Testimone, Comitato Internazionale di Dachau, Germania
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Gentili signori,
cari amici qui presenti!
Avevo appena 23 anni quando sono giunto ad Auschwitz. Poi sono stato a Varsavia e a Dachau (Mühldorf). A quell’epoca ero accerchiato e minacciato da brutalità, violenza, annientamento e morte. Le regole del giusto e dell’ingiusto non valevano più. Tra noi prigionieri, in questo mondo di disumanità, rimanevano piccoli segni di speranza, resti di umanità: condividere la zuppa o il pane, scambiare una giacca più calda, dire una parola buona, esaudire un desiderio. Non sembrano gesti eroici, ma anche con questi piccoli gesti si poteva rischiare la vita. Questi gesti di vicinanza umana e solidarietà a volte potevano aiutare a sopravvivere psichicamente; erano gesti che provenivano da un altro mondo. Ad Auschwitz potevo ancora pregare Dio come avevo imparato a fare e come facevo a casa.
Nel 1945 i prigionieri dei lager sono stati liberati. Liberati dalla prigionia, ma siamo stati veramente liberati? L’idea dell’uomo, l’idea di Dio, il rapporto tra bene e male, l’idea della società umana, tutto era sconvolto, distrutto, infranto. Eravamo stati una normale e pacifica famigia ebraica che viveva in una pacifica cittadina della Moravia. Nessuna accusa poteva essere mossa nei nostri confronti, nessuna opposizione all’autorità, nessuna ribellione contro lo stato o la legge. Siamo stati solo vittime, perchè appartenevamo all’ebraismo. Sei tra i miei parenti più stretti sono stati uccisi ad Auschwitz, perché è stato negato loro il diritto all’esistenza. Eppure io non riesco ad odiare, né ho provato l’impulso della vendetta. Diversamente, non sarei mai potuto tornare nel paese dei colpevoli. La volontà di riconciliazione viene quasi naturalmente, se uno si interroga in maniera responsabile sul futuro, se uno si vuole impegnare per una convivenza pacifica e umana. Per questo ripeto sempre che io non voglio essere un accusatore, ma un testimone. Per me questa differenza è molto importante!
E oggi? Non dividiamo ancora oggi gli uomini in base alla razza e all’appartenenza ad un gruppo nazionale o etnico? Non emarginiamo forse le culture e le tradizioni che ci sono estranee? Non giudichiamo troppo spesso in base all’appartenenza religiosa, senza neanche conoscerla veramente? Come ci rapportiamo alle persone che la pensano diversamente da noi, a quelle che hanno il colore della pelle diverso? Nessuno nasce razzista o antisemita. Almeno questo mi ha insegnato il tempo passato nel lager: a superare queste barriere. Il male non è una forza della natura, ma è un’opera umana. Ogni individuo ha il potere di scegliere liberamente come agire, se bene o male.
Da 25 anni vado in giro per mostrare ai giovani quale forza distruttiva abbia una dittatura e per incoraggiarli e rafforzarli nella scelta per la democrazia. L’educazione all’umanità e al riconoscimento del valore della convivenza con minoranze comincia nella famiglia e nella scuola. Alle giovani generazioni vorrei assegnate questa corresponsabilità: non guardate dall’altra parte, quando gli altri guardano dall’altra parte. Mostrate coraggio quando si tratta di difendere il diritto e la dignità di un altro essere umano. Non siete responsabili per quello che è avvenuto. Ma perchè non si ripeta mai più sì. Di questo siete responsabili voi.
Personalmente ho trovato la mia liberazione: la fede nella bontà dell’uomo e la ricerca di Dio. |