Loro di periferie se ne intendono. E non solo di quelle geografiche. Trafficano i talenti della carità nelle zone più disperate e dimenticate delle città del mondo, ma anche con le persone che vengono messe ai margini da una società che non sa più cosa sia la solidarietà. Marco Impagliazzo è il presidente della Comunità di Sant'Egidio e spiega che, in questo anno, papa Francesco ha riportato al centro dell'attenzione della Chiesa «non solo le periferie, ma anche i periferici».
Chi per esempio? «Gli anziani e i giovani, legando insieme il loro destino che è quello di migliorare la società, intrecciando memoria e freschezza, forza degli anni e forza della giovinezza».
Cosa c'è dietro il richiamo costante alle periferie di papa Francesco? «La gratuità come atto rivoluzionario che agevola lo sviluppo sociale. Bergoglio aveva esperienza delle villas miserias di Buenos Aires e sa bene che nelle periferie si capisce meglio e più profondamente la realtà umana».
Però lui parla anche di periferie esistenziali. Perché? «Perché guarda la crisi e spiega che essa ha messo in luce, tra tante cose, anche il tramonto dell'idea di bene comune. Che non è qualcosa che si costruisce da soli, ma insieme. Tutte le grandi conquiste sociali sono state costruite da gruppi di persone che avevano sintonia. Poi c'è stata una frattura e l'individualismo è diventato parola d'ordine. Al punto che il desiderio individuale è diventato diritto da espandere al massimo livello. Pensi all'eutanasia».
E il Papa che cosa ha fatto? «Ha posto il problema del "noi" e ha spiegato che il legame con l'altro, il vicino magari anziano, non è un ostacolo, ma la soluzione alla crisi. Invece chi è prigioniero del fondamentalismo dell'io, sta male. Diventare amico di chi vive nella periferia esistenziale può cambiare le cose».
E con il Vangelo cosa c'entra? «Oggi il "salva te stesso", il concetto anti-evangelico rifiutato da Gesù, è molto diffuso. Ognuno va di fretta travolgendo chi sta accanto. Nessuno crede più che cambiare la vita degli altri può avere qualche utilità per la propria. Così è diventato normale e accettato che vi siano i deboli e gli emarginati: danni collaterali del rispetto delle regole del gioco anti-evangelico. Il Papa non ci sta e lo dice».
Solo analisi o parole che cambiano la vita? «Io posso testimoniare che da quando papa Francesco parla è aumentato di un buon venti per cento il numero di chi bussa alle porte delle nostre comunità per impegnarsi. Per questo parlavo di gratuità come atto rivoluzionario. Le parole del Papa sono facili e tutti le capiscono. Quando parla di economia dell'inclusione per esempio non fa una lezione magistrale, ma mette tutti in grado di capire che si può cominciare dal barbone sotto casa o dall'anziano che sta da solo all'ultimo piano. E l'impegno fa paura».
In che senso? «Il giorno che ha denunciato l'usura e la solitudine sulla quale giocano gli strozzini i media hanno preferito raccontare un piccolo pappagallo verde che il Papa ha preso sulla mano. Se si continua a insistere sulle emozioni, sulle immagini che fanno scalpore, si depotenzia il messaggio di Bergoglio. Andava bene all'inizio. Continuare dopo un anno lascia supporre che vi sia una precisa strategia. Io consiglio di riflettere di più sulle parole profonde che il Papa dice e che possono veramente portare a cambiamenti radicali nel cuore degli uomini».
Dà fastidio la denuncia della cultura dello scarto? «Sì. La cultura dello scarto è alimentata dal pessimismo, dalla sfiducia, dall'autovittimismo. Il "prendersi cura" è sparito dal nostro orizzonte e papa Francesco lo sta pian piano riportando al centro di ogni questione con i ragionamenti sulle periferie. Non denuncia solo l'economia canaglia, ma dice che la povertà economica è accentuata dalla mancanza di relazioni. Nelle nostre comunità sparse in tutto il mondo ogni giorno vediamo nuovi poveri e sperimentiamo quanto l'isolamento sia un grande moltiplicatore di povertà. Vale anche per il nostro sistema comunicativo: maggiore è la possibilità di comunicare con tutto il mondo e più elevato è il rischio di dimenticarci del prossimo più vicino a noi».
Cosa cambia con papa Francesco? «Ci chiede di uscire dalle chiese, ma anche dalla durezza del nostro cuore. Chiede fiducia, chiede di credere nell'amicizia, nei legami. Nei 46 anni della storia della Comunità noi abbiamo sperimentato che funziona. Faccio l'esempio della pace in Mozambico: l'idea della mediazione che ha portato alla pace nel Paese africano è nata dall'amicizia con un vescovo africano. La stessa co sa sta accadendo nella Repubblica Centrafricana e altrove. Una diplomazia che sta in piedi perché frutto della fede, della carità e dell'amicizia. Il Papa sta cambiando la mentalità e la gente capisce che è importante fare qualcosa per gli altri senza pretendere nulla in cambio. E questo è davvero l'atto più eversivo delle parole e delle scelte di papa Francesco». "
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