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7 Settembre 2015 16:30 | Galleria delle Arti - Galeria Kombëtare e Arteve

Intervento di Armand Puig I Tàrrech



Armand Puig I Tàrrech


Teologo cattolico, Spagna

Il giorno dell’inizio del Concilio, il papa san Giovanni XXIII pronunciò queste parole: «la Sposa di Cristo (la Chiesa) preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore... la Chiesa... vuole mostrarsi madre amorevolissima di tutti... mossa da misericordia e da bontà» (parole citate in Misericordiae Vultus num. 4, di Papa Francesco, per l’indizione dell’Anno Santo della Misericordia). Così leggiamo nel Vangelo secondo Giovanni: «Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perchè il mondo sia salvato per mezzo di lui» (3,17). I vangeli presentano dunque il tempo di Gesù come un tempo di misericordia e di salvezza, non di condanna e punizione.    

Infatti il termine «vangelo» (eu-anghèlion) significa «lieto annuncio». Nel testo di Isaia scelto da Gesù a Nazaret (Luca 4,16-30) si legge che il Signore Dio lo ha mandato a «portare ai poveri il lieto annuncio». Alla luce della misericordia, le religioni si capiscono meglio, cioè si radicano più fortemente nei poveri, coloro che sono posti al centro delle preoccupazioni di Dio. L’uomo di misericordia ha uno sguardo concreto e puro, un’attenzione rinnovata verso coloro che sono i primi amici del Dio Misericordioso. Essere misericordioso significa abbandonare la tentazione dell’irrigidimento, del ripiegarsi su se stesso e spegnere la forza dello Spirito che è presente in ogni credente.

1. Un Dio di misericordia       

Dio è amore misericordioso, perdono senza limiti, compassione instancabile. Dio non smette di guardare il suo popolo con misericordia, in primo luogo i poveri e gli ammalati perchè è un Dio misericordioso. La simpatia e la pazienza, le due sorelle della misericordia sono nel suo modo di agire. «Dio è simpatia», è il titolo un libro di Olivier Clément. «Dio lento all’ira», cioè, paziente e clemente, che non si stanca di sostenere il suo popolo –così viene chiamato in Esodo 34,6. Questo «Dio misericordioso e pietoso» non lascia da parte i poveri ma vede in loro i primi depositari della buona novella del Vangelo di suo Figlio. Perciò in Luca 4,18 il lieto annuncio fatto ai poveri si articola nella liberazione dei prigioneri, nella vista data ai ciechi, nella libertà degli oppressi –notiamo che queste parole piene di misericordia ispirano il versetto che si canta prima della lettura nella preghiera serale della Comunità di Sant’Egidio dedicata ai poveri. Il cambiamento e la trasformazione sono arrivati!
D’altra parte, “misericordia” è una parola che riassume tante pagine delle religioni del mondo. Se prendiamo, ad esempio, la predicazione di Gesù, vediamo che questa concentra, per così dire, la sua missione in questo mondo. Così, la prima beatitudine, «beati i poveri» (Matteo 5,3 par. Luca 6,20), ha come orizzonte un sentimento di Gesù, che coincide con quello mostrato in Matteo 9,36: «vedendo le folle, ne sentì compassione». La prima beatitudine sgorga da un cuore che vede e ama, che guarda le persone e il mondo, e sparge misericordia. Gesù non innalza i poveri come amici di Dio dopo un ragionamento –questo sarebbe ideologia– oppure dopo un desiderio di rivincita contro i ricchi –questo sarebbe conflitto e vendetta–, ma li vede come amici di Dio. Perciò collega la beatitudine dei poveri col regno di Dio, con quel Dio che diffonde sulla terra una vicinanza con loro che non finirà: «Beati voi, poveri, perchè vostro è il regno di Dio» (Luca 6,20). La misericordia è il punto di collegamento, la radice dell’albero in cui si intrecciano i testi sacri, i credenti e i poveri.          
Prendiamo un’altra scena della vita di Gesù. Giovanni, dal carcere, si interessa di lui e della sua predicazione, e manda alcuni dei suoi discepoli a chiedergli se lui è veramente il Messia («quello che deve venire»). Gesù risponde con una storia di misericordia: «i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano» (Matteo 11,3.5 par. Luca 7,19.22). Queste parole, oltre al riferimento alla profezia di Isaia 61,1, mostrano come si abbandona ogni prospettiva di scontro sociale, politico e religioso. Occorre prendere le armi della pace, quelle che il popolo subito riconosce come propie di un regno nuovo, in cui nessuno agisce con la logica del nemico (cfr. Isaia 11,9). Infatti la misericordia e l’amicizia sono come due sorelle gemelle, delle quali non riesci a sapere qual è la prima e qual è la seconda.
Ma Gesù dà un secondo nome alla misericordia: quello di guarigione. Ciechi, zoppi, lebbrosi, sordi, perfino i morti, devono essere sanati dal male che li distrugge. La guarigione di tutti gli afflitti è un segno della presenza misericordiosa di Dio nel mondo. Gli uomini di misericordia, che si trovano sulle vie delle religioni, sono veri “medici” che si fermano davanti a chi soffre, il discepolo. Così l’uomo di misericordia respinge la tentazione dell’indifferenza che lo assale quando vede da lontano le piaghe del mondo.

