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10 Septembre 2012 16:30 | Muslim Madresa (Gazi Husrev-begova medresa)

La Gratuità : motore nascosto dell’economia



Michel de Virville


Directeur du “Collège des Bernardins”, France

Come parlare della gratuità senza fare riferimento all’enciclica Caritas in Veritate? Per quanto mi riguarda, ne ho vissuto la lettura come una rilettura della mia esperienza di dirigente d’impresa.
Ho avvertito prima di tutto un pressante appello, assai necessario d’altronde, a manifestare nella vita economica la gratuità a cui ci chiama il Vangelo. Ma ben presto una rilettura collettiva e più attenta, svolta con altri impresari, mi ha convinto che l’Enciclica di fatto ci propone una via nuova per  vincolare la conversione sempre necessaria alla modernità della nostra economia globalizzata. Una via per tutti, quali che siano le nostre convinzioni religiose o politiche.
La gratuità non è un argomento fra tanti. Noi uomini siamo fatti per il dono, questa è l’essenza della nostra natura: “La carità nella verità pone l'uomo davanti alla stupefacente esperienza del dono.”(Cin III-34).
Questa  “gratuità” può apparirci dapprima come un’esigenza molto radicale. Ma non si tratta prima di tutto di un’esigenza, non è un “ di più” che dobbiamo produrre o una “scelta” che siamo chiamati a fare. Ci viene proposto di riconoscere che la gratuità è già là, che è il materiale costitutivo, il tessuto stesso della vita quotidiana sociale, economica ma anche politica: “...nei rapporti mercantili il principio di gratuità e la logica del dono come espressione della fraternità possono e devono trovare posto entro la normale attività economica.”(Cin III-36). Infatti, se mi posso permettere, con ardire, di riscrivere quest’ultima frase a partire dalla logica stessa del testo, oserei semplicemente dire : «la logica del dono trova posto entro la normale attività economica ».


Ma di quale normalità si tratta ?
La gratuità : la fonte dell’efficacia collettiva
Davvero è ragionevole ? non è francamente irrealistico in un mondo economico che appare piuttosto sempre più « finanziarizzato », dominato da meccanismi di mercato e che ha fatto dei soldi il regolatore supremo, per non dire l’unico?
Questa obiezione è talmente forte che molti sono stati tentati di leggere l’enciclica come una chiamata allo sviluppo alternativo di un’economia della gratuità che sfugga alla dittatura del denaro : nuove attività nate dai bisogni a lungo termine dello sviluppo mondiale o adattate alle necessità dei più poveri, riscoperta all’interno delle imprese della responsabilità sociale « RSI ».
Ma l’originalità dell’enciclica è che senza rinnegare nulla della radicalità dell’esperienza della gratuità, afferma con molta forza che tale esperienza non riguarda solamente una parte dell’economia o una parte dell’attività delle imprese : così come le encicliche non si rivolgono solo ai credenti, ma a tutti gli uomini di buona volontà, Caritas in Veritate sottolinea in modo molto chiaro che l’esigenza di gratuità riguarda tutte le imprese e non solo l’Economia Sociale, riguarda tutta l’attività delle imprese e non solo ciò che è di pertinenza della RSI, concerne tutti gli agenti economici e non solo i cristiani.
Infatti occorre spingersi più a fondo per misurare quanto questo approccio conferma alla fine la mia esperienza e, ne sono convinto, quella degli «impresari»,cioè di coloro che si sono impegnati nell’economia :  ciò che produce valore non è solamente la qualità dell’organizzazione né  i meccanismi di mercato ma prima di tutto il libero impegno, la reattività, la creatività dell’insieme dei collaboratori: “la gratuità è presente nella vita (dell’uomo al lavoro) sotto molteplici forme che spesso non sono riconosciute a causa di una visione dell’esistenza puramente produttivistica e utilitarista.”
La fine della frase  è particolarmente importante : bisogna misurare fino a che punto i progressi reali introdotti dall’organizzazione dei mercati, della finanza, dei media, della democrazia politica, progressi  eccezionali, ci hanno allo stesso tempo in qualche modo anestetizzato : ci hanno fatto perdere di vista il fatto che noi possiamo beneficiare di questi meravigliosi strumenti solo se sappiamo coniugare tutti insieme le nostre libertà e la nostra creatività.
Bisogna superare con decisione una visione puramente contrattuale per cui la retribuzione « compra » il contributo del lavoratore, per considerarla come una delle componenti di una giustizia all’interno della quale la logica del dono possa esprimersi: “ la logica del dono non esclude la giustizia e non si giustappone ad essa in un secondo momento e dall'esterno ; lo sviluppo economico, sociale e politico ha bisogno, se vuole essere autenticamente umano, di fare spazio al principio di gratuità come espressione di fraternità.” (Cin III 34) “senza la gratuità non si riesce a realizzare nemmeno la giustizia” (Cin III 38).”  Un modo forse più prosaico per dire la stessa cosa per il dirigente d’azienda che sono : non è la retribuzione che compra la performance, ma una retribuzione ripartita ingiustamente può renderla impossibile.
Ecco abbozzarsi una nuova visione del nostro ruolo di manager a qualsiasi livello di responsabilità : creare le condizioni di libertà ed equità che permettano di beneficiare pienamente dell’impegno libero dei collaboratori. Questo approccio non disconosce le virtù dell’Economia di mercato: “Il mercato, se c'è fiducia reciproca e generalizzata, è l'istituzione economica che permette l'incontro tra le persone … ma il mercato, lasciato al solo principio dell'equivalenza di valore dei beni scambiati, non riesce a produrre quella coesione sociale di cui pure ha bisogno per ben funzionare” (Cin III-35)
Certamente questa convergenza delle libertà assumerà forme molto diverse a seconda delle culture, dei settori, dei progetti imprenditoriali : il management della gratuità, come l’amore, deve esistere negli atti più che nelle parole, ogni impresa, ogni progetto ha una propria personalità e deve trovare il proprio equilibrio tra regolazione e libertà, in quanto ha a che fare con contraddizioni spesso forti, a volte violente tra interessi divergenti.

