Indu, Observer Research Foundation, India
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Religioni e violenza - 7 Settembre 2015
Sudheendra Kulkarni
Sua Eminenza Athanasios, presidente, onorati relatori, sorelle e fratelli,
stiamo parlando oggi di un tema molto importante, “Religioni e violenza”.
È ironico – e in un certo senso offensivo per l’animo di qualunque persona religiosa – che si debbano accostare “religione” e “violenza” in questo modo, ed enunciare le due parole nella stessa emissione di fiato.
Questo accade perché il vero spirito vitale di ogni religione è la Pace. È la Nonviolenza. È compassione e misericordia.
Le religioni sono nate per diffondere il messaggio di pace, armonia, fraternità universale dell’uomo e la sostanziale unità dell’umanità, nonostante tutte le differenze e diversità.
Ogni religione nel mondo proibisce l’uccisione di un uomo da parte di un altro uomo. In ogni caso l’uccisione di uomini innocenti è strettamente proibita. Anche l’uccisione di persone non innocenti è permessa soltanto in rarissimi casi, e con restrizioni etiche precise, quando c’è un bisogno imprescindibile di proteggere una più larga e indifesa parte di umanità da atti aggressivi e violenti.
L’Islam, per esempio, insegna ai suoi seguaci che uccidere anche un solo essere umano innocente è come uccidere l’umanità intera, e che salvare anche un solo essere umano innocente equivale a salvare l’umanità intera.
L’insegnamento comune di tutte le religioni nate nel subcontinente indiano – in particolare Induismo, Buddhismo, Jainismo e Sikhismo – è che la NONVIOLENZA È LA PIU’ ALTA FORMA DI RELIGIONE.
In Sanscrito diciamo: AhimsaParamoDharmah.
Essendo questo l’insegnamento essenziale di tutte le religioni, ci confrontiamo oggi con una triste realtà quando la religione stessa viene strumentalizzata per perpetrare violenza – anzi una violenza di massa.
Naturalmente si potrebbe dire che non c’è nulla di nuovo. La violenza in nome della religione è un capitolo lungo e poco edificante nella storia dell’umanità.
Pertanto qui cogliamo un paradosso insostenibile: da una parte la religione come fonte di nonviolenza e protezione della vita; dall’altra la religione come pretesto per odio, conflitti, attentati e talvolta genocidi.
Abbiamo bisogno di capire e risolvere questo paradosso. E partendo da questa comprensione, dobbiamo agire.
Amici,
In questa tavola rotonda vorrei offrire cinque riflessioni e suggerimenti per azioni mirate alla coesistenza pacifica tra le diverse comunità religiose.
Primo: la violenza in nome della religione non si fermerà a meno che i credenti, e specialmente i capi religiosi, di tutte le religioni non imparino non soltanto a tollerare, ma anche ad accettare e a rispettare le altre religioni.
Le differenze e varietà nella sfera religiosa non sono accidentali. Né sono antitetiche o appesantiscono l’unità e l’armonia dell’umanità.
Le differenze e varietà del genere umano, come anche le differenze e varietà nel regno animale, sono una parte essenziale ed integrante dell’architettura di Dio.
Queste differenze e varietà sono state create proprio dal nostro Creatore.
Era impossibile a Dio, che è Onnipotente, creare l’umanità intera in una sola forma religiosa?
Niente affatto.Perciò dev’esserci uno scopo al di là della diversità religiosa che porta la firma stessa di Dio nell’architettura dell’ordine umano.
Tuttavia, il nostro Creatore non ha soltanto creato le diversità ma ha anche creato un’unità sottostante che lega tutte queste diversità e differenze.
Proclamare la superiorità di qualsiasi comunità religiosa, considerare altre religioni false o inferiori, voler stabilire un’uniformità religiosa in tutto il mondo è un pensiero irreligioso e arrogante. E il perseguimento di questo obiettivo arrogante ha sempre prodotto spargimento di sangue e desolazione per l’umanità.
Come ha detto ieri il Prof. Andrea Riccardi, non c’è paese al mondo che sia omogeneo.
