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Liturgia di ringraziamento per il 50mo anniversario della Comunità di Sant'Egidio

10 febbraio, ore 17,30 Basilica di San Giovanni in Laterano

 
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10 Settembre 2012 09:30 | Catholic School Centre (Theatre Hall)

Città, comunità, un destino comune



Jaron Engelmayer


Rabbino, Israele

Viviamo in un’epoca in cui si dà grosso valore all’individualismo e agli interessi del singolo. Al tempo stesso apparteniamo tutti ad una comunità, ciascun uomo da solo ed isolato non è, infatti, in grado di provvedere a se stesso. Questa cognizione trae dalla creazione dell’uomo, da quando Dio affermò che “non è buono che l’uomo sia solo”, fu necessario che gli fosse posto accanto “qualcuno che gli sia simile”, per questo, secondo la narrazione della Bibbia, nacque la donna.

Tra individualismo e senso di comunità
Dall’interazione tra le esigenze del diritto all’individualità e all’autodeterminazione da una parte e la dipendenza da una comunità e dai suoi progressi dall’altra, possiamo distinguere forme di società diverse che vanno da un estremo all’altro.   La cultura moderna, illuminata, tipicamente occidentale mostra una forte vocazione all’individualismo, al punto che in alcune società viene attribuito un enorme valore allo sviluppo della personalità individuale, all’autorealizzazione e al raggiungimento dei propri obiettivi. Ciò può portare ad alcuni squilibri sociali ed essere dannoso per valori quali i rapporti con gli altri e con il mondo circostante.
Al contrario esistono altre forme di società nelle quali si richiede la sottomissione dell’individuo alla società, la totale identificazione della propria personalità con il patrimonio intellettuale comune e l’incorporazione di tutti gli interessi individuali nella causa comune. Tali società possono costituire un grosso pericolo sia per gli individui come singoli, che spesso si devono confrontare con un sistema che li lascia impotenti senza possibilità di autodeterminazione, come anche per le società che non condividono queste ideologie.

Quali riferimenti troviamo rispetto a questa domanda nelle fonti ebraiche?

Da una parte si sottolinea l’individualità del singolo e il particolare significato di ogni individuo, come ad esempio nella seguente Mischnah della tradizione orale, Trattato Sanhedrin (4,5):

“Dunque l’uomo fu creato unico per insegnare che tutti quelli che distruggono un’anima tra i figli d’uomo, la Scrittura lo calcola come se distruggessero il mondo nella sua pienezza e tutti coloro che mantengono in vita un’anima tra i figli d’uomo, la Scrittura lo calcola come se mantenessero in vita il mondo nella sua pienezza. …. per narrare la grandezza del Santo, benedetto Egli sia, perché l’uomo forma alcune monete con un sigillo e tutte sono uguali una all’altra, ma il Re dei re, il Santo, benedetto Egli sia, forma ciascun uomo con il sigillo del primo uomo e non uno di loro è uguale al suo compagno. Perciò ciascuno è obbligato a dire: “per [me] è stato creato il mondo”.

Il commentatore della Torah Rabbi Awraham Ibn Esra lo esprime in modo conciso e pregnante: (2 Libro della Torah 25,40) “ …. poiché l’uomo è il modello di un piccolo mondo!”.  Ogni uomo è di per sé un mondo complesso, composto da ogni attimo della sua vita, diverso da tutti gli altri uomini!
D’altra parte nessuno può vivere né sopravvivere senza una comunità o una società, come leggiamo nell’affermazione concisa e precisa dello studioso del Talmud, Hillel: “Se io non sono per me, chi è per me? E se io sono solo per me stesso, cosa sono? (Massime dei Padri 1,14). Lo stesso Hillel nel secondo capitolo delle Massime dei Padri raccomanda “Non separarti dalla comunità” (2,5). Così non ci meravigliamo se già Caino, il figlio dei primi uomini Adamo ed Eva, che sappiamo uccise suo fratello, costruì una città per suo figlio Enoch.
Nella comunità non c’è solo una forza di gran lunga maggiore della somma di quella degli individui ad essa appartenenti, ma c’è una dimensione completamente diversa che dischiude possibilità inimmaginabili!
“(Dio) egli conta il numero delle stelle e chiama ciascuna per nome”, così recitano i salmi (Ps 147,4). I numeri possono far dimenticare qualsiasi individualità, il singolo è di per sé insignificante, ha valore solo come contributo alla somma totale, come nel caso di una manifestazione. Un nome, invece, si riferisce a quanto è specifico, speciale ed insostituibile in ogni individuo.  Identifica la sua essenza e il suo essere, ciò che sostanzialmente lo distingue dagli altri.
Ogni uomo è speciale ed insostituibile. Ad ognuno Dio affida un compito unico nel mondo che solo lui e nessun altro in tutta la terra può assolvere. Una buona azione fatta da una determinata persona in un preciso momento può essere compiuta esclusivamente da lui e solo in quel modo, insostituibile! Questo è l’appello che ci rivolgono i Saggi della tradizione orale (Massime dei Padri) “non disprezzare nessun uomo e non dare nulla per scontato perché non c’è nessun uomo che non abbia la sua ora e nessuna cosa che non abbia il suo posto”.

Una convivenza riuscita e quello che la caratterizza.

