviluppo umano ma non l’unica, e concepirla isolatamente non potrebbe che essere un fallimento.
Lo sviluppo solidale è annullato dall’accumulo dei debiti, che siano evidenti o nascosti. Nell’Unione Europea la nozione stessa di solidarietà è ridotta al problema delle relazioni fra creditori e debitori. La remissione dei debiti si deve organizzare, con gli impegni dei beneficiari concepiti nell’interesse reciproco.
La solidarietà è molto di più e meglio che un semplice trasferimento dei ricchi verso I poveri. Come scrive il Papa: “ aiutare i poveri con il denaro deve sempre essere una soluzione provvisoria per affrontare l’urgenza. I grandi obiettivi dovrebbero essere sempre quelli di permettere a loro una vita degna con il lavoro”.
Quello che è in gioco è la capacità di preparare il futuro, cioè di investire nei beni comuni di cui ha e avrà bisogno l’umanità nei prossimi decenni, dando la priorità alle giovani generazioni e alle popolazioni escluse. In questo senso la nozione di “protezione” è troppo stretta. Bisogna correre il rischio dello sviluppo umano per il futuro. E’ una sfida eminentemente politica e una grande lotta deve essere incrementata per la reintegrazione del denaro e della finanza nella società. Il regno del denaro-re ci asfissia ma non demonizziamo perciò il denaro e la moneta, che sono dei vettori storici di apertura degli scambi commerciali e umani. La trasformazione del sistema finanziario è all’ordine del giorno, bisogna impegnarsi opponendosi alla confusione che si è fatta fra il valore economico e sociale e il valore patrimoniale e finanziario, questo cancro fautore di disumanizzazione e violenza.
Gli stati sono tutti rivali nella competizione mondiale. Cominciano solamente ad imparare a cooperare, a fianco delle istituzioni internazionali specializzate nei campi dei beni comuni essenziali. La Comunità Europea potrebbe divenire un trait d’union per la solidarietà mondiale, ma essa è in difficoltà e il nodo della discordia interno è precisamente la solidarietà. D’altra parte, nel mondo multipolare in gestazione, le potenze hanno la meglio, ciò che non è senza rischi di tensioni e violenze aggravate. Non bisogna rinunciare a promuovere l’etica universalista soggiacente alla ricerca di accordi multilaterali.
Dietro tutto questo, c’è una grande mancanza, quella di forme avanzate di democrazia plurinazionale e mondiale. L’Unione Europea è un laboratorio, ma il rinnovamento del suo modello è ostacolato dalle barriere culturali e istituzionali della democrazia nazionale. Inoltre la nozione di governo mondiale manca della condivisione delle tradizioni e dei beni fra le nazioni.
Nessun modo transnazionale di governo può guadagnare autorità senza la partecipazione delle popolazioni. E l’accettazione tacita delle deleghe di potere su scala sovranazionale non è più ammessa all’epoca di internet. Si possono creare delle agenzie pubbliche per aggirare l’ostacolo, ma il trasferimento della scelta agli esperti e ai saggi non è senza limiti. Non bisogna sottrarsi alla prova delle scelte collettive assunte e condivise. Da qui la volontà di formare la società in Europa e nel mondo, facendo appello a nuovi attori organizzati in reti transfrontaliere. Gli impegni per l’umanitario e l’ecologia sono i primi esempi. Il dialogo interreligioso ne è un altro, che potrebbe avere un ruolo di autorità morale nel campo del dialogo pubblico su questioni politiche. Nel campo economico, le forme multiple dell’economia collaborativa dovranno guadagnare in convergenza e solidarietà.
I movimenti che riuniscono delle persone attorno alla stessa causa non bastano, c’è bisogno anche di movimenti che riuniscano deliberatamente delle persone di culture e interessi diversi. Progressivamente, per parlare come Hannah Arendt, essi condivideranno parole e atti. E’ in questo spirito che con amici di diverse origini e sensibilità, ho fondato l’Associazione Confronti Europa. Un contributo fra tutte quelle che aprono una prospettiva di umanità unita nel rispetto e nella riconoscenza delle differenze, dotata dei fondamenti essenziali per una solidarietà universale.
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