Oggi il nostro mondo è diventato piccolo e sempre più interconnesso e interdipendente, ed ogni paese è diventato eterogeneo. Pertanto, c’è un obbligo morale anche più grande per ogni paese che è quello di rispettare la diversità e insieme di lavorare per l’unità e la concordia.
In particolare, le minoranze religiose di ogni paese, senza eccezioni, devono godere degli stessi diritti non discriminatori, di libertà, rispetto, dignità e garanzie di sicurezza come le maggioranze religiose.
Secondo: non è abbastanza intendere la nonviolenza nel senso di non fare del male agli altri. Questa è una condizione necessaria ma non sufficiente alla nonviolenza.
Nella sua forma più alta, la nonviolenza significa amore. L’amore è la forma attiva della nonviolenza.
Anche questo è l’insegnamento di tutte le religioni.
Oggi il nostro mondo manca di amore, compassione ed empatia.
In assenza di amore e compassione ed empatia per gli esseri umani, c’è una generale apatia e indifferenza.
Questo è quanto Sua Santità Papa Francesco ha descritto come la “globalizzazione dell’indifferenza”:
• Indifferenza alle guerre
• Alla povertà
• Alla sofferenza umana
• Alla diseguaglianza e all’ingiustizia
• Indifferenza al genocidio ambientale.
Pertanto dovremmo vivere e diffondere le nostre rispettive religioni in modo da bandire l’indifferenza e fare in modo che la gente e noi stessi mettiamo in pratica l’amore in un modo attivo.
L’amore, non solo nella condotta delle persone e delle famiglie. Ma anche l’amore nella condotta di nazioni, governi, professioni, aziende, banche e organizzazioni varie.
In questo senso, l’economia e il governo non possono proclamare l’immunità dai principi essenziali e dai valori delle religioni.
Terzo, e questo è importante: l’amore astratto non servirà a molto.
L’amore si manifesta come Giustizia. Non ci può essere pace senza giustizia. Questa verità è antica come l’umanità stessa.
La negazione della giustizia, che ci piaccia o no, crea condizioni per la violenza.
Naturalmente, perpetrare la violenza per cercare la giustizia porta a nuove ingiustizie.
Pertanto, c’è bisogno di rompere questo circolo vizioso riformando e ricostruendo le realtà sociali, politiche e di governo in modi che promuovano la giustizia.
Per rendere questo più chiaro nel nostro mondo contemporaneo, le azioni delle grandi potenze per instaurare e mantenere aree di influenza e dominio sono diventate fonte di notevole ingiustizia – e perciò fonte di conflitti, guerre e violenza.
Ancora peggio, i paesi e le società che producono ed esportano armi letali hanno sviluppato interessi formalmente legittimi in guerre e conflitti.
Pertanto dobbiamo costruire una forte solidarietà universale per la demilitarizzazione di conflitti socio-politici. Dovremmo chiedere profondi tagli nelle spese militari delle nazioni, specialmente di nazioni grandi e potenti.
I leader religiosi dovrebbero chiedere l’eliminazione universale e vincolata a scadenza delle armi nucleari e di altre armi di distruzione di massa. Tra queste, includo le armi nucleari del mio paese, l’India.
Mentre, in tema di guerre, c’è una sfida immediata che richiede la nostra attenzione e azione.
I leader delle religioni e delle culture del mondo devono chiedere con forza la fine immediata delle guerre civili in Siria, Iraq, Libia e Yemen.
Dobbiamo denunciare insieme la pulizia etnica e religiosa dei cristiani e di altre minoranze e la distruzione del patrimonio storico e archeologico pre-islamico, che l’ISIS e altri gruppi terroristici stanno perpetrando in varie parti del Medio Oriente.
Questo è un crimine contro l’umanità nel perseguimento distorto della Legge Islamica.
Suggerisco che la Comunità di Sant’Egidio e tutte le organizzazioni impegnate nel dialogo interreligioso in accordo stabiliscano una data nel prossimo futuro e indicano dimostrazioni di massa e marce in tutto il mondo per la fine delle guerre nel Medio Oriente.
