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19 Septembre 2016 09:30 | Palazzo Monte Frumentario

Intervento di Alberto Quattrucci



Alberto Quattrucci


Secretary General of Peoples and Religions, Community of Sant’Egidio

Sono passati trenta anni da quel 27 ottobre del 1986, quando Giovanni Paolo II raccolse ad Assisi i rappresentati delle Chiese cristiane e delle grandi religioni per invocare dall’Alto quella pace che gli uomini non sanno darsi. Erano quel giorno 124, 62 cristiani e 62 di altre tradizioni religiose. Lo aveva annunciato a San Paolo Fuori le mura, il 25 gennaio di quell’anno, nella giornata conclusiva delle Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Era quella la giornata dei “grandi annunci”. Fu il 25 gennaio del 1959 quando Giovanni XXIII annunciò la convocazione del Concilio Vaticano II.

Quel 27 ottobre dal colle di Assisi, in un mondo bloccato nella guerra fredda, Giovanni Paolo II esprimeva il sogno di una pace universale. Al termine esortava i credenti: “La pace attende i suoi profeti. Insieme abbiamo riempito i nostri sguardi con visioni di pace: esse sprigionano energie per un nuovo linguaggio di pace, per nuovi gesti di pace, gesti che spezzeranno le catene fatali delle divisioni ereditate dalla storia o generate dalle moderne ideologie. La pace attende i suoi artefici … La pace è un cantiere aperto a tutti e non soltanto agli specialisti, ai sapienti e agli strateghi ... Continuiamo a diffondere il messaggio di pace. Continuiamo a vivere lo spirito di Assisi”.

La via seguita ad Assisi: essere insieme per pregare, ognuno secondo la sua tradizione. Linguaggi differenti ma tutti aiutavano i credenti a mettersi in atteggiamento di cambiamento del proprio cuore e di impegno personale per la pace. Questo lo “spirito” che si era respirato in quella giornata, appunto lo “spirito di Assisi”: essere gli uni accanto agli altri, consapevoli che la pace è anzitutto un dono di Dio e che i credenti sono coinvolti in prima persona nel disegno di fraternità tra tutti i popoli.

Ma la Giornata di Assisi non nasce dal nulla: è la prima grande realizzazione di quello spirito di “dialogo con l’altro” della Chiesa cattolica contenuto nel Concilio Vaticano II. Sì, “dialogo con l’altro”, non solo dialogo con le altre confessioni religiose, ma con il diverso, incluso il laico e il non credente. Questo era in qualche modo già contenuto nella Nostra aetate. Una piccolissima dichiarazione, la più piccola, ma con un grande messaggio.

Due gli aspetti da porre in evidenza della Nostra aetate, in quello spirito del Concilio che poi diventerà lo spirito di Assisi:

Il primo punto: l’apertura della Chiesa ad un confronto sincero con “i tempi” e con “l’altro”. Leggiamo nel primo paragrafo di Nostra Aetate che la Chiesa “… nel suo dovere di promuovere  l’unità e la carità tra gli uomini, ed anzi tra i popoli, in primo luogo esamina tutto ciò che gli uomini hanno in comune e che li spinge a vivere insieme il loro comune destino”.

Il secondo punto: un legame saldo tra il dialogo interreligioso e la costruzione della pace. E’ scritto alla fine del quinto paragrafo: “la Chiesa esecra qualsiasi discriminazione tra gli uomini e persecuzione perpetrata per motivi di razza e di colore … e scongiura i cristiani che … stiano in pace con tutti gli uomini, affinché siano realmente figli del Padre che è nei cieli”. 

Illuminanti le parole di colui che fu il principale artefice del sostegno al documento, il cardinale Bea: “Questa dichiarazione è nata da modestissimi inizi … ma la Chiesa, per la prima volta nella storia, propone il fraterno dialogo con le religioni non cristiane. Perciò la dichiarazione, pur nei suoi limiti, costituisce un valido contributo per promuovere la pace nell’umanità”.

Dirà in seguito della Giornata di Assisi Giovanni Paolo II: “Avevo desiderato molto questo incontro, perché di fronte ai drammi di un mondo diviso e sotto la minaccia della guerra, sgorgasse dal cuore di ogni credente un grido comune verso quel Dio che guida il cammino di ogni uomo sui sentieri della pace”.

Quali i tratti e il valore dello “spirito di Assisi” oggi?

Le religioni insieme, nello spirito di Assisi, sono chiamate oggi ad una più larga responsabilità, in ogni società e nel mondo intero. Esse debbono far fronte ad una violenza diffusa in ogni società, divenuta ormai esperienza del quotidiano, penso alle grandi periferie delle megalopoli. Essa finisce per controllare intere aree delle città, come una guerra civile. Ma questa violenza ha perso il carattere ideologico di un tempo. Oggi ci troviamo di fronte ad una violenza diffusa, fatta per motivi economici, non tanto spontanea, quanto organizzata: mafie, narcotraffico, maras ed altro …

Nel mondo poi assistiamo al moltiplicarsi di tante guerre che permettono di definire il nostro tempo - con le parole di Papa Francesco, ripetute da lui più di una volta - come il tempo di “una terza guerra mondiale, pur vissuta a pezzi”.

Tutto questo interpella in modo nuovo le religioni.

La religione, nel tempo globale, è quasi l’unico sistema di motivazioni ideali che abbia una portata transnazionale. La lotta alla violenza e la costruzione della pace è il fine del dialogo stesso, che altrimenti il dialogo interreligioso sarebbe - come purtroppo a volte rischia di diventare - un mero esercizio intellettuale, un’esperienza di élite religioso-culturale, una pur interessante conversazione di un salotto di “addetti ai lavori”. E’ venuto il tempo che le religioni spendano con coraggio e audacia la loro forza - maturata nel dialogo - fatta di comprensione dell’umanità, di capacità di riconciliazione, di visioni di speranza, per trasformare il mondo.

Lo “spirito di Assisi”, allora, assume oggi il carattere di uno “strumento” efficace e intelligente per costruire la pace. Si tratta di qualcosa di simile a quella “Diplomazia di Francesco: la misericordia come processo politico” di cui ha parlato il direttore di Civiltà Cattolica Antonio Spadaro in un suo interessante articolo dello scorso febbraio. Potremmo quasi dire “Lo spirito di Assisi: la diplomazia del dialogo come processo politico”. Questa, lasciatemelo dire, è stata ed è anche la nostra esperienza come Comunità di Sant’Egidio.

Dopo la Giornata del 1986, la Comunità di Sant’Egidio dette vita ai successivi incontri annuali di Uomini e Religioni, autentici laboratori di pace. Dal 1986 ad oggi, per noi di Sant’Egidio, 12 veri negoziati di pace, o incontri per affrontare radici di conflitti, sono scaturiti direttamente o sono stati ispirati da convegni avvenuti nello spirito di Assisi. Questo spirito di Assisi lo abbiamo speso e continuiamo a spenderlo sui fronti diversi, colpiti dalla violenza e dalla guerra. In Medio Oriente come in Africa o in America Centrale, iniziando dall’esperienza della pace in Mozambico, fino alle più recenti frontiere dei negoziati per la pace in Centrafrica o a Mindanao. Le religioni hanno un potere ed una forza interiore adatta a sradicare dai cuori degli uomini e delle donne ogni sentimento di odio, di divisione e di violenza. In tal senso la loro è davvero una forza rivoluzionaria. 

Credo profondamente che le religioni abbiano oggi un grande compito. 

