Fatah (il nome è di fantasia), 8 anni, è una piccola profuga siriana. È arrivata in Italia ad aprile, da Lesbo, insieme a Papa Francesco. A Roma, inizia subito ad andare scuola avviando quella sana routine della pace, che tanto aiuta i bambini ad uscire dall’incubo della guerra. In quei primi giorni Fatah fa dei disegni: case distrutte, bombe. Non ci sono persone nei suoi disegni di bambina, ma una grande croce nera tracciata sopra la casa. La sua casa, che ora non c’è più. Non bisogna essere psicologi per capire il trauma vissuto da questi bambini. Arriva però il giorno dell’invito a pranzo da Papa Francesco. Il regalo, che il Papa gradirà molto, sono proprio i disegni dei bambini. Iniziamo a raccoglierli, anche quelli dei primi giorni. Ma Fatah, i suoi, non li riconosce: "no, non li ho fatti io!". Ne fa di nuovi: case, fiori, mamma, papà, amici, scompare il nero e guadagnano spazio il giallo, il verde, il rosso.
Sono passati solo tre mesi. Il trauma non è certo superato, ma sono rimasta sorpresa da quanta vita Fatah abbia recuperato in così poco tempo. In tre mesi ha imparato ad esprimersi nella nostra lingua. Fatah ha parlato con il Papa in Italiano!
Said (altro nome di fantasia) quando ha saputo che era ospite a pranzo dal Papa ha voluto fare un disegno. Non ha disegnato la guerra, o la sua casa vicino a Hasakè, zona prima controllata da DAESH e ora liberata.
Said ha raffigurato due persone nell’acqua. È quello che ha visto attorno a sé nei momenti drammatici del salvataggio in mare sulle coste greche. 12 anni, una storia terribile, ma cosa dire al Papa: la guerra? Le bombe? No. Scolpite nella sua memoria, per sempre, ci sono due persone immerse nell’acqua che rischiano la vita nel mare Mediterraneo.
Mare Mediterraneo che è divenuto un muro. Un muro naturale, un muro d’acqua, imprevedibile, che inghiotte uomini, donne, bambini.
È considerato la frontiera più pericolosa del mondo. Nei primi otto mesi del 2016 sono morte 3.196 persone. Una persona ogni 42 che hanno tentato la traversata ha perso la vita, l’anno scorso una ogni 52. Questo dato rappresenta il più alto tasso di mortalità mai registrato (1). Numeri che fanno riflettere soprattutto in considerazione dello sforzo di salvataggio messo in campo da tutta l’Unione Europea e in primis dall’Italia
Per provare ad abbattere questo muro, la Comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle chiese Evangeliche e la Tavola Valdese hanno promosso i corridoi umanitari. Ad oggi sono arrivate 300 persone, c’è un prossimo arrivo ad ottobre di altre 100 persone. 1000 persone entreranno sul territorio italiano, grazie al protocollo sottoscritto dal ministero dell’Interno e degli esteri.
Il tema di oggi è migrazione e integrazione. L’ho detto in altre occasioni e ne sono convinta: quello dell’integrazione è un processo che dura anni, che passa per l’apprendimento della lingua e della cultura, che passa per il lavoro e l’inserimento abitativo, quello delle relazioni sociali e tanto altro. Cosa c’entra l’accoglienza, allora? Vorrei dire che questo processo inizia fin dai primi momenti dell’arrivo: fa la differenza se ad accoglierti trovi una parola di benvenuto, una buona cena siriana, il cibo eritreo o piuttosto le maglie del filo spinato, un muro alto o addirittura i respingimenti. Quei primi momenti, decidono, in parte, l’esito positivo o meno che l’integrazione avrà.
Ponti o muri?
Da settembre ad oggi, sono stati contati 9 nuovi muri nei paesi dell’Unione Europea. L’ultimo è quello annunciato a Calais. Ma muri, fili spinati, paratie sono sorte in diversi confini dell’Europa. Per proteggerci da questo grande pericolo: le donne, i bambini che come Fatah e Said scappano dalla guerra. Pericolo? Gli arrivi via mare, fino ad agosto 2016, sono stati 292.113. Di gran lunga di meno rispetto all’anno scorso quando sono arrivate oltre 500 mila persone nello stesso periodo. Ma tant’è.
I muri non sono la risposta al problema dell’immigrazione. Bisogna essere chiari su questo. Non solo nel senso che non risolvono, e certo non sono una soluzione. Anzi, rendono le vie più pericolose provocando ancora più morti. Ma nel senso che i muri non sono (solo) una reazione all’immigrazione, ma sembrano piuttosto il risultato di problemi intrinseci alla nostra società: i muri sono la risposta irrazionale e semplificata alle paure, alle contraddizioni prodotti dalla nostra epoca contemporanea. Il muro è, in parte, il prodotto della disgregazione dei tessuti sociali e comunitari, della solitudine radicale- ontologica- che è una tra le malattie peggiori prodotte dalla modernità.
