GENOVA. Duemila persone hanno partecipato ieri sera alla marcia della memoria organizzata dalla Comunità ebraica e dalla Comunità di Sant'Egidio per ricordare la tragedia della deportazione degli ebrei genovesi avvenuta nel novembre del 1943. La processione, iniziata con la preghiera in ricordo delle vittime della Shoah, guidata dal Rabbino capo nel Tempio di passo Bertora, e dalla testimonianza di Gilberto Salmoni, ha toccato i luoghi in cui avvenne la cattura di decine di persone, accompagnata dalle luci delle fiaccole e da cartelli con i nomi dei campi di concentramento nazisti in Europa. È toccato al presidente del Centro Primo Levi Piero dello Strologo, nella seconda parte della cerimonia, all'interno del Carlo Felice, raccontare come si svolsero i tragici fatti, cinque anni dopo l'entrata in vigore delle leggi razziali fasciste. «Il 3 novembre del '43, le SS con minacce e violenza recuperarono gli elenchi degli ebrei genovesi, che erano stati nascosti. E poi costrinsero il rabbino Riccardo Pacifici a convocare tutta la comunità nella sinagoga».
Qualcuno fu avvertito per tempo e riuscì a scappare, salvo poi essere fermato qualche giorno dopo nella disperata fuga verso il confine svizzero. Altri, che non si erano resi conto dell'inganno, finirono subito nelle mani dei nazisti: «Furono tutti portati a Marassi in attesa della deportazione. Nel frattempo, grazie agli elenchi recuperati, i nazifascisti avviarono un'imponente caccia all'uomo. Finirono ad Auschwitz 261 genovesi». Durante la serata, Ariel Dello Strologo, intervenuto alla manifestazione in rappresentanza della Comunità Ebraica, ha letto il lungo elenco di nomi dei deportati nel silenzio generale. Di questo gruppo, si salvarono solo in venti. Più della metà trovò la morte appena giunta al campo, pochi minuti dopo la selezione degli idonei al lavoro effettuata sulla banchina: «Solo 96 riuscirono a superarla. Ma pochissimi sopravvissero». Andrea Chiappori, responsabile genovese di Sant'Egidio, ha rivolto un accorato appello ai giovani: «a non appiattirsi nella banalità e nelle ideologie, a non giustificare mai il male che si incontra, a non abbassare la guardia di fronte all'antisemitismo e al razzismo. Perché dalla ferita del tre novembre 1943 nasca anche una sensibilità alle ferite e ai dolori di oggi».
Gad Lerner, con Andrea Chiappori e il sindaco Marco Doria, ha dedicato parte del suo intervento alla necessità di mantenere viva la memoria, che rischia, con il passare degli anni e con la scomparsa dei protagonisti di quei tragici eventi, di affievolirsi, se non addirittura di essere cancellata: «Costruire una memoria di popolo e di comunità è difficile - ha ribadito il giornalista e scrittore - Ed è per questo che è importante riportare la memoria all'oggi e continuare a difendere i diritti di tutti, coltivando i valori dell'accoglienza e della solidarietà, oggi più che mai attuali come dimostrano le tragedie che coinvolgono migliaia di migrantiapolidi ogni giorno. Persone che trovano la morte nel canale di Sicilia nel disperato tentativo di trovare una via di uscita da fame, guerra o persecuzioni. O che vengono espulse dall'Europa solo per il fatto di provenire da un paese piuttosto che da un altro».