I cardinali dell’ultimo conclave hanno optato per un Latinoamericano, seguendo il criterio di cercare un cardinale che non fosse italiano, per ungerlo come Papa. Wojtyla era stato eletto per ravvivare la forza del cattolicesimo nel suo storico baluardo, la Terza Repubblica di Polonia, dopo 50 anni di dominio nazista e sovietico e nelle comunità cattoliche dell’Europa dell’Est. Ratzinger, nella sua qualità di prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede è stato colui che ha fornito il supporto ideologico a Giovanni Paolo II. Il cattolicesimo nell’Europa dell’Est ha vissuto l’effetto di vedersi e sentirsi vicino a Roma attraverso la figura di Wojtyla.
Ratzinger fu l’erede naturale. Ma la realtà mondiale in cui si trovò a operare dissipò rapidamente i numerosi frutti che Giovanni Paolo II aveva ottenuto nel suo pontificato. I molteplici viaggi realizzati da Wojtyla nel suo pontificato, gli incontri oceanici con popoli differenti e in particolare con i giovani di ogni latitudine e persino la sua lunga agonia, avevano risvegliato un sentimento di religiosità a livello mondiale. Ma l’accelerazione vertiginosa dei cambiamenti negli atteggiamenti degli individui e delle masse, che caratterizza la realtà “liquida” del presente –secondo l’espressione di Zygmunt Bauman-, insieme ai gravi problemi della Chiesa, che hanno avuto un carattere pubblico, hanno portato alla rinuncia di un ormai anziano Ratzinger.
L’America Latina è una delle regioni del mondo con più abitanti che si riconoscono come appartenenti alla Chiesa Cattolica Apostolica Romana. Al di là del processo di perdita di impegno nelle tradizioni e della secolarizzazione che si è verificata a partire dalla metà del secolo scorso, la Chiesa, come istituzione, gode di un’importante influenza su gran parte della popolazione dei molteplici paesi che fanno parte di questa regione.
Negli ultimi decenni si è verificato un significativo drenaggio di fedeli verso altri culti cristiani che sono emersi e che sono stati capaci di dare una risposta e un contenimento ai bisogni spirituali di coloro che gli si accostavano. Se l’umanità è sprofondata in una grande crisi spirituale e cerca disperatamente un paradigma che illumini l’esistenza per darle un senso -e questa è la prima sfida di Francesco-, il puntellamento del Cattolicesimo in America Latina è il secondo obiettivo e, in certa misura, il primo dipende dall’esito del secondo.
L’America Latina è l’ambito che Bergoglio conosce. Un vasto territorio nel quale la polarizzazione sociale caratterizza tutti i popoli che lo abitano. Molte sacche di miseria macchiano i suoi bei paesaggi, che si chiamino favelas o villas miseria. La corruzione, miseria materiale e svuotamento di valori spirituali è il denominatore comune della regione in cui negli ultimi decenni è aumentato drammaticamente il consumo di droghe.
Innumerevoli rivoluzioni e controrivoluzioni riempiono i registri storici delle molteplici nazioni latinoamericane. Si sono moltiplicati i leader che si sono proclamati guide dei diseredati nel corso delle loro rispettive Storie, ma nel secondo decennio del XXI secolo la fame continua a colpire molti in una regione che ha possibilità di produzione di cibo per una popolazione di gran lunga superiore a quella attuale.
Bergoglio è cresciuto e si è formato in questa realtà ed è sempre stato sensibile ad essa. L’Argentina è stata leader storica tra le regioni dell’America Latina e Buenos Aires suo centro politico per eccellenza. E’ qui che è nato e si è formato colui che oggi è Papa Francesco. Nessuno in questa città si può sentire estraneo alla politica. In qualche modo, nelle sue grandezze e miserie, la politica Argentina, Latinoamericana e mondiale hanno avuto la loro eco a Buenos Aires e nei ‘porteños’ (abitanti di Buenos Aires, città portuale n.d.t.).