L’inferno in cui si ritrova il ricco Epulone, nella parabola del Vangelo, non è il risultato della presenza del povero Lazzaro alla sua porta. Sarebbe sciocco affermarlo. L’inferno del ricco Epulone è il risultato, vorrei dire, inevitabile di quella porta ostinatamente chiusa al dolore degli altri. È il dramma di questo ricco che ha tutto, ma non riesce ad essere utile nemmeno ai propri familiari.
Il Vangelo è realista quando descrive il futuro del ricco: una solitudine infernale, piena di tormenti. Questo ricco stolto ci somiglia, assomiglia tanto all’Europa che alza i muri e non vede che il pericolo è dentro le mura e non all’esterno, una Europa che alla fine non riesce ad essere utile neanche ai propri giovani e ai propri anziani. Il dramma che stiamo vivendo è quello di una Europa ricca di valori, di diritti individuali e collettivi, che non sa più trasmettere e condividere.
La presenza dei profughi e degli immigrati è un dono per i nostri paesi, per i nostri giovani. È un dono per l’Europa.
Ha ragione Mattia Civico, un consigliere della provincia autonoma di Trento, che ha lavorato per l’accoglienza di 35 profughi siriani arrivati con i corridoi umanitari. Mattia in un tweett riporta le parole del figlio: "Papà per la mia festa invitiamo i miei amici siriani?" - lui osserva- ecco il vero regalo dei corridoi umanitari. Si l’accoglienza è un grande regalo per i nostri figli. È il solito inguaribile ottimismo degli ingenui? Quelli che credono ancora che vivere insieme è possibile?
Un dato: per un euro speso in accoglienza ne torneranno indietro due. Uno studio fa i calcoli anche basandosi sui dati del fondo monetario internazionale (2). Accogliere i rifugiati, in Europa richiederà un investimento iniziale, soprattutto di fondi pubblici, pari circa allo 0,09 % del prodotto interno lordo nel 2015 e dello 0,11 nel 2016. A questa spesa iniziale, pensate, potrebbe corrispondere, tra il 2015 e il 2020, un aumento complessivo del prodotto Interno lordo dello 0,84 %.
Sulla ragionevolezza, anche economica, dell’accogliere si potrebbe continuare. Ma credo che dobbiamo fare nostre anche le motivazioni etiche.
La Regina Rania le sottolinea in una bella intervista di Antonio Ferrari di qualche giorno fa. La sovrana parla del milione e 300.000 profughi Siriani che ora sono sul territorio Giordano (per inciso il piccolo paese ha 6 milioni abitanti) e dice: "Se avessimo fatto affidamento sulla scelta razionale e logica, non avremmo preso nessun rifugiato. Semplicemente, perché non abbiamo abbastanza risorse da condividere. La nostra decisione è stata quindi umanitaria e morale." (3)
Se consideriamo il complesso dell’ondata migratoria in UE, nel 2015 e nei primi mesi del 2016 non arriviamo ad 1 milione e 500 mila profughi che rappresentano 0,29% della popolazione europea. Se vogliamo considerare l’intera popolazione immigrata nei paesi europei, arriviamo a 34 milioni, tra europei e non europei, di cui molti residenti nel paese di arrivo da molto tempo. Parliamo, quindi, di numeri gestibili per un grande continente di quasi 500 milioni di persone, senza contare la Gran Bretagna.
Gli attacchi terroristici degli ultimi due anni hanno accentuato la paura degli immigrati, particolarmente dei musulmani. Ma, vale la pena ricordarlo, i musulmani rappresentano solo il 4% della popolazione europea. La maggior parte dei migranti sono cristiani, in particolare ortodossi.
Alcuni Paesi cristiani dell’Est, penso che abbiano paura di un’invasione ostile, anche per la loro storia legata alla perdita d’identità determinata dal lungo periodo sovietico. Mi sento di dire che sarà il tempo che cambierà la loro visione. Certo, stupisce, perché sono Paesi che dal punto di vista demografico stanno morendo, come la stessa Ungheria, che registra una forte diminuzione della popolazione e un progressivo e inarrestabile invecchiamento. E così la Polonia, anche se in maniera meno accentuata. L’immigrazione sembra una necessità per la sopravvivenza di queste popolazioni. Ciò è vero anche per l’Italia, quest’anno per la prima volta il numero della popolazione italiana è diminuito nonostante la presenza degli immigrati.
Mi ritrovo vicina alla visione di Papa Francesco sulla costruzione di ponti e non di muri, ma anche sulla sua visone dell’Europa. Sicuramente creare ponti è la via migliore per costruire un mondo pacifico.
Integrazione: la proposta di un "modello adottivo"
Si discute di modelli per l’accoglienza; qualcuno questa estate ha proposto "caserme, scuole, regole". L’idea è che deve prevalere un modello pubblico, istituzionale, centralizzato, con grandi centri, organizzati in modo rigoroso. etc.
È forse una reazione a scandali o interessi poco leciti che si sono raggrumati attorno alle emergenze legate all’accoglienza. In Italia si è parlato molto di questo.
Il controllo sulle procedure, necessario, sembra conciliarsi solo con un modello burocratizzato, spersonalizzato, che vede la società civile come una presenza da tollerare e se possibile da tenere a distanza, con una funzione residuale di "supporto".
