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1 Ottobre 2013 09:30 | Università Urbaniana - Auditorium Giovanni Paolo II

Il terrorismo religioso interpella i credenti



Armand Puig I Tàrrech


Teologo cattolico, Spagna
Le religioni hanno diverse sfide nel loro cammino di avvicinamento all’Assoluto e Ineffabile. Una delle più difficili è quella dell’utilizzo del nome di Dio per uccidere, spesso in modo indiscriminato, altre persone, credenti o non credenti, a volte anche persone appartenenti alla propria religione. Il terrorismo messo in atto invocando il nome di Dio è un attacco alle convinzioni di tanti uomini e donne che condividono la fede degli assassini ma è anche un’aggressione ad ogni credente. Infatti la più grande blasfemia che si possa indirizzare a Dio è renderlo Dio della violenza invece di riconoscerlo come Dio della pace –il suo vero nome! Il terrorista che uccide, a volte lasciando la propria vita nell’agguato e nel massacro, non rende culto a Dio ma a una ideologia di morte che prende Dio come giustificazione dell’odio e della violenza che si abbattono sulle persone innocenti. Colui che uccide convinto che la sua scelta sia dettata dalla volontà divina, non difende la causa di Dio: nessun uomo di religione, giusto e misericordioso, presenterà Dio come Colui che richiede un impegno di morte, una distruzione della vita che è dono divino e dunque sacrosanto. Il terrorista che pensa che amazzando degli innocenti andrà in paradiso non si rende conto che il paradiso è il luogo della vita eterna e che difficilmente ci si può entrare dopo aver ucciso in nome del Dio della vita. 
E tuttavia c’è un dramma interno nelle persone e nei popoli che porta delle persone a lasciarsi trascinare e diventare messaggeri della morte. Potremmo dire che tante volte i terroristi religiosi sono come quei piccoli di cui parla Gesù come persