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Considerazioni conclusive

Rapidit� e efficacia della risposta
La prima considerazione da fare riguarda la tempestivit� dell'intervento, reso possibile dal fatto che la Comunit� di sant'Egidio era presente in Albania ed � quindi potuta intervenire praticamente all'inizio dell'emergenza.
Inoltre, la sinergia con altre istituzioni, quali la Banca Mondiale. che ha sostenuto economicamente il progetto, e l'assenza di processi burocratici, ha portato non pochi vantaggi per la rapidit� e l'efficacia dell'intervento.
Un gruppo consistente di operatori, circa 30, si sono alternati per tutto il periodo dell'emergenza (due mesi circa) facendo fronte ai problemi che di volta in volta si presentavano. La partecipazione del tutto gratuita di questi operatori, ha reso possibile un intervento fortemente motivato e con un rapporto costo/benefici assai basso.

Il processo di inclusione e collaborazione con la popolazione ospitante e le sue 
strutture

L'intervento di Sant'Egidio non ha sostituito i servizi e le risorse locali, per altro ovviamente assai povere. Al contrario ha permesso la valorizzazione e la rivitalizzazione di strutture e del personale locale, sia sul versante della sanit� pubblica che su quello clinico. I centri pediatrici, il locale ospedale e il centro di neonatologia sono stati coinvolti negli interventi e pertanto non sono rimasti spettatori passivi o impotenti dell'azione di altri. Gli albanesi hanno lavorato con gli operatori di Sant'Egidio, ricevendo anche un incentivo economico. In tal modo sono stati azzerati potenziali conflitti tra gli utenti delle due popolazioni. C'� da rilevare il generale gradimento di tale coinvolgimento espresso sia dai profughi che dalla popolazione albanese locale come ha notato lo stesso Ministero della Sanit� e non poche lettere e attestati..

La capacit� di una risposta 'di contesto'
Di fronte all'enorme afflusso di profughi (circa 200.000 persone) in una cittadina di 25.000 abitanti, si � resa necessaria una attenta azione 'di contesto', vale a dire la capacit� di agire potenziando le locali risorse per i problemi generali. In tal senso l'intervento ha inciso anche sul problema idrico, fognario e sullo smaltimento dei rifiuti solidi, coinvolgendo ampiamente lavoratori disoccupati albanesi. In questo genere di situazioni l'offerta di possibilit� di lavoro alla popolazione locale per mansioni riguardanti l'ambiente, l'igiene e i problemi generali di organizzazione e approvvigionamento ha avuto un alto valore preventivo, sia nei confronti di possibili minacce alla salute, sia nella prevenzione di prevedibili malcontenti e tensioni tra la comunit� ospitante e quella rifugiata.

La creazione di una rete di supporto
Va rilevato che non si � trattato di una missione esclusivamente 'tecnica', perch� Sant'Egidio ha diretto verso Kukes una parte di quell'ondata solidaristica sollevata in Europa attorno alle vicende del Kosovo, creando una ampia rete di sostenitori. E' stato cos� superato il problema di una eccessiva lontananza, per non dire di una vera e propria separazione, tra gli interventi umanitari e l'opinione pubblica.

La risposta immediata a necessit� non materiali
Non di rado, nelle emergenze, la preoccupazione della macchina umanitaria si dirige essenzialmente sui bisogni materiali, mettendo in secondo piano la 'normalizzazione' della vita dei rifugiati, che dovrebbe essere invece l'obiettivo. La vita del rifugiato infatti � segnata fortemente dai traumi che ha subito: le violenze, la progressiva perdita di dignit� e identit� legata alla privazione del suo status di cittadino, della casa, dei propri indumenti, dell'igiene personale, l'angoscia per la scomparsa di parenti e amici, e cos� oltre.
Un medico kosovaro, presentandoci le necessit� del suo campo, disse subito che non ricevevano cibo da diversi giorni (si era all'inizio dell'emergenza di Kukes), ma quando gli operatori di Sant'Egidio gli chiesero se volevano alimenti, rispose che la loro prima necessit� era un'altra: " non abbiamo acqua per lavarci, aiutateci a mantenere una vita dignitosa". 
Questi motivi hanno spinto a concentrare l'azione anzitutto sulla scuola, impiantando, gi� nei primi giorni, un vero e proprio istituto scolastico in tende per le prime 8 classi dell'obbligo. Si � voluto restituire quanto pi� possibile ai piccoli non solo la parvenza ma la sostanza di una vita normale che riprendeva, magari su un prato e sotto una tenda, con un insegnante e una classe, con studio, festa, e altre attivit� sociali. La scuola ha coinvolto, a Kukes e a Lezha, oltre 4.000 bambini, in un circuito virtuoso ovviamente esteso anche agli adulti. 

Il coinvolgimento dei rifugiati nella risposta
In questa scuola sono stati coinvolti, com'� gi� stato accennato, insegnanti, custodi e responsabili di programmi didattici, tutti albanesi. Non � da sottovalutare l'importanza di tale coinvolgimento per la 'normalizzazione' della loro stessa vita quotidiana. In tal modo infatti si � contribuito a ricostruire il tessuto civile lacerato e stravolto dalla deportazione e dalle condizioni di vita nei campi.

Al servizio della pace anche nell'emergenza
L'intervento di Sant'Egidio in quest'area, sin dalla guerra in Bosnia, � stato sempre teso alla ricostruzione di un tessuto di solidariet� e di dialogo, come premessa per una vita pacifica di coabitazione. In tal senso si � trattato in particolare di educare la gente alla pace. Solo se la pace sar� accolta nei cuori di bosniaci, serbi, albanesi e croati avremo una pace vera nei Balcani. E' cos� nata, proprio a Kukes, la Scuola della pace. A partire dai bambini. Loro che saranno il futuro dei Balcani, debbono iniziare a sognare la pace, rifiutando di crescere alla scuola dell'odio e della violenza. In tal modo i bambini stessi possono essere 'maestri' di pace per gli adulti, i loro insegnanti, e le loro famiglie: discutendo sotto le tende, lavorando insieme, condividendo il tempo della guerra e della sofferenza. 
La scuola di Kukes � un piccolo esempio che per� ha reso possibile il sogno di un mondo libero dalla povert� e dalla sofferenza, dunque anche dalla guerra.