Solo una battuta: che un approccio "burocratizzato, possa evitare fenomeni di corruttela sembra una ingenuità.
Quale modello allora? Il modello italiano di inclusione nei confronti degli immigrati, Andrea Riccardi lo ha definito "adottivo". Vorrei soffermarmi su questo. L’Italia ha nella sua storia la tradizione dell’adozione dei bambini, sia a livello nazionale che internazionale.
Ma da più di 35 anni questo stesso modello "adottivo" ha già dato buoni frutti sui temi dell’immigrazione. Si pensi, ad esempio, che bene o male più della metà degli immigrati (che sono in gran parte donne) sono entrate nelle case delle famiglie italiane, hanno lavorato con gli anziani, coi bambini, coi nostri disabili, e così è nato un "sistema adottivo" di integrazione, perché gli immigrati sono entrati nel cuore della cultura e delle famiglie.
Il secondo grande ambito dove si svolge l’integrazione è quello della scuola. Abbiamo un modello inclusivo che non è pensato per gli immigrati, ma nasce nel 1975-76 quando si è legiferato sull’inclusione per i disabili nelle classi. Questo stesso sistema si è rivelato possibile anche per i bambini immigrati.
Non voglio dire che non ci sono problemi. C’è ancora tantissimo da fare. Ma a me sembra, che tutto sommato questo approccio si è rivelato positivo. Un modello adottivo, che ha coinvolto la società civile, come abbiamo visto dopo la morte del piccolo Aylan Kurdi lo scorso anno.
Come Comunità di Sant’Egidio abbiamo potuto sperimentare in questo anno l’accoglienza con i corridoi umanitari. Tanti: singoli, famiglie, associazioni, imprenditori, parrocchie ci hanno cercato per offrire accoglienza, case, sostegno umano. L’integrazione può riuscire bene se c’è la società civile che la sostiene.
La stessa Commissione Europea chiede agli stati membri di favorire l’ingresso legale tramite il patrocinio privato anche perché "crea un ambiente più accogliente perché di solito le comunità locali sono più coinvolte". (4) Un signore del Veneto, che con sua moglie, ospita una famiglia siriana mi ha detto: "grazie perché ci avete permesso di fare l’unica cosa seria della nostra vita". L’emozione ha dominato i giorni dell’arrivo, telefonate, consigli, preparazione. I problemi ci sono e ci saranno, ma l’integrazione è un fatto positivo, che coinvolge la famiglia italiana che accoglie e la famiglia siriana che è accolta. Come un’adozione.
Cosa intendo per modello adottivo? al di là dei termini giuridici vorrei prendere in prestito le riflessioni di Marilena Piazzoni, una cara amica, morta qualche anno fa. Ha scritto delle pagine importanti sugli aspetti psicologici dell’adozione. I timori, le ansie di una famiglia che adotta appaiono gli stessi di un paese che accoglie. Come sarà il futuro? E quanto, e come, la propria vita sarà cambiata da questo nuovo arrivo? Marilena Piazzoni ha raccontato il primo incontro tra un bambino cambogiano, Khim, e suoi nuovi genitori adottivi. È un incontro commovente. Khim si è preparato con attenzione e anche i genitori vogliono presentarsi nella loro veste migliore all’appuntamento decisivo della loro vita. Racconta Marilena Piazzoni: "trovo il bambino pronto, in piedi vicino al letto. Lo prendo per mano e cerco di scherzare per allentare la tensione. (…) siamo nel vialetto e prima dell’ultima curva Khim mi stringe la mano, si ferma tira su le spalle, fa un grande sospiro e si butta come per tuffarsi. Per un momento che sembra eterno i genitori e il bambino si guardano, si avvicinano. La madre delicatamente si china, lo guarda negli occhi, gli prende la mano: (gli dice nella sua lingua) "johm riab sua" (ciao) "sono tua madre". Ancora un attimo e siamo tutti in lacrime." (5)
Winnicot affermava: se l’adozione va bene diventa una normale storia umana. Parafrasando potremmo dire che se l’accoglienza va bene scriveremo una bella pagina della storia umana. Ma come sarà questa storia? e di Fatah, e di Said che sarà? Difficile dirlo. Posso dire, ne ho avuto l’esperienza personale, che nella commozione di un incontro è scritto il segreto di un futuro che scriveremo insieme. Ci renderà diversi, non sappiamo come, ma sicuramente ci renderà migliori.
Tent Foundation, Refugees work: A humanitarian investment that yields economic dividends, studio coordinato da Philippe Legrain, 18 Maggio 2016 Bruxelles http://www.tent.org/research-index/#refugees-work
"Dobbiamo alzare la voce contro i fondamentalisti", intervista di Antonio Ferrari alla Regina Rania di Giordania, Corriere della Sera del 9 settembre 2016
Riformare il sistema europeo comune di asilo e potenziare le vie legali di accesso all’Europa- Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo e al Consiglio – Bruxelles, 6.4.2016 COM (2016)197 Final pag.16.
Marilena Piazzoni, Figli si diventa, Leonardo International, Milano 2006. Cit. Pag. 62