La presenza
della Comunit� di Sant'Egidio in Albania
Nel Dicembre del 1998 un primo afflusso di rifugiati
nel nord dell'Albania aveva suscitato grande preoccupazione,
sia in considerazione dei possibili negativi sviluppi
della crisi del Kosovo, sia in relazione alla fragilit�
del sistema-paese Albania, quale potenziale territorio
di accoglienza di pi� vaste ondate migratorie. La
Comunit� di Sant'Egidio, anche attraverso un progetto
finanziato dalla Banca Mondiale, opera per irrobustire
le strutture sanitarie ed educative albanesi nelle
localit� dove l'impatto con i rifugiati provenienti
dal Kosovo era gi� avvenuto o previsto.
La Comunit� di Sant'Egidio era presente in quell'area
sin dal 1993, con un programma sanitario finanziato
dal Ministero degli Affari Esteri Italiano. In questi
anni aveva poi intrapreso azioni di supporto ed assistenza
in numerosi campi, sia sul versante della salute,
che su quello educativo ed infra-strutturale.
Il progetto prevedeva 3 livelli di azione, sul versante
sanitario, educativo e infrastrutturale. Va sottolineato
che la presenza degli operatori della Comunit� di
sant'Egidio nell'area ha permesso un tempestivo
intervento all'aggravarsi della crisi.
Infatti,
alla fine di marzo 1999, Kukes viene invasa da decine
di migliaia di profughi. Questa modesta cittadina
di frontiera conta normalmente meno di 25.000 abitanti.
Antico luogo di deportazione e segregazione dei
perseguitati politici del passato regime, per la
sua lontananza dal centro del paese, esso tuttavia
presidia il principale valico con il Kosovo: da
li', sotto l'imponente montagna della Gialliza,
passeranno moltissimi profughi kosovari.
|
Panorama di Kukes |
|
Il confine di Morini che separa la repubblica ex-Jugoslavia
dal paese delle Aquile � a circa 25 chilometri dalla
citt� e fonti ONU e OSCE hanno affermato che per
quella frontiera sono transitati, durante la crisi,
circa 300.000 rifugiati. Il flusso � sempre stato
intensissimo, con punte giornaliere di oltre 15.000
profughi. Un rapporto congiunto dell' UNHCR e del
governo albanese segnalava che gi� il 30 marzo a
Kukes c'erano circa 66.000 profughi e che solo 20.000
potevano essere trasportati altrove. Nei giorni
successivi la citt� e i suoi dintorni hanno raggiunto
le 110.000 unit� fino a sfiorare, in alcuni momenti,
200.000 presenze.
Strada da Morini a Kukes. In viaggio con ogni mezzo,
sotto un telo di plastica
La via che conduce a Kukes e che porta a Tirana
� impervia ed � subito chiaro che imporr� difficolt�
e problemi logistici di dimensioni davvero rilevanti.
D'altra parte la macchina umanitaria � colta totalmente
alla sprovvista da questo arrivo di massa e stenta
a mettersi in moto. I membri di Sant'Egidio giunti
sul posto all'inizio della crisi, trovano campi
sovraffollati dove non si vede cibo da oltre 3 giorni.
Il clima rigido in quest'area racchiusa tra le montagne,
il lungo e stremante viaggio, la povert� delle infrastrutture,
rendono drammatico il momento.
Si rischia davvero una catastrofe umanitaria di
proporzioni inaudite. L'ospitalit� albanese, soprattutto
nei primi giorni, compie il miracolo: decine di
migliaia di rifugiati trovano riparo nelle povere
case della cittadina, quando
ancora non sono stati realizzati i campi italiani
o di altri paesi. Il loro destino sarebbe altrimenti
stato quello dei campi 'spontanei' dove peraltro
decine di migliaia di persone vivono in mezzo al
fango e nella mancanza di servizi idrici ed igienici.
Certo, l'accoglienza registra anche episodi negativi,
come ad esempio lo sgombero forzato di una scuola
che accoglie circa 2.000 rifugiati, condannati a
spargersi nella desolata campagna di Kukes. Occorre
tuttavia riconoscere che sono moltissimi i kosovari
a aver trovato rifugio nelle case albanesi.
Dal 4 Aprile al 15 Giugno, cio� durante l'intero
periodo di permanenza dei rifugiati a Kukes, la
Comunit� cerca di affrontare i molteplici aspetti
di questa crisi, rispondendo alle necessit� materiali
e concrete dei deportati, ma anche provando ad offrire
una risposta di lungo periodo a partire dalla vita
nei campi.
|