BRUXELLES. Sono i numeri sempre crescenti alle frontiere di Grecia, Ungheria, Italia e Balcani, e i loro volti di migranti che Al Jazeera ha deciso di chiamare d'ora in poi esclusivamente rifugiati, a dare il senso delle dimensioni della crisi globale che l'Europa fatica ad affrontare.
A prevalere finora sull'approccio più solidale della Commissione Ue, che spinge per un meccanismo europeo permanente per la redistribuzione di chi chiede asilo, sono state le divisioni dei 28 e i discorsi elettorali interni. Con un conseguente rimpallo dei disperati, bloccati all'una o all'altra frontiera mettendo in forse il futuro di Schengen e della libera circolazione, e della responsabilità europea che comincia invece proprio nei paesi della sponda Sud del Mediterraneo da cui questi fuggono. E dove l'Ue da tempo sta lasciando proliferare crisi regionali, dalla Libia alla Siria. Le cifre sono epocali: solo nei primi sei mesi del 2015, sono state oltre 400mila le domande di asilo registrate nell'Ue, contro le 660mila dell'intero 2014, già anno record. La sola Germania ha detto di aspettarsi entro fine anno 800mila richieste, mentre Frontex ha annunciato il dato-shock di 107mila arrivi solo per il mese di luglio.
«La peggiore crisi di rifugiati dalla Seconda guerra mondiale», l'ha definita il commissario Ue all'immigrazione Dimitri Avramopoulos. Da quando si è insediato nel nuovo esecutivo a guida Juncker, Avramopoulos sta cercando di fare passare un meccanismo permanente - con una chiave matematica basata su popolazione, pil, disoccupazione - per la redistribuzione dei richiedenti asilo e un superamento del regolamento di Dublino, che stabilisce che sia il primo paese europeo d'ingresso dei rifugiati a doverli accogliere. Ma i 28 non sono nemmeno riusciti a mettersi d'accordo per ridistribuire 40mila profughi su due anni arrivati in Grecia e Italia.
Il fatto è che il grosso del flusso dei profughi arriva da regioni come la Siria e la Libia, dove l'Europa non ha finora saputo intervenire in modo risolutivo. Nel 2011, ha ricordato il ministro Gentiloni, in Libia «un errore è stato senza dubbio non associare all'intervento alcuna idea sulla gestione del dopo». Per questo, ha sottolineato anche l'ex ministro e fondatore della Comunità di Sant'Egidio Andrea Riccardi, per gestire il problema dei rifugiati «innanzitutto varrebbe la pena affrontare a monte il tema della pace, in Siria, in Libia e nel Medio Oriente».
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