COTABATO, FILIPPINE - Parola d’ordine: inclusione. Nella conferenza internazionale organizzata il 6 e 7 giugno a Cotabato, sull’isola di Mindanao, per discutere implicazioni e prospettive della pace nelle Filippine Sud, è questa la parola chiave, rimarcata da attori istituzionali, ecclesiali, da gruppi islamici e società civile. L’incontro intende sottolineare il ruolo cruciale che religioni e culture possono svolgere per contribuire alla riconciliazione a Mindanao. E’ promosso dall’arcidiocesi di Cotabato, guidata dal neo cardinale Orlando Quevedo, in collaborazione con la comunità di Sant’Egidio e l’associazione musulmana indonesiana “Muhammadiyah”, entrambe presenti nel “gruppo di contattato” che ha facilitalo l’elaborazione dell’accordo di pace siglato nel marzo scorso tra governo filippino e ribelli del Moro Islamic Liberation Front (MILF). L’evento di Cotabato, sponsorizzato, tra gli altri, dal governo italiano e dall’Unione Europea, mira a sostenere il processo di pace e ad ampliare la partecipazione di tutte le realtà religiose, civili e politiche delle Filippine Sud: dopo l’intesa raggiunta sulla carta, infatti, la sfida “è implementare il processo di pace sul territorio”. Con le trappole e i problemi che questo passaggio presenta.
Il 75enne cardinale Quevedo “gioca in casa”: parla dagli scranni della Notre Dame University, prestigioso ateneo cattolico fondato dai missionari Oblati di Maria Immacolata (OMI) – una presenza radicata nella Chiesa filippina – ai quali egli stesso appartiene. E, in un intervento condiviso con Vatican Insider, presenta senza peli sulla lingua la sua originale visione e la sua strada per raggiungere un pace definitiva e durevole.
Il primo pericolo che potrebbe far deragliare il processo di pace, nota, è l’estremismo religioso: ecco perché è quanto mai auspicabile la presenza e il coinvolgimento dei leader religiosi, cristiani e musulmani, in una questione che sembra di interesse puramente politico. I radicali, nella loro visione ideologica e assolutistica della realtà, possono contestare l’entità politica faticosamente costituita con il recente accordo, la cosiddetta regione “Bangsamoro”. Come non ricordare il gruppo Abu Sayyaf” (“La spada di Dio”), autore di sequestri e omicidi, ma anche i nuovi “Bangsamoro islamic freedom fighters”, cellule impazzite che rifiutano qualsiasi compromesso col governo di Manila. Il fondamentalismo, però, assicura Quevedo, si annida tra i cristiani come tra i musulmani. La serena convivenza interreligiosa e il contenimento delle spinte radicali può, dunque, tutelare il futuro politico della regione.
Sviluppare una “cultura della pace”, mediante un costante incontro e confronto tra le diverse componenti della società di Mindanao – cristiani, musulmani e tribali – è un’opera proficua: serve ad accorciare le distanze e a demolire i reciproci pregiudizi che, in decenni di conflitti e tensioni, si sono fatti strada nell’opinione pubblica. E’ un lavoro che devono portare avanti con convinzione, da un lato, i leader religiosi e civili. Per questo già nel 1990 Quevedo contribuì a creare la “Bishop-Ulama Conference”, forum di vescovi e capi islamici uniti dall’obiettivo promuovere il dialogo in tutti i gangli della società. D’altro canto, rimarca il cardinale, per avere un impatto reale, la convivenza deve coinvolgere il vissuto della gente comune, le famiglie, i giovani, le scuole, divenendo, più che un concetto astratto, un autentico “dialogo di vita”. Per questo – ecco una proposta lungimirante – gli istituti scolastici cattolici di Mindanao, già aperti a studenti musulmani, dovrebbero includere nel curriculum di studi la materia “cultura della pace”. Riconciliazione, coesistenza, armonia, ricorda l’arcivescovo, iniziano dai banchi di scuola.
Il piano politico è ugualmente importante. E’ essenziale che la nuova entità regionale autonoma “Bangsamoro”, auspica Quevedo, sia realmente democratica, assicurando una rappresentanza politica al mosaico della popolazione che la compone, benché sia nata nel segno di una maggioranza musulmana (i musulmani a Minadanao sono sei milioni). E’ essenziale che la governance segua meccanismi di trasparenza che liberino la prassi politica dalla corruzione, dal clientelismo, dal tradizionale e radicato sistema di potere dei clan, che per troppo tempo ha condizionato pesantemente qualsiasi tentativo di buon governo. L’accordo tra governo e MILF prevede che il parlamento locale sia composto da musulmani, cristiani, indigeni e personalità indipendenti: proprio a significare che la regione non è una entità autonoma islamica, ma un luogo di coabitazione tra differenti gruppi etnici e religiosi.
Perché, sottolinea Quevedo, è l’ingiustizia il male peggiore, quello che è alla radice del conflitto di Mindanao. Su questo versante anche il governo di Manila ha fatto per anni “orecchi da mercante”.
L’albero del malcontento popolare si è radicato e si è lentamente ramificato in modo capillare. Bisogna oggi “seccarne le radici, prosciugando il terreno che dà linfa alle ragioni dell’insurrezione islamica”. Ciò significa, dice il cardinale in maniera netta, “combattere la povertà, l’emarginazione il degrado ambientale, garantire l’istruzione, i servizi sociali, porre fine agli abusi dei diritti umani e alle prevaricazioni consumatesi ai danni delle comunità indigene, come lo sfruttamento indiscriminato delle risorse e la sottrazione delle terre ancestrali”.
Vivendo da decenni a stretto contato con i musulmani, Quevedo dice di aver sviluppato un approccio empatico, di essersi in qualche modo messo nei loro panni. “Il punto dei vista musulmano ha influenzato la mia visione di cristiano. Un cambiamento che non è solo frutto di studi ma soprattutto di relazioni umane”. La radice, conclude, è l’ingiustizia, perpetrata nei loro confronti per ragioni storiche, culturali e politiche. Oggi c’è un’opportunità reale di ricominciare su basi nuove.
Paolo Affatato
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