Il mondo ha testimoniato con raduni di pace simili al tempo della guerra del Vietnam. E queste azioni di protesta si sono dimostrate efficaci.
Perché ora il mondo diventa uno spettatore muto?
Quarto. L’azione congiunta delle religioni del mondo per prevenire la strumentalizzazione delle religioni per perpetrare violenza, richiede un approfondimento del dialogo interreligioso per includere quei punti che potrebbero crearci difficoltà.
Qui vorrei citare un pensiero del libro di Hans Kung “The Religious Situation of Our Time”. Dice:
Nessuna pace tra le nazioni
Senza pace tra le religioni;
Nessuna pace tra le religioni
Senza dialogo tra le religioni;
Nessun dialogo tra le religioni
Senza una ricerca dei fondamenti delle religioni;
Questo significa che i leader religiosi non dovrebbero esitare a riesaminare e a respingere quei fondamenti teologici delle rispettive religioni – o interpretazioni erronee ed autocentrate di questi fondamenti – che siano stati più volte strumentalizzati per atti di intolleranza violenta.
Quinto e ultimo. Credo fermamente che ci sia una responsabilità particolare dei leader socio-politici musulmani nel fermare la strumentalizzazione dell’Islam nel commettere atti di violenza contro gli stessi musulmani – e anche contro non-musulmani innocenti.
Ho espresso questo punto ieri, ma vorrei riprenderlo brevemente oggi.
Il Dr. Muhammed Tahir-ul-Qadri, celebre studioso islamico pakistano, è una persona molto coraggiosa che ha alzato la voce contro il terrorismo condotto nel nome della jihad.
Ho lavorato a stretto contatto con il Dr. Qadri e i suoi sostenitori in India e Pakistan per promuovere la vera conoscenza dell’Islam come religione di pace.
Vorrei citare qui dal testo del Dr.Qadri: “Fatwa on Terrorism and Suicide Bombings”.
Qadri non va per il sottile nel denunciare la strumentalizzazione della ‘Jihad’ nel compiere atti di terrorismo:
“Gli orrendi attentati terroristici che ha continuato ininterrottamente in anni recenti ha portato una cattiva reputazione alla Umma (nazione) musulmana in genere, e particolarmente in Pakistan. La maggioranza schiacciante dei musulmani si oppone e condanna il terrorismo in termini inequivocabili e non vuole accettare il suo legame con l’Islam neppure lontanamente. Tuttavia una minoranza trascurabile – benché molto visibile e dichiarata – di loro sembra approvare apertamente il terrorismo e invece di opporsi e condannarlo, fa ricorso a ragionamenti fuorvianti e fallaci.
Potrebbe essere che fattori locali, nazionali ed internazionali a sostegno del terrorismo globale includano le ingiustizie inflitte ai musulmani in alcune aree, l’evidente doppiezza dimostrata dai poteri forti e il loro interminabile e inconcludente impegno in molti paesi con il pretesto di combattere il terrore.
Ciò detto, il ricorso dei terroristi alla violenza e all’omicidio indiscriminato è diventato un affare di routine, che prende le forme delle bombe suicide contro popolazioni inermi, o bombardamenti contro moschee, templi, ecc.: atti efferati, disumani e barbari nella loro essenza.
Gli autori di questi crimini giustificano le loro azioni nel nome della jihad, e così alterano, distorcono e sconvolgono il concetto sacro islamico di jihad.”
Un paio di anni fa, il Dr. Qadri mi chiese di scrivere un’introduzione all’edizione indiana del suo libro ‘The Supreme Jihad’.
Il suo libro approfondiva la mia interpretazione del vero significato di Jihad come lotta non violenta con se stessi e come autopurificazione al fine di diventare esseri umani migliori.
Questo è quanto il Mahatma Gandhi intendeva con ‘Satyagraha’, il suo metodo nonviolento di creare un essere umano migliore e una società migliore.
Diedi questo titolo alla mia introduzione al libro del Dr. Qadri:“Se questa è la vera Jihad, vorrei diventare un Jihadi!”
Grazie
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