Il carcere: un mondo a parte
Il carcere è un mondo a parte, non è mai come lo si immagina.
Il carcere è per eccellenza luogo di emarginazione. La visita in carcere vuole dire rifiuto dell'emarginazione e dell'isolamento. Per i detenuti noi siamo il mondo esterno e le nostre visite creano un ponte, un legame con il mondo esterno. E mentre portiamo il mondo esterno tra le sbarre, allo stesso tempo portiamo nel mondo libero ciò che accade dietro le mura della prigione. Le situazioni di ingiustizia e di grave disagio che osserviamo sono infatti numerose e poco conosciute.
Chi perde la libertà insieme perde anche un po' la sua dignità di persona.
Stare vicino a chi ha ricevuto una condanna vuol dire accompagnare persone che attraversano periodi e situazioni difficili della loro vita. Il detenuto non si identifica con il suo reato. L'assenza di ascolto e di risposte può portare a gesti estremi. La depressione e la scelta di strumenti di lotta quali lo sciopero della fame, il rifiuto della terapia o i gesti di autolesionismo, sono frequenti. Essi sono il segno del profondo malessere provato fra le mura della prigione, rappresentano la richiesta di essere ascoltati e rispettati.
Per chi è stato condannato, e quindi allontanato dalla società, parlare con qualcuno che non sia un parente, un avvocato o un magistrato, vuol dire essere riconosciuto come persona, essere rispettato e, in un certo modo, "reintegrato". Per chi ha varcato la soglia del carcere ricevere una visita, fare un colloquio significa poter avviare un legame di amicizia.
Nelle carceri italiane molti detenuti non hanno biancheria e indumenti, né li ricevono dall'amministrazione. Può capitare infatti che chi viene arrestato in estate, finisca col rimanere in maglietta anche a dicembre. Sensibilizzare i responsabili, i legislatori e l'opinione pubblica, comunicando istanze di umanità e di giustizia, è un compito importante.
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