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28 Novembre 2010

Camerun - Un sogno per Danielle

Ha un anno ed è sieropositiva. Sua madre è morta di Aids, ma lei ce la farà. Perché è ricoverata all'ospedale di Dschang, inserito nel Programma Dream della Comunità di Sant'Egidio.

 
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Danielle dorme serena in braccio alla nonna nella sala d'attesa. La visita di controllo sul decorso della malattia seguirà a breve ma tutto andrà bene, dicono fiduciosi i medici all'anziana donna. La piccola, un anno o poco più, è sieropositiva dalla nascita e la sua fortuna è stata quella di nascere vicino alt'ospedale cattolico di Dschang, città universitaria del Camerun situata 350 chilometri a nord di Douala. Grazie al protocollo sanitario del Programma Dream, partito qui nel 2008 grazie alla Comunità di Sant'Egidio, la piccola con ogni probabilità se la caverà e riuscirà, pur con qualche precauzione, a tenere per sempre "a cuccia" la terribile malattia che cova silenziosa nel suo corpicino. Sua mamma, invece, non ce l'ha fatta: è morta subito dopo il parto, giusto il tempo di vedere la sua piccola emettere i primi vagiti e di affidarla alla nonna. A lei, che da anni era malata, l'Aids non ha dato scampo.

Una storia come tante nell'Africa di oggi, che, se mostra delle speranze nella cura dell'Aids, lo deve anche al Programma Dream, che all'Hôpital Saint Vincent De Paul, una struttura sanitaria modello gestita dalle Figlie della Carità, è partito nel 2008. L'ospedale, che oltre al reparto per la prevenzione e la cura dell'Aids ha anche la chirurgia, la pediatria, l'oculistica e la sezione per i malati di tubercolosi, è il centro di riferimento sanitario per i tanti malati che da vicino e da lontano vi accorrono. «Danielle se la caverà», certifica con un sorriso il dottor Francis Taafo, il primario del reparto per la cura dell'Aids, «ma occorrerà che per il resto dei suoi giorni segua scrupolosamente la terapia che proponiamo, curi bene la sua igiene e segua un'adeguata alimentazione».

Membro della Comunità di Sant'Egidio, il dottor Taafo unisce la sua professionalità alla vocazione cristiana vissuta all'interno della comunità fondata da Andrea Riccardi: «È in realtà per noi un impegna a tutto campo: salvando queste persona da una malattia così grave restituiamo loro la dignità umana che Dio ha donato loro».

Taafo, 40 anni, sta implementando il dettagliato protocollo medico previsto nel Programma Dream. «Abbiamo 611 persone che seguono la cura e altre 1.400 che monitoriamo periodicamente attraverso il nostro laboratorio per verificarne i parametri clinici. Seguiamo anche le donne incinte sieropositive, offrendo loro una terapia in tempi e dosaggi adeguati per ridurre al minimo il rischio di infettare il feto».

Il programma prevede la somministrazione regolare degli antiretrovirali per tenere sotto controllo il virus, ma anche le cure specifiche per alcune malattie letali per un sieropositivo, come la tubercolosi, e naturalmente cibo — come mais, fagioli, olio e latte — per aumentare le resistenze in soggetti altrimenti troppo deboli per sopravvivere.

«Senza dimenticare il sostegno psicologico da parte di nostri esperti», specifica sorridendo il dottor Taafo mentre ci accompagna in reparto a visitare alcuni malati. «Molte energie vengono anche impiegate per fare educazione all'igiene presso la popolazione: il grande problema, infatti, è che spesso scopriamo tardivamente l'infezione. Il maggior tasso di mortalità lo registriamo proprio in questi casi, e quando i pazienti non si attengono strettamente al protocollo».

Il problema del rifiuto sociale del malato di Aids esiste anche qui: «Sei villaggi c'è una forte remora verso le persone infette, che spesso vengono isolate. Per questo trattiamo i casi con riservatezza». Nel reparto agiscono anche dei volontari, chiamati "attivisti", come Geneviève, una donna sieropositiva che si è salvata dopo esser stata sull'orlo del baratro: «Utilizziamo la testimonianza diretta di alcuni nostri volontari che, dopo aver affrontato positivamente la cura, si prestano a incontrare personalmente le persone infette per sensibilizzarle contro quei comportamenti che favoriscono la diffusione della malattia e sulle condizioni che permettono l'efficacia del protocollo». La vera prevenzione, però, si gioca con i giovani: «Siamo presenti anche nelle scuole per fare formazione all'igiene e i risultati cominciano a vedersi: i ragazzi sono molto interessati all'argomento e, di fatto, quando facciamo le analisi ne troviamo via via sempre meno di infettati».

La superiora della comunità delle Figlie della Carità che gestisce l'ospedale è suor Laura Guidone, napoletana. Una comunità internazionale di suore ben agguerrite e preparate per affrontare le tante situazioni limite che ogni giorno si presentano. Fu lei, cinque anni fa, a chiedere elle superiore di andare in missione in Africa: «Sono molto fiduciosa per il futuro dell'Africa. È una terra ricca, piena di vita, i giovani hanno voglia di migliorarsi e di migliorare la loro società. Certo, molli scappano, ma la maggioranza resta. La Chiesa africana, poi, è giovane, si impegna molto nell'evangelizzazione ma anche nel sociale e nel cammino ecumenico con le altre comunità cristiane presenti sul territorio». E il rapporto con i tanti musulmani presenti? «E’ ottimo».


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