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“Nessuno è così povero da non poter aiutare un altro: un anno della Campagna “LIBERARE I PRIGIONIERI IN AFRICA” Compie un anno, in questi giorni, la campagna “Liberare i prigionieri in Africa”, avviata nel luglio 2009 nelle carceri italiane. Un anno in cui la Comunità di Sant’Egidio ha coinvolto migliaia di detenuti, italiani e stranieri, in un’azione di solidarietà che ha permesso di inviare aiuti di prima necessità nelle carceri di due paesi africani, la Guinea e il Mozambico. La campagna parte da una certezza: che la solidarietà non solo è possibile sempre, in qualunque condizione, ma è anche un motivo di dignità e di umanità per chi la esercita.
“Davvero anche io posso aiutare altri?” E' stata la domanda, stupita, ma anche entusiasta, che ha spinto tanti detenuti e detenute, nonostante la situazione di grave difficoltà in cui versano oggi molte carceri italiane (si veda a questo proposito il Dossier carceri, reso pubblico dalla Comunità di Sant’Egidio), a rispondere positivamente alla proposta di offrire un aiuto ai prigionieri delle carceri africane, per migliorarne le condizioni di vita.
In un anno, la possibilità di partecipare a questa iniziativa ha restituito dignità a quasi tremila persone, detenute in 41 istituti di pena in tutta Italia.
Somme piccolissime (un euro, a volte anche meno) si sono trasformate in sapone, stuoie, alimenti di base (riso, farina zucchero), che hanno raggiunto 6.850 persone detenute nelle carceri di Guinea e Mozambico.
“Avere la possibilità di aiutare un altra persona è sempre molto gratificante”, “Aiutare gli altri fa bene al cuore” , “Aiutare gli altri ci restituisce dignità” e ancora “Dare un euro riempie l’anima” sono alcune delle frasi ascoltate nel corso di questi incontri o contenute nelle molte lettere giunte nel corso dell’anno ai responsabili della campagna.
Una vita più umana
Momenti di umanizzazione e di apertura al mondo, di riconciliazione con le proprie origini, la possibilità di ristabilire un legame con la patria lontana. C’è tutto ciò e molto di più nelle iniziative connesse con “Liberare i prigionieri in Africa”.
Come la liturgia per l’Africa, celebrata nel carcere romano di Regina Coeli lo scorso ottobre, alla presenza di mons. Thadeus Rwaichi, vescovo di Dodoma e Presidente della Conferenza Episcopale della Tanzania, e di Mme Marguerite Barankitse, attivista burundese per i diritti dell’uomo.
Anche l’incontro tra 70 detenute dell’Istituto di Rebibbia Femminile con Kpakile Felemou, responsabile della Comunità di Sant’Egidio in Guinea Conakry è stato un momento importante della campagna. “Sono consapevole delle difficoltà che vivete anche voi” - ha detto - “ma dobbiamo ricordare la ‘regola d’oro’ del Vangelo: tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro”.
Lettere dal carcere Nei mesi scorsi abbiamo pubblicato la lettera con cui un gruppo di detenuti di Regina Coeli ha voluto motivare la propria adesione alla campagna e la risposta giunta dall'Africa, da Lichinga in Mozambico
Ma sono tante le lettere, spesso molto toccanti, che hanno accompagnato questo anno di campagna "Liberare i prigionieri in Africa". Ne pubblichiamo alcuni stralci:
Una donna italiana, in un carcere del Sud, si è fatta promotrice di un'azione di solidarietà: “(…) di fronte a tanta sofferenza mi sono sentita di proporre di aiutare noi tutte insieme chi vive non solo il disagio della prigionia, ma soffre anche la fame e la sete. La mia proposta è stata accolta con un grande spirito di partecipazione, infatti tutti hanno fatto un’offerta con amore e con la speranza che un piccolo gesto possa diventare un grande aiuto. Augurando un migliore futuro a tutti coloro che come noi conoscono la sofferenza, vivo nella speranza che la vita possa donare a tutti ciò che di più bello essa custodisce. Grazie“
Gratitudine emerge anche dalla lettera di un uomo, che scrive: "Una cosa è raccogliere fondi, ma il lavoro che questo ha comportato, per procurare aiuti a coloro che ne avrebbero beneficiato, è ben diverso.
Come tutti i detenuti in ogni parte del mondo, noi , in questo carcere, abbiamo un enorme numero di problemi, ma nonostante ciò, non riuscivamo a capire la maggior parte delle cose che ascoltavamo. Era impensabile immaginare come voi siete costretti a vivere, è inumano, iniquo.
Questo ha spinto tutti noi, al di là di ogni barriera, a lavorare per questa raccolta di fondi con tutte le risorse a nostra disposizione.
Voglio usare questa lettera anche per ringraziare i miei amici detenuti in Italia, i funzionari e tutte le persone coinvolte, per la loro risposta a questa richiesta. GRAZIE A TUTTI!".E l'aiuto ai più poveri tra i poveri diventa una forma di "dialogo tra le fedi", come nella lettera di M., nordafricano di religione musulmana: "Io vi aiuto con quello che ho e soprattutto con la mia preghiera, ogni giorno, e spero di uscire anche io un giorno dal carcere e Dio mi perdoni per i peccati che ho fatto nel passato, così posso anche aiutare i miei fratelli in Africa. Un saluto da parte mia e da parte di tutti i musulmani per voi cristiani, uniti per la pace" . |
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