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8 Septiembre 2014 09:30 | Auditorium KBC

Intervento



Domenico Quirico


Periodista de "La Stampa", Italia

 In questo intervento, faccio un viaggio nei territori del male, attraverso la sofferenza umana, in luoghi in cui Dio è invocato 10 volte al giorno ed è bestemmiato 10.000 volte al giorno negli atti di coloro che lo invocano.

Parlo di luoghi in cui la condizione umana è stata ridotta alla sua essenza elementare: non amare, lavorare, pregare, costruire, discutere, ma sopravvivere. In cui milioni di uomini hanno un unico rapporto con la realtà e con gli altri: restare vivi, un’ora dopo l’altra, un minuto dopo l’altro, un secondo dopo l’altro. Sopravvivere.

Questo immenso paese dove Dio sembra essere evaporato, essersi distratto, non occuparsi più dell’uomo e il diavolo invece lavora, costruisce, suggerisce, opera, è immenso. Va dalle foreste della Nigeria ai deserti del Vicino Oriente, dalla Somalia al Sahel, dove l’uomo, dove milioni di uomini sono costretti ad un unico rapporto con gli altri e con se stessi: tentare di sopravvivere.

Io sono stato, per la mia esperienza, prigioniero di questo nuovo leviatano che è di fronte a noi, a due ore, un’ora di aereo. Vi ricordo la Siria, 200.000 morti. Non combattenti, non gente con il kalashnikov in mano. Bambini, donne, uomini, vecchi. Gente che era impegnata in questo disperato esercizio di sopravvivere e che è stata spazzata via.

Ho ascoltato la testimonianza della deputatessa yazida, Vian Dakheel. Sono appena tornato dall’Iraq, dalla Piana di Ninive: un altro luogo dove il diavolo opera attraverso gli atti degli uomini. Perché questo è il male, ciò che noi facciamo e ciò che noi non facciamo.

Vi propongo una lettura un po’ diversa di tutto questo: la mia lunghissima lettura di testimone e di viaggiatore. Allontaniamoci un attimo dal discorso delle religioni e delle fedi e proviamo ad immaginare che si stia costruendo, manifestando, stia lievitando e fermentando di fronte a noi un fenomeno antico e terribile, ma che qui in Europa ben conosciamo e di cui siamo stati i primi testimoni e le prime vittime: la nascita di un nuovo totalitarismo, la nascita di un nuovo sistema totalitario.

Del totalitarismo sono state date eccellenti definizioni. Io dico la mia, molto umile, molto semplice: il totalitarismo è un luogo in cui l’uomo è condannato a morte o alla sofferenza, non per ciò che fa, ma per ciò che è. In cui la sua condanna è scritta nella sua identità, nel suo passaporto, nel suo documento. In cui è spazzato via, cancellato, perché ebreo, perché yazida, perché cristiano, perché tutsi…

Questo è il totalitarismo: la cancellazione dell’uomo indipendentemente dalle sue azioni. E quello che sta sorgendo di fronte a noi, attraverso il pretesto e la finta bandiera della fede, è questo fenomeno pericolosissimo che noi abbiamo sperimentato. Prima era la razza, poi l’ideologia, ora una religione, una religione impugnata, modificata, coartata con un pretesto totalitario.

La tentazione del totalitarismo è il vero pericolo che si sta manifestando nei luoghi che ho evocato, davanti a noi.

C’è un’esperienza che mi ha molto colpito. Nei giorni scorsi si è molto parlato dei possibili assassini del mio collega, Foley, il giornalista americano. Chi era quell’uomo che lo ha sgozzato? Si sono fatte molte ipotesi e non mi interessa sapere se erano vere o false. 

Tra le ipotesi principali è che il suo assassino fosse un  inglese. E sono stati fatti tre nomi, tre identità; non mi interessa se fossero veramente loro, quello che mi interessa è il fenomeno. O un medico, o un cantante più o meno di successo in Inghilterra, o uno spacciatore di droga.

Allora domandatevi, domandiamoci: che cosa c’è di più radicato, all’interno della nostra società di queste tre figure? Il medico: figura perfetta del salvatore, dell’uomo che lavora per gli altri, salva vite umane. Il cantante: l’idolo dei nostri giovani, dei nostri ragazzi. E, dall’altro versante, che cosa più radicato nella nostra società dello spacciatore, colui che vive, si alimenta, alimenta i nostri vizi.

Una di queste tre persone ha sgozzato un altro essere umano in nome di una guerra proclamata santa. Non è uscito dalle montagne afgane, non è un disperato di un deserto, di un terzo mondo che noi abbiamo colpevolmente dimenticato, condannato alla miseria. 

E’ qualcuno che è cresciuto attorno a noi, che ha frequentato le nostre scuole, che ha assorbito, o dovrebbe aver assorbito i nostri principi, le cose che fanno l’Europa, che hanno posto in Europa l’origine delle cose più straordinarie: la democrazia, il rispetto dell’altro, i diritti umani, la sacralità dell’individuo in quanto individuo, indipendentemente dal Dio che prega o che non prega, dai libri che ha letto, da quello che può dare alla società o non può dare. La sacralità dell’individuo.

Ebbene, ognuna di queste tre persone un giorno ha preso questa sua identità e l’ha buttata via, perché è partito ad uccidere altri uomini in un paese che non era suo - perché siamo all’emigrazione della terza,quarta, generazione- e a farsi ammazzare. Lì è il cuore del problema, lì è il cuore della tentazione totalitaria e del rischio totalitario.

 

(trascrizione dalla registrazione audio-video a cura della redazione)

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