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27 Mars 2010

Romero, maestro e martire della liberazione autentica

Fu un pastore, non un politico. Fedele alla sua gente. E alla dottrina cattolica. A trent’anni dal suo assassinio, parlano il vicepostulatore Imperato e lo storico Morozzo della Rocca

 
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Nella sua biblioteca hanno trovato una decina di libri seminuovi, su oltre 200, riguardanti la teologia della liberazione. I più consunti erano i commenti dei Padri e di altri esegeti ai Vangeli, documenti conciliari, encicliche e altri testi del magistero. Sul comodino, una foto incorniciata di Paolo VI. Nella modesta casa di Óscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador ucciso il 24 marzo di trent’anni fa mentre celebrava la Messa, don Mariano Imperato e Roberto Morozzo della Rocca sono andati nel 2001: il primo come vicepostulatore della causa di beatificazione, il secondo come storico che voleva approfondire la figura e gli scritti del presule ucciso. Da quegli studi sono scaturite due biografie: Primero Dios, edita da Mondadori nel 2005 e ormai esaurita (è uscita in questi giorni in Spagna e in America Latina la versione tradotta dallo stesso Morozzo) e Oscar Romero, pubblicata dalla San Paolo nel 2003. In queste settimane sono arrivati in libreria i volumi di don Alberto Vitali (Paoline) e di don Antonio Agnelli (Emi) che ne ripercorrono la vita ma anche la riflessione cristologica, mentre il mensile Mondo e Missione ha dedicato a lui e alla sua eredità spirituale il dossier di marzo. Eppure la causa di beatificazione sembra andare a rilento: la fase diocesana, avviata nel 1994, si è chiusa due anni dopo e ora il processo è passato al vaglio della Congregazione delle cause dei santi. A gennaio la Conferenza episcopale del Salvador ha inviato una lettera a Benedetto XVI chiedendogli la «rapida conclusione» del processo. «Si è rimasti prigionieri di una visione strumentalizzata di questa figura, ma leggendo i suoi scritti cadono i pregiudizi: non c’è nulla che vada contro la dottrina», osserva Imperato. Nel 1995 il postulatore Vincenzo Paglia, oggi vescovo di Terni-NarniAmelia, chiese a don Mariano di affiancarlo in questo compito per la sua preparazione storica e filosofica: era stato il comitato salvadoregno che si occupava della causa a chiedere alla Comunità di Sant’Egidio di seguirne i passi in Vaticano. Il Salvador, infatti, «è stata la prima 'figlia' della Comunità fuori Europa: ci siamo arrivati nel 1973», ricorda il sacerdote, parroco a Napoli di San Gennaro all’Olmo.

Entro l’estate uscirà il primo dei tre volumi che raccolgono le omelie di Romero, tradotte da don Imperato. «Arcivescovo per soli tre anni, per lui la predicazione era importantissima – ricorda Morozzo della Rocca, docente di storia contemporanea all’Università Roma Tre –. E ripeteva che se la teologia della liberazione era la stessa di Paolo VI e degli altri pontefici, allora l’approvava». Nelle sue omelie domenicali – trasmesse in diretta via radio, che duravano anche due ore – il presule si concentrava soprattutto sul commento delle letture, mentre nella seconda parte delle omelie informava sulle violenze subite dai poveri ma anche su quelle compiute dai ribelli, «senza fare sconti né al regime militare, né alla guerriglia marxista».

«Citava spesso i discorsi dei Papi e conosceva praticamente a memoria la Gaudium et spes . E riceveva le notizie sui territori da sacerdoti e religiosi delle comunità locali: allora la stampa era controllata dall’oligarchia e dai militari», evidenzia lo storico, ricordando come Romero si tenesse informato sul mondo e sulla Chiesa anche ascoltando Radio Vaticana e leggendo L’Osservatore Romano.

Un ritratto lontano da una «conversione repentina », che lo stesso arcivescovo nega: «Ribadiva di aver sentito la necessità di reagire alla violenza con il dono dello Spirito e della fortaleza, avvertita fin dai primi giorni della sua ordinazione episcopale: era un pastore, non un politico».


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