Nei molteplici solenni Te Deum in onore delle feste patriottiche realizzati nella Cattedrale Metropolitana, a cui assistevo su invito del presidente della nazione come rappresentante del Culto Ebraico, l’allora arcivescovo di Buenos Aires era solito tracciare un bilancio morale della realtà argentina davanti alle massime autorità del paese. L’uomo, conoscitore dei mali che affliggono il popolo della Patria, era solito deplorare, imitando i profeti biblici, le ingiustizie sociali e il dolore degli esclusi.
In varie occasioni ho parlato con lui del coraggio che mostrava con le parole delle sue omelie. Gli dicevo che, per ignoranza, molti le “politicizzavano” e provocavano l’ira di altri. Non ha mai cambiato la direzione del suo discorso e così il presidente Kirchner e, dopo di lui, la presidentessa Cristina Fernández de Kirchner, hanno smesso di partecipare alle celebrazioni per le feste patriottiche in Cattedrale, come d’abitudine, recandosi in templi dell’interno del paese. Bergoglio ha affrontato con moderazione e serenità la situazione, che ha coinvolto anche l’occasione dei festeggiamenti del bicentenario della Patria.
Bergoglio ha avuto un atteggiamento di impegno per i bisognosi. In più di un’opportunità ha accompagnato i “curas villeros” (preti delle baraccopoli n.d.t.) visitando i quartieri poveri. D’altra parte ha condannato aspramente il lavoro “schiavo” e la “tratta” delle persone. Ha offerto il suo appoggio a organizzazioni come ‘La Alameda’, che ricercano e accusano tutti coloro che in qualche modo sfruttano altre persone.
Questi flagelli che colpiscono la società argentina sono un male endemico in America Latina. Per questo non ci deve sorprendere il fatto che abbia visitato una favela durante il suo viaggio in Brasile. Egli dà per scontato che la sua missione in America Latina sia offrire un appoggio e un aiuto a milioni di esclusi che, per iniquità sociali, vivono nella miseria in mezzo a una terra ricca e fertile. Egli capisce che la Chiesa deve dare una risposta alle loro necessità se desidera essere accettata e servire come rinnovato ambito di culto e di cultura per tutti coloro che hanno ereditato la condizione di cattolici.
Il suo desiderio di relazionarsi con le folle che lo acclamavano a Rio de Janeiro con meno barriere possibili è un segno di umiltà e semplicità, ma acquisisce un significato superlativo in America Latina dove l’atteggiamento da signore e vassallo è molto radicato. La separazione tra classi non è solo una questione di differenza pecuniaria. C’è una mentalità segregazionista che trasforma i manifesti di fratellanza in dichiarazioni innocue e le rivoluzioni sociali in cambiamenti spasmodici che non riescono a sradicare la miseria materiale e soprattutto spirituale della realtà latinoamericana.
Le incomprensioni e gli interessi meschini sono stati e continuano a essere un impedimento per l’integrazione della regione in un corpo affratellato capace di aiutarsi vicendevolmente. L’unità latinoamericana continua a essere un’altra delle materie irrisolte che caratterizzano la regione e testimoniano le rivalità e i pregiudizi che si nascondono nel carattere dei diversi popoli.
La mistificazione, se non addirittura l’idolatria, di figure note della politica o dello sport, la sequela cieca di leader carismatici che si ergono a redentori è un’altra sfaccettatura di queste società che chiede di essere rettificata.
La storia dell’America Latina e l’opera di evangelizzazione della Chiesa Cattolica, con i suoi successi ed errori, sono concatenate. Papa Francesco nel suo programma di lavoro fa riferimento a una nuova evangelizzazione che, credo, ha come obiettivo restituire significato al messaggio evangelico. Ciò è necessario per dare una svolta che comporti la rottura dei circoli viziosi che impediscono il pieno sviluppo a livello spirituale e materiale.
Le valutazioni che ho espresso in queste righe non sono il frutto di una ricerca minuziosa ma le riflessioni conclusive dopo essere nato e vissuto 63 anni in America Latina. Servano come continuità al dialogo interreligioso e di amicizia che da quindici anni mi unisce a colui che oggi è Papa Francesco e che continuano a svilupparsi fortemente, con il pensiero e con il sentimento più che con le parole, tra Roma e Buenos Aires.
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