Università di Princeton, USA
|
Vorrei iniziare esprimendo la mia profonda gratitudine alla Comunità di Sant’Egidio per averci radunato insieme a Tirana, perché ci aiuta ad impegnarci nuovamente nell’essere costruttori di pace attraverso le nostre comunità religiose, e perché mi ha dato questa opportunità di parlarvi oggi.
Il “luogo” della religione, se volete, può trovarsi in varie posizioni quando si pensa al rapporto tra religione e violenza. Talvolta le comunità religiose sono coloro che perpetrano la violenza; nelle comunità dove io lavoro e vivo negli Stati Uniti questo spesso è un assunto: se si parla di religione e violenza, sono gli attori religiosi che creano violenza. Questa opinione è soprattutto quella di coloro che non sono religiosi, ed è uno stereotipo che mi dà una grande frustrazione!
Le comunità religiose possono anche essere vittima di violenza, violenza perpetrata da attori non religiosi, dallo Stato (che può essere laico come no), o da un’altra comunità religiosa. Noi che ci troviamo in questa sala sappiamo meglio di chiunque altro che le religioni possono anche occupare una terza posizione in relazione alla violenza, che è quella di agire come fautrici di pace e riconciliazione – essere cioé coloro che compiono passi coraggiosi per porre fine alla violenza, ovunque e comunque essa accada. Io credo che noi viviamo i principi più veri della nostra fede quando siamo operatori di pace ispirati dalla fede.
Vorrei concentrarmi su una quarta “posizione” della violenza nella mia riflessione di oggi – la violenza che le comunità religiose compiono verso i loro stessi membri, e in particolare verso le donne. Ammetto che ho una certa esitazione a parlare delle donne perché sono una di loro, e vorrei evitare di dare l’impressione che le donne sanno parlare solo di ciò che le riguarda. Io ho un’esperienza significativa dell’intreccio tra religione e violenza inter-comunitaria negli Stati Uniti, in Tibet, Guatemala, Birmania e altrove. Ma la violenza contro le donne sanzionata dalla religione è un problema enorme in ogni società e in ogni comunità religiosa. Veramente, essa ci riguarda tutti – bambini, donne e uomini. La violenza – inclusa la violenza contro le donne – è contraria agli insegnamenti di tutte le nostre tradizioni, eppure essa viene perpetrata ovunque con il sostegno della religione. Se vogliamo fermarla, lo sforzo dovrà essere guidato dai leader religiosi come noi – coloro che hanno l’autorità religiosa e la conoscenza per mettere in discussione le interpretazioni dei testi sacri che sono utilizzate per sostenere la violenza, e sfidare tutte quelle pratiche e tradizioni violente che si dice facciano parte della storia, che siano espressione genuina dell’etica della nostra fede, che facciano piacere a Dio o semplicemente che “sono sempre state così”.
Cosa intendo quando faccio riferimento alla violenza contro le donne? Senza dubbio intendo la violenza fisica domestica, oppure quella perpetrata da coloro che sono più vicini alle donne, in qualsiasi luogo. Ma intendo anche la violenza psicologica, spirituale ed emotiva – utilizzare parole e concetti umilianti per ferire, soggiogare, opprimere, mettere a tacere, utilizzando espressioni e detti religiosi che dicono alle donne che esse sono indegne.
Intendo anche i matrimoni precoci, quando donne troppo giovani vengono obbligate a divenire madri prima che il loro corpo possa sostenere l’impatto di un bambino o nutrirlo senza che lui o lei abbia problemi di salute per tutta la vita. Intendo anche la cosiddetta “circoncisione femminile” che lascia molte donne con problemi fisici ed emotivi per tutta la vita. Intendo dare alle donne e alle ragazze meno calorie di quelle che vengono date ai maschi, così che i maschi prosperano letteralmente a spese delle donne. Per violenza contro le donne intendo dare alle femmine meno istruzione che ai maschi. O interrompere le gravidanze dei feti femminili. Intendo le leggi di statuto personale religiose riguardanti il divorzio, l’eredità e la custodia dei figli, che incatenano le donne a relazioni violente. Intendo qualsiasi giustificazione data alla mutilazione o all’uccisione delle donne.
Alla loro origine, molti esempi di violenza contro le donne si riducono a tentativi di restringere la loro autonomia sessuale, o restringere l’accesso sessuale di altri uomini alle donne con cui essi hanno un qualche tipo di relazione.
