Cardinale, Arcivescovo di Abuja, Nigeria
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2 Tessalonicesi 1, 1-5
1. Il brano della nostra riflessione di oggi, 2Tess 1, 1-5, è l’introduzione della breve epistola di 3 capitoli di San Paolo. Questa lettera, tra le altre cose, fa riferimento ad alcuni eventi preoccupanti nella Comunità cristiana di Tessalonica. Sembravano essere esageratamente turbati per la fine del mondo e la seconda venuta di Gesù Cristo, al punto che alcuni avevano cessato di lavorare e si limitavano ad attendere il ritorno del Signore. Inoltre, nella loro indolenza, erano di disturbo ad altri che continuavano a portare avanti i propri affari.
2. San Paolo conferma che davvero Gesù sarebbe tornato, ma non presto quanto si aspettavano. I segni della fine dei tempi dovevano essere verificati. Dunque la vita doveva continuare, e ciascuno lavorare duramente per guadagnarsi il proprio pane quotidiano.
3. Il testo di questo brano fa riferimento in maniera non del tutto chiara a “persecuzioni e tribolazioni”. Possiamo supporre che i destinatari della lettera fossero a conoscenza di ciò di cui parlava. Quali che fossero le difficili circostanze in cui si trovavano, Paolo si vanta della loro “perseveranza e fede”. Gli da’ inoltre speranza che Dio, nella sua giustizia, li consideri “degni del Regno di Dio, per il quale appunto soffrite”.
4. È in questo contesto che dobbiamo leggere e comprendere ciò che Paolo afferma nel primo periodo della sua lettera: “a voi, grazia e pace da Dio Padre e dal Signore Gesù Cristo”.
Augura loro grazia, il dono gratuito di Dio, che dona loro la perseveranza e la fede per resistere alle persecuzioni e tribolazioni, e soffrire con pazienza per il Regno di Dio. Soprattutto, in ogni cosa Paolo augura loro pace, non una pace qualsiasi, ma la pace che viene da Dio Padre e dal Signore Gesù Cristo. Questa è una pace che supera ogni intelligenza, che nulla e nessuno può turbare – neanche la guerra, poiché viene da Dio Padre e dal Signore Gesù Cristo.
5. Negli ultimi giorni abbiamo parlato molto di pace – soprattutto di fronte all’orrore della guerra – la morte, il dolore, le distruzioni, gli esiliati e i rifugiati. Sarebbe già tanto se riuscissimo a fermare queste guerre reali. Abbiamo pianto la triste mancanza di volontà politica di fare i passi necessari a fermare queste tragedie evitabili. Tuttavia sappiamo che pure se ci riuscissimo, non sarebbe ancora abbastanza. Si dice spesso che la pace non è assenza di guerra. Ma cos’è allora? Forse un ambiente sereno ed armonioso edificato sulla giustizia e sulla solidarietà? Questo ci ricorda l’ideale di Sant’Agostino, di una “tranquillitasordinis” – tranquillità e ordine.
6. Ma questo genere di “pace perfetta” non è mai davvero realizzata, o persino realizzabile nella nostra esperienza umana. Più spesso, dobbiamo accontentarci di una pace imperfetta. Talvolta dobbiamo convivere con gli orrori della guerra, delle persecuzioni e delle tribolazioni.
7. Le parole di San Paolo nella lettura di oggi, allora, offrono un prezioso messaggio di consolazione. Cioè che, in qualsiasi condizione ci troviamo, esiste sempre la grazia di Dio che sostiene la nostra fede e la nostra speranza. E c’è la pace che viene da Dio Padre e dal Signore Gesù Cristo. Cari fratelli e care sorelle, questo non è un parlare pio e astratto. È reale. Per chi ne dubita è sufficiente ascoltare con attenzione i testimoni di fede e di speranza che hanno parlato durante questo incontro, che sono venuti da terribili situazioni di guerra, di persecuzione e di tribolazione. Per questo, quando affermiamo che “la pace è sempre possibile”, non sono vaghe attese di speranza, ma un vero atto di fede nel nostro Dio di pace e di amore.
CHE LA PACE DEL SIGNORE NOSTRO DIO SIA CON TUTTI NOI. AMEN.
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