Corriere.it | 27 December 2017 |
Il mondo dei piccoli alla Scuola della Pace |
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Ci sono i giorni belli come quelli della scuola, dei compagni di banco che ti aspettano, i sogni come quelli della bambina che urla «da grande voglio fare la maestra». E ci sono i giorni brutti come quelli della pioggia sulle baracche, del fuoco che a bruciarla basta una candela, la tua baracca, e gli incubi come quelli di quando lì dove abitavi è arrivata una ruspa e ha spazzato via tutto.
I disegni dicono quello che i bambini non sanno dire a parole. E i disegni di queste due pagine dicono molto. Sono (alcuni di) quelli fatti negli ultimi anni dai bambini rom di Milano - romeni e bosniaci soprattutto, seguiti dalla Comunità di Sant'Egidio. In particolare dai tanti che hanno frequentato e frequentano la scuola dell'obbligo.
«La prima cosa che si nota - sottolinea Stefano Pasta a nome dei numerosi volontari della Comunità coinvolti nel progetto - è che praticamente la totalità dei bambini disegna l'esperienza della scuola come la più bella della loro vita»: sarebbe curioso fare un sondaggio per sapere quanti tra i bambini in generale direbbero la stessa cosa. «Ma è proprio questo - prosegue Pasta - a confermare che il percorso che stiamo facendo segue una strada giusta»: e cioè che l'integrazione e l'accoglienza e l'inserimento e la fine dell'emarginazione devono partire appunto da lì, dalla scuola, perché vedere i propri figli felici è spesso il motore principale per mettere anche gli adulti sulla strada tutt'altro che semplice, quando ti porti la parola «rom» stampata addosso, del conquistarti un lavoro e finalmente una casa. Questi disegni vengono dall'archivio della Comunità, che ne conserva davvero molti. Raccontano l'esperienza quotidiana del che cosa è oggi la vita di un bambino rom a Milano. Almeno di uno come questi, che grazie a Sant'Egidio fanno parte della categoria dei fortunati: per esempio nel frequentare la Scuola della Pace, che di fatto è un doposcuola in cui i volontari della comunità radunano attorno a sé i bambini delle periferie in genere, di tutte le provenienze, per coltivare insieme il tema dell'educazione alla convivenza, dell'aiuto scolastico, della solidarietà.
Solidarietà non solo ricevuta ma praticata: anche da loro, alla fine, che nel sentire comune sono certamente collocati dalla parte di chi «chiede» ma che qui invece hanno partecipato con grande spinta a una iniziativa come il «Rigiocattolo», i banchetti per mettere in vendita giocattoli propri e destinare il ricavato a villaggi africani.
Con regolarità, insieme con i loro coetanei italiani, vanno a far visita agli anziani dell'Istituto Panigarola: che nell'aspettarli non hanno mai fatto distinzioni tra loro. «Nessuno è così povero - ricorda Pasta ed è una regola buona per tutti - da non poter aiutare qualcun altro».
I risultati dell'impegno sono misurabili in numeri. Delle circa quattrocento persone che per anni sono vissute tra sgomberi e incendi nel campo milanese di via Rubattino, per fare un esempio, oggi sessantadue famiglie vivono in case di cui pagano l'affitto regolarmente grazie al lavoro che hanno trovato, mentre almeno una ventina di ragazzi e ragazze fanno già parte della generazione approdata alle scuole superiori. Uno di loro sta facendo da alcuni mesi il primo anno di università.
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