2. La misericordia cambia il mondo

Vorrei presentare tre paradigmi di un «vissuto di misericordia», che si trovano nelle Scritture cristiane: la parabola del buon samaritano (Luca 10,30-37), la parabola del Padre misericordioso (Luca 15,11-32) e l’affresco del giudizio finale (Matteo 25,31-46).
Se nel primo giorno del Concilio (11 ottobre 1962) papa Giovanni disse, come abbiamo accennato, che la Chiesa deve essere penetrata «da misericordia», nella sessione dell’ultimo giorno conciliare papa Paolo VI affermò: «L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio... (che si è rivolto) in un’unica direzione: servire l’uomo. L’uomo, diciamo, in ogni sua condizione, in ogni sua infermità, in ogni sua necessità» (7 dicembre 1965). Quindi l’immagine del Samaritano chinato verso l’uomo sconosciuto e mezzo morto –immagine così vicina a Gesù chinato davanti ai discepoli nel momento in cui lava loro i piedi nell’ultima cena– oppure il momento in cui il Samaritano prende tra le braccia quell’uomo abbandonato per caricarlo sulla sua cavalcatura sono rappresentazioni vere della misericordia. 
C’è poi la figura del Padre misericordioso, che illumina con la sua luce il Vangelo predicato da Gesù. Sia il papa Giovanni Paolo II che il sacerdote ortodosso russo P. Alexander Men hanno scritto che il cristianesimo si trova proprio all’inizio della comprensione del Vangelo. Le parole di Gesù sono conosciute nella loro materialità ma la loro forza ci sfugge. In un mondo sempre avaro di se stesso il termine «misericordia» implica l’uscita da sé e l’andare verso l’altro. Così, uno potrebbe «aiutare» puntualmente gli altri e invece restare chiuso in se stesso, facendo dei suoi atti di «aiuto» una scelta provvisoria, dipendente dalle circostanze. Ma «usare misericordia» significa sbilanciarsi, interessarsi, chinarsi. Fare cioé come il padre della parabola, che prende l’iniziativa di uscire incontro a suo figlio, ne ha «compassione» (!), lo abbraccia, lo bacia, lo perdona, lo abbiglia e fa festa perchè è tornato. Questo padre esercita sino in fondo la sua paternità, non la limita né la condiziona. La misericordia è l’amore in movimento, nel concreto, nel vissuto. Come si legge in Luca 6,36: “Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso”.            
In terzo luogo, riguardo al giudizio finale, si direbbe che “misericordia” e “giudizio” siano due termini contrapposti. Ma in Matteo 25 c’è un giudizio in cui il bene fatto si identifica con la misericordia usata da coloro che sono giudicati. Nessuno viene giudicato sul compimento della legge o sulle virtù o sui principi o sulle idee o sulla religiosità. Un giudizio universale ha bisogno di un criterio universale, che possa essere applicato a ogni uomo e ogni donna, indipendentemente da qualsiasi appartenenza. Tutti sono lì spogli, nudi, con la loro radicale umanità e la loro radicale capacità di introdurre / aver introdotto nella loro vita un «vissuto di misericordia». Da parte sua, il giudizio è imparziale perchè giudica con la stessa misura, ma allo stesso tempo è parziale perchè il suo criterio è la misericordia, ed essa sempre è “parziale”, cioè prende parte per i più bisognosi, si schiera con quelli che si trovano nella necessità. Dio, non è neutro: Gesù, il giudice universale si identifica infatti con gli affamati e gli assetati, con gli stranieri e i nudi, con i malati e i prigionieri.           

3. Conclusione

La misericordia ha in sé stessa una forza che è inesauribile. Uno dei sinonimi di misericordia è amore, e tutti sappiamo come l’amore è capace di cambiare le persone e il mondo. Questa è una delle esperienze umane fondamentali e grandiose. Colui che ama, resiste in modo perseverante alla forza del male che vorrebbe distruggere il progetto di un mondo costruito sull’attenzione verso l’altro. Colui che ama, non si volge indietro quando attorno a sé vede emergere comportamenti e atteggiamenti dis-umani, privi di umanità. Colui che ama, infine, contribuisce a instaurare la misericordia e la gratutità come centro della presenza di Dio nel mondo. Da questa presenza scaturisce una forza di cambiamento che viene letta come uno dei doni divini più preziosi. Dio, non soltanto ci spinge a cambiare la storia, ma ci indica in quale direzione deve camminare questo cambiamento. La misericordia è uno dei motori, al contempo visibili e invisibili, della storia umana.    
 

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