In fondo, uno dei più grandi argomenti a favore della violenza contro le donne è teologico - e sono le convizioni profonde che ci vengono insegnate riguardo a come valutare una donna e valutare un uomo. Noi facciamo del male a quelle cose e a quelle persone che stimiamo di poco valore – noi arrechiamo danno alla terra quando crediamo abbia poco valore; colpiamo i nostri vicini se non li riteniamo dello stesso valore nostro. Ci sono comunità all’interno di ciascuna delle nostre tradizioni (e c’è un vasto spettro di credenze al loro interno!) che dicono che le donne e gli uomini hanno uguale valore, ma in realtà non lo credono. Quando i loro leader sono messi sotto pressione, dicono che uomini e donne hanno uguale valore spirituale, ma che differenze biologiche e temperamentali fanno sì che uomini e donne siano adatti a scopi diversi nella vita. In pratica, questa diviene una divisione profonda nella comprensione del valore degli uomini e delle donne, e le donne sono perciò viste come inferiori.
Ho avuto l’esperienza profondamente frustrante – e forse ce l’avete avuta anche voi – di parlare con un leader religioso della violenza contro le donne sostenuta dalla religione, per sentirmi dire semplicemente, “Alcune persone non sanno ciò che è buono per loro”. Questa è la prova più fondata della giustificazione religiosa della violenza – l’affermazione secondo cui alcuni esseri umani che stanno chiedendo di essere liberati dalla violenza devono subordinare la loro esigenza di una vita sicura e sacra al volere di leader religiosi che si suppone conoscano questa esigenza meglio di loro stesse. Noi che ci troviamo nella posizione di leader religiosi, dobbiamo essere molto attenti a discernere con la preghiera il nostro desiderio di potere sulle altre persone dalla giusta rivendicazione di giustizia di quelle stesse persone. Dobbiamo sempre chiederci che cosa costituisca realmente un male – è più nocivo dare più autonomia alle donne, o la perpetuazione della violenza contro di esse?
Lasciate che vi parli direttamente a partire dal mio contesto, dei modi in cui gli attori religiosi perpetuano la violenza contro le donne. Non troppo tempo fa facevo parte del consiglio direttivo di un rifugio per donne e bambini che cercavano sicurezza da mariti violenti. Una donna mi disse che era andata dal suo pastore e che gli aveva detto che suo marito la picchiava, e il pastore le disse che questo non poteva essere vero , perché il suo marito era “un leader nella chiesa”. Ed egli aggiunse, “e se ciò sta avvenendo, si vede che lo meriti, perché tuo marito è un uomo buono”. Che terribile giustificazione della violenza di suo marito, e che tragico abbandono, da parte del pastore, del suo dovere di aiutare quella donna e insegnare a suo marito i veri comportamenti della sua fede!
Un altro esempio, uno che invece mi dà speranza, e che è un possibile modello per tutti noi che vogliamo combattere la violenza contro le donne sanzionata dalla religione, viene da New York City, non lontano da dove vivo io. In questa città globale, un’organizzazione interreligiosa ha lavorato con tutte le nostre comunità religiose – congregazioni, moschee, templi di ogni tipo – per impegnare i leader religiosi a combattere la violenza contro le donne. Quando hanno iniziato il loro lavoro, tutti gli uomini presenti dicevano che la violenza contro le donne non era un problema nella loro comunità. Nessuno di loro voleva fare brutta figura di fronte agli altri. Alla fine, un imam coraggioso tornò dagli organizzatori e disse, “in realtà, questo è un grande problema nella mia comunità, un’altra donna è venuta a parlarmene questa settimana, e io vorrei veramente contribuire ad affrontare questo problema”. Grazie al suo esempio, i leader delle altre comunità si sono fatti avanti, condividendo storie simili. Hanno poi condiviso insieme le loro strategie, partendo dai diversi approcci teologici che ognuno adottava per affrontare la violenza. Essi hanno condiviso non solamente all’interno della tradizione di ciascuno, ma trasversalmente ad esse, le interpretazioni dei testi, le interpretazioni storiche, le interpretazioni culturali. I preti hanno imparato da altri preti, ma anche dagli imam, dai rabbini e dai pandit: ognuno ha imparato da ognuno. Insieme stanno affrontando attivamente la violenza contro le donne nelle proprie comunità, ma altrettanto bello è stato il fatto di riconoscere che l’ammissione di questa violenza fosse una sfida per tutti, è divenuta un’opportunità fondamentale per costruire relazioni interreligiose. Essi sono stati radunati non da qualcosa di cui essere felici e orgogliosi ma da qualcosa che volevano tenere nascosto. Noi condividiamo molto le stesse gioie, ma condividiamo anche molti degli stessi problemi, e possiamo crescere nella nostra alleanza affrontandoli assieme.
Noi – i leader religiosi – siamo coloro che interpretano i testi e insegnano l’etica delle nostre tradizioni. Abbiamo bisogno di lavorare insieme per porre termine non alla violenza che accade “chissà dove”, ma a quella che accade nei luoghi più privati e sacri delle nostre vite.
|