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21 Wrzesień 2014

Uno sguardo sull'Europa delle periferie

Lo sguardo del papa sull'Europa. La realtà è più chiara dalla periferia

Che dice il Papa sull'Europa? E una domanda posta più volte al Papa latinoamericano, anche nell'intervista da lui rilasciata a questo giornale.

 
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Eravamo abituati a papi che andavano diretti al cuore dell'Europa. Giovanni Paolo visitò subito la Polonia, sfidando il sistema comunista che dominava metà del continente. Benedetto XVI cominciò presto a parlare all'Europa secolarizzata in Germania, Polonia, Spagna. Papa Francesco ha atteso un anno e mezzo per entrare in Europa. Ora imbocca con sicurezza due percorsi europei. Uno lo porta, il 25 novembre, a Strasburgo per parlare al Parlamento (che raccoglie gli eletti dei 28 paesi dell'Unione) e forse al Consiglio d'Europa, che rappresenta la grande Europa (47 paesi, tra cui la Turchia, l`Armenia e l`Azerbaigian). C'è però un secondo percorso, più lungo, che comincia proprio con il viaggio in Albania.
La piccola Albania, con meno di tre milioni di abitanti, da luglio candidata all'ingresso nell'Unione, è un Paese periferico al vecchio continente. Il Papa compie í primi viaggi in paesi «minori» e non in grandi nazioni. Entra in Europa dalle periferie e intende capire il continente da qui.
E un suo principio «ermeneutico: «I grandi cambiamenti della storia si sono realizzati quando la realtà è stata vista non dal centro, ma dalle periferie» - ha dichiarato a padre Spadaro. Ha aggiunto: «Si comprende la realtà solamente se la si guarda dalla periferia, e non se il nostro sguardo è posto in un centro equidistante da tutto». È un altro modo di governare: non con la prospettiva centrale della sintesi fatta a Roma, così tradizionale per i papi.
Non si tratta di
condiscendenza verso i «piccoli». Nei Paesi «minori» c'è tanto da capire per il Papa di Roma. L'Albania è piena di storia e significati perché frontiera tra mondi, che si sono scontrati e incontrati. È stato il limes tra Occidente latino (rappresentato dalla piccola e dinamica Chiesa cattolica, con la roccaforte nel Nord a Scutari per secoli), e Oriente della Chiesa ortodossa, forte nel Sud del paese. L'autocefalia (l'indipendenza della Chiesa ortodossa) fu proclamata tardi nel 1922, a opera di Fan Noli, singolare prete e nazionalista democratico, ma anche primo ministro finché non fu deposto da quello che sarebbe diventato re Zog.
Nel laboratorio albanese c'è una realtà ecumenica. L`Albania è stata soprattutto però una frontiera dell'islam in Europa. L'impero ottomano l'ha marcata. Solo nel 1912 si rese indipendente dalla Sublime Porta, ultima tra le nazioni balcaniche. Gli albanesi, per secoli, sono stati fedeli sudditi ottomani, ricoprendo gradi importanti nell'amministrazione. L'islam sunnita è la religione maggioritaria. Si sono diffuse anche le confraternite islamiche, tra cui i bektashi: sincretici, modernizzanti, un tempo forti in Turchia, lasciarono quel paese dopo le riforme di Ataturk. Oggi la loro sede centrale è a Tirana.
Islam, ortodossia, cattolicesimo, bektashismo sono le religioni ufficiali. Alla fine dell'Ottocento, esplose un forte nazionalismo, caratteristico degli albanesi: «Non guardate chiese e moschee: la fede degli albanesi è l'albanesità» cantava un poeta ottocentesco, Pashko Vasa. Francesco incontra una nazione fiera e dall'antica multireligiosità (non quella recente creata dall'immigrazione in Occidente).
Questo è un aspetto che interessa molto al Papa: realizzare una pacifica convivenza tra le religioni. E l`Albania è un modello di vita comune tra le comunità religiose. Il Papa visita un Paese con una storia durissima. Gjovalin Zezaj, bella figura di resistente al comunismo, ha descritto l'angoscia dei lager: «Le torture da un lato e il lavoro arduo dall'altro ci facevano pensare per un momento che quasi eravamo abbandonati anche da Dio e dalle nostre famiglie». Dal 1944 regnava, con potere totalitario, Enver Hoxha: voleva realizzare un uomo nuovo in un terrificante paradiso socialista. Era, allo stesso tempo, un'imposizione violenta e una fede creata nell'isolamento.
Mi raccontò un diplomatico albanese che, giovane, credeva a questo sogno: «Vedendo Parigi, piansi: non era vero che eravamo il miglior paese del mondo!». Nel regime comunista più totalitario dell'Est, le religioni furono distrutte. Molti credenti resistettero con tenacia. Non un religioso cattolico lasciò la fede. Per tanti, ci fu il terrore dei processi farsa, i lager, le torture. Il muro del cimitero di Scutari è testimone del martirio di tanti fucilati. Nel 1967, Hoxha proclamò il primo Stato ateo del mondo: ogni religione era interdetta. Poi, dopo tanta morte, le religioni sono risorte con la libertà. Sembrano storie lontane. Non si possono dimenticare. Papa Francesco va a ricordarle in questa «periferia». Il martirio è una delle grandi radici del cristianesimo anche nel continente. Quí comincia il viaggio europeo di Francesco nella complessità religiosa e storica, soprattutto tra tanti giovani (un 23% della popolazione è sotto i 14 anni), figli di un nuovo secolo che aspirano a un futuro in Europa.


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