Ventitré anni fa erano bersagli per la furia della disgregazione dei Balcani: chiese, moschee, sinagoghe dal 1992 al 1995 furono simboli dello scontro etnico, dentro Sarajevo, in Bosnia. Sarajevo, luogo della scintilla fatale che incendiò l'Europa con la prima guerra mondiale e, nel decennio finale del secondo millennio, dell'assedio delle forze serbo-bosniache. Sarajevo "Gerusalemme dei Balcani", paradigma di convivenza, che porta come stimmate le sue "rose", quella malta rossastra che riempie i vuoti scavati nelle strade dalle granate. Le incontri anche nei pressi della Cattedrale cattolica, poco distante dal mercato, simbolo di strage, in cui, il 5 febbraio 1994, furono uccise 68 persone.
Tre anni fa nei luoghi sacri di cristiani, ebrei e musulmani ritornò la vera identità della città. La Comunità di Sant'Egidio promosse e organizzò qui l'incontro "Vivere insieme è il futuro". Osservò Andrea Riccardi che si verificava l'incontro tra lo Spirito di Assisi e Sarajevo, la cui storia - aggiunse il fondatore della Comunità di Sant'Egidio - porta in sé «un'opposizione e una connaturalità» con quello slancio salvifico, che tornò - e ritorna - nella città distesa lungo una stretta vallata, percorsa da un fiume piccolo e dalle acque rapide. La bellezza di Sarajevo in cui Mitteleuropa e Oriente conoscono un'armonia felice, contrasta con il dato, amaro, di essere stata epicentro di due terribili conflitti: la prima guerra mondiale e quella più recente, locale ma altrettanto crudele. Eppure Sarajevo non rinuncia al futuro. Il giardino su cui guarda la chiesa serbo-ortodossa ospita una statua d'acciaio che rappresenta una figura umana mentre si solleva verso l'alto e porta con sé un messaggio, in italiano: "L'uomo multiculturale costruirà il mondo". Messaggio quanto mai attuale anche oggi in cui la Bosnia è divisa in due entità: la Federazione croato-musulmana e la Repubblica Srpska, territori punteggiati di edifici sacri, porte del cielo che le guerre volevano chiudere, serrare. Non ci sono riuscite.
All'inizio di maggio 150 studenti toscani, provenienti da Firenze, Livorno, Pisa, Pontedera e Lucca, accompagnati dalla Comunità di Sant'Egidio, sono volati a Sarajevo per un viaggio di solidarietà, a 20 anni dalla firma degli accordi di pace di Dayton e a 100 dall'ingresso dell'Italia nella prima guerra mondiale. «È bello vedere qui tanti giovani che sono speranza per l'Europa del futuro - ha detto loro il cardinate Vinko Pulijc, arcivescovo di Sarajevo-. È difficile spiegare cosa vuol dire sopravvivere alla guerra. Come pastore ho voluto dare speranza».
Una speranza da rafforzare davanti agli ostacoli. «La Sarajevo odierna - ha scritto lo storico Roberto Morozzo Della Rocca autore di "Cristiani a Sarajevo" (edizioni San Paolo) e di "Passaggio a Oriente" (Morcelliana) - è costituita da una realtà monolitica poco visibile al visitatore che si limiti a constatarne le apparenze monumentali, ossia come cattedrali, moschee e sinagoghe antiche facciano sempre bella mostra di sé le une accanto alle altre nel centro città». Oggi - aggiunge - «conformemente agli accordi di pace di Dayton del 1995, la Bosnia è uno Stato unico che si compone di due entità». All'interno della Federazione croato-musulmana si è originato un esodo dei cattolici che, per le discriminazioni, sono andati via a migliaia ogni anno. Pochi anni «sono bastati a dissolvere la Sarajevo multinazionale e multiconfessionale forgiata in una lunga appartenenza a formazioni statuali imperiali». Ma non è detto che questa sia l'ultima parola. l'Europa, con tutti i limiti, esercita una grande attrazione che rieduca, nonostante i limiti di questi anni, al gusto e alla necessità di stare insieme
MICHELE BRANCALE
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