Ma si tratta anche di un compito che ci è comune, che ci riunisce attorno a domande e attitudini comuni : compito permanente, da ricominciare ogni volta, fondato sulla reciprocità, la coerenza tra parole e atti, la tensione congiunta verso l’ambizione e l’umiltà.


Conclusione : Gratuità e organizzazione del mercato

L’enciclica apre allora in maniera più larga un vero e proprio laboratorio : quello di un’organizzazione del « mercato » tale da permettere di preservare la logica del dono, senza la quale la meccanica economica diventerebbe perversa. Essa respinge infatti  un modo di agire nel quale dei semplici meccanismi permetterebbero di fare l’economia della morale, della scelta saggia: “ L’esigenza di autonomia dell'economia, che non deve accettare “influenze” di carattere morale, ha spinto l'uomo ad abusare dello strumento economico.”(34) “ La sfera economica non è né eticamente neutrale né di sua natura disumana e antisociale.” (Cin III-36)
Questa strada apre una prospettiva se non contraria quantomeno “violentemente complementare” a una tendenza naturale per le nostre economie sviluppate : associare ad ogni problema nuovo, così come ad ogni riaffiorare di un problema già identificato, uno strato supplementare di controllo, senza misurare gli effetti anestetizzanti per le nostre libertà di questo aumento. Ricordiamoci, per limitarci al periodo più recente, delle risposte apportate alla crisi finanziaria e dei dibattiti aperti sulla crisi del debito pubblico europeo.
L’orientamento è chiaro, gli uomini e le donne devono impegnare insieme le proprie libertà, mentre sono indispensabili dei testimoni attivi della gratuità: “ Il mercato della gratuità non esiste e non si possono disporre per legge atteggiamenti gratuiti. Eppure sia il mercato sia la politica hanno bisogno di persone aperte al dono reciproco. ” (Cin III-39). Come mobilitare le energie attorno a questo compito, formare a questo bisogno, suscitare formatori dei formatori del « management » delle libertà ?
E’ importante sottolineare che l’Enciclica oppone un rifiuto categorico alla divisione del lavoro che viene più spesso rivendicata, tanto dagli imprenditori quanto dai politici: “è causa di gravi scompensi separare l'agire economico, a cui spetterebbe solo produrre ricchezza, da quello politico, a cui spetterebbe di perseguire la giustizia mediante la ridistribuzione.” (Cin III-36)
Si mette al contrario l’accento su una necessaria corresponsabilità, essendo le questioni economiche come quelle politiche troppo cruciali per poter essere lasciate al solo intervento di ciascuno degli attori economici  o politici separatamente. Ciò che viene richiesto è la loro cooperazione, insieme a quella della società civile : “ la necessità di un sistema a tre soggetti: il mercato, lo Stato e la società civile ; … la vita economica deve essere compresa come una realtà a più dimensioni: in tutte, in diversa misura e con modalità specifiche, deve essere presente l'aspetto della reciprocità fraterna. ” (Cin III-38)

 

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