Molti spesso presumono che per formare una comunità sia, tra le altre cose, necessaria la parola magica “tolleranza”.  Tuttavia, sono stato di recente ad un incontro interreligioso in occasione del quale un musulmano, parlandomi personalmente, mi ha fatto riflettere sull’aspetto problematico di questo termine. Tollerare qualcosa, sopportare significa ‘consentire’ qualcosa anche se noi stessi non approviamo, cioè, in fondo, molto più volentieri non tollereremmo se non ci fosse il limite posto dalla tolleranza. Il problema è che colui che tollera trasferisce il proprio modo di pensare a colui che ragiona in modo diverso e fa ciò esprimendo in genere una valutazione, cioè detto più esattamente una ‘svalutazione’. Fondamentalmente ciò che la persona che tollera pensa è: “l’altro sbaglia, purtroppo è accecato e non riconosce la verità, tuttavia nella nostra infinita generosità dobbiamo tollerare anche questo…”. Invece che tollerare dovremmo impegnarci molto di più per promuovere l’incontro con l’altro con rispetto mettendoci sullo stesso piano. Spero che questa storia ci farà comprendere meglio:
Alcuni secoli fa, un sovrano decise di cacciar via gli ebrei dalle sue proprietà e diede loro una settimana di tempo. Furono inutili tutte le argomentazioni e gli sforzi del rabbino della comunità di far cambiare opinione al sovrano. Quando tutte le speranze erano ormai perdute, la moglie del rabbino gli parlò in questo modo, “lascia fare a me!”. Si ritirò in una stanza insieme con le altre donne per un’intera notte senza far sapere a nessuno cosa avevano intenzione di fare. Il mattino seguente la moglie del rabbino si recò dal sovrano insieme con le altre donne e portò con se due pacchi e dunque si rivolse a lui in questo modo: “Grandioso sovrano, siamo molto tristi di doverci ora congedare, vogliamo tuttavia ringraziarla per l’ospitalità che è durata nei secoli, per questo abbiamo portato un regalo …”. Con queste parole aprì entrambi i pacchi e srotolò due grossi tappeti che le donne stesse avevano tessuto durante la notte. “Grandioso sovrano scelga pure quale tappeto preferisce come regalo!”. Entrambi i tappeti erano meravigliosi. Uno era a tinta unita, rosso acceso. L’altro brillava per uno splendido mare di colori, con i colori che formavano disegni magnifici. Per il sovrano non fu difficile scegliere, infatti preferì il tappeto multicolore. Allora la moglie del rabbino disse: “Grandioso sovrano, lei stesso ha scelto il tappeto pieno di colori. Tuttavia, lei vuole trasformare il suo regno in un monotono tappeto a tinta unita, nel quale non hanno posto altre culture”.  Ovviamente la storia ha un lieto fine, l’avveduto sovrano tornò sulla sua decisione e lasciò vivere la comunità ebraica indisturbata nei suoi possedimenti.
Il messaggio che si cela in questa storia è tanto chiaro e semplice quanto elementare per la convivenza di società multiculturali: dovremmo considerare le differenze non come un problema e una barriera ma come un arricchimento reciproco. Dovremmo vedere in ciò la possibilità di completare ed abbellire la nostra stessa vita e la nostra comprensione attraverso nuovi colori, invece di escluderli con la pretesa che ci sia solo un’unica verità, la nostra. Non è un caso che sul simbolo di Sant’Egidio ci sia un arcobaleno multicolore.
Il Rabbino di Braslav, un famoso rabbino chassidico, compose un canto su questo tema: “Sappi che ogni filo d’erba ha una sua melodia e dalle melodie dei fili d’erba si compone un canto meraviglioso…”.

Dai principi alla situazione attuale
L’enorme importanza e significato che questo concetto ha nel nostro tempo è evidente dal recente dibattito riguardo alla religione che ha avuto origine proprio a Colonia. Proprio a Colonia, città che gode di una notevole varietà di culture, cosa di cui è orgogliosa, tanto che la città si oppone in maniera coesa ad ogni forma di razzismo. Tra l’altro è uno dei motivi per cui sono felice ed orgoglioso di essere il rabbino di questa città. Ebbene proprio a Colonia un tribunale ha emesso una sentenza sciagurata contro un’antica tradizione dell’Ebraismo e dell’Islam, una sentenza che criminalizza la circoncisione dei bambini e degli adolescenti. Da quando la sentenza è stata resa nota, lo scorso giugno,  si è acceso un vivace dibattito in tutta la Germania e anche fuori dai suoi confini, se questa tradizione religiosa sia ammissibile. Il dibattito viene alimentato e sostenuto da molte persone contrarie alla religione che non solo evitano l’incontro con le religioni e con opinioni che non sono le proprie, ma addirittura mancano di una minima tolleranza nei loro confronti. Proprio per questo siamo ancor più contenti della presa di posizione rapida, chiara ed inequivocabile della Chiesa Cattolica e di quella Protestante a favore della libertà della pratica religiosa degli ebrei e dei musulmani e a favore della diversità. Hanno dato un forte segnale del fatto le religioni non sono solo per la tolleranza, ma ancor di più sono per il reciproco rispetto.
Adesso ci aspettiamo che i politici tedeschi approvino una legge che protegga il diritto alla circoncisione e rafforzi il diritto alla libertà religiosa nella nazione in modo che la coesistenza come reciproco arricchimento e riconoscimento continui ad essere possibile. Noi, come religioni e rappresentanti delle religioni, dovremmo essere uniti ed aiutarci reciprocamente per consentire, per sostenere e per rafforzare la molteplicità delle religioni.

  
 

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