Esse possono promuovere, animare ed “entusiasmare” il dialogo tra gli uomini e le donne, credenti e non credenti, di ogni paese, età, cultura. Dico “entusiasmare” nel suo significato etimologico: “en-theos” che significa “avere un dio dentro”. Le religioni cioè hanno la forza di porre un dio dentro il dialogo tra gli uomini, quindi di arricchire il dialogo di spiritualità e di visione. E il dialogo, così vissuto, cambia i cuori e le menti dei singoli e dei popoli. Si, le religioni hanno questo potere prezioso. Io sono convinto che solo cambiando i cuori e le menti è possibile cambiare il mondo. Anche le strutture politiche più resistenti possono cambiare, se si cambiano i cuori e le menti. Guardate alle relazioni tra Cuba e gli Stati Uniti. Dopo più di 50 anni, chi lo avrebbe detto, solo un folle! Eppure la storia è piena di sorprese. E’ lo spirito che agisce nella storia, ed agisce attraverso gli uomini e le donne di religione.

Sì, cambiare i cuori cambia le strutture. L’opposto non sempre è vero. Strutture trasformate possono anche non cambiare i cuori. Si può costruire un mondo nuovo, ma se i cuori restano vecchi quel mondo è destinato a fallire. Questo è il grande potere delle religioni. Ma attenzione, le religioni sono forti quando sono libere. Esse hanno potere quando non sono schiave della politica o dell’economia. Quando sono “libere dalla mentalità del mondo “ direbbe Papa Francesco. In questi trenta anni di cammino comune nello spirito di Assisi, è cresciuto un movimento di pace capace di mobilitare le energie spirituali ed umane migliori di uomini e donne di fede. Attraverso la disciplina quotidiana dell’incontro, dell’amicizia e della collaborazione si è delineato una sorta di “umanesimo spirituale”, nel rispetto delle differenti tradizioni religiose ma anche in una sincera collaborazione intorno al bene comune, il grande bene della pace. Questo umanesimo possiede un suo vocabolario, una visione del mondo e un metodo per costruire la pace. Il vocabolario è cresciuto con la frequentazione e con il dialogo, ma si è sviluppata anche una visione, alta e profonda. Perché non si vive senza una visione, e la “cultura dell’altro” sostiene la propria visione. Ma c’è bisogno d’altro canto di un metodo fatto di fiducia e di costanza. Non si improvvisa la pace. La si costruisce con fedeltà giorno dopo giorno. Fedeltà e intelligenza che nasce dall’amore per la pace. Questo è lo “spirito di Assisi”, frutto maturo della Nostra aetate. Uno spirito che sta avanti a noi, ma di cui ogni religione ha bisogno per continuare a sperare, per non rassegnarsi all’esistente, per dire - come abbiamo detto nell’ultimo Incontro Internazionale di Tirana - che “la pace è sempre possibile” e che la guerra è sempre evitabile.

E’ quell’idea che Papa Francesco propone oggi per l’Europa, invitando ad aprire le porte ai rifugiati e ribadendo al Parlamento europeo: “E’ giunta l’ora di costruire l’Europa che ruota non intorno all’economia ma intorno alla sacralità della persona umana”.

In conclusione. Si potrebbe applicare allo spirito di Assisi quello che affermò nella sua ultima conferenza a Mosca il prete ortodosso Aleksander Men’: “il cristianesimo è solo agli inizi”. Era l’8 settembre 1990, il giorno seguente sarebbe stato ucciso da uno sconosciuto con un colpo di accetta alla testa, mentre da casa si avviava a prendere il treno. Si potrebbe dire che l’impegno delle religioni per la pace, contro ogni violenza - che Giovanni Paolo II per primo chiamò “lo spirito di Assisi”- è solo agli inizi, è avanti a noi e tanta energia può e deve ancora esprimere, energia di dialogo e di pace. Non si tratta del merito di alcuni, non si tratta di bravura o di capacità degli uomini.  Lo spirito di Assisi è forte perché ce ne è bisogno. Ne hanno bisogno le religioni, ne hanno bisogno gli uomini e le donne, ne hanno bisogno i popoli, ne ha bisogno soprattutto chi è povero e soffre violenza. C’è bisogno dello spirito di Assisi perché - lo ha detto Papa Francesco più di una volta - “oggi il mondo ha sete di pace”.

 

#peaceispossible #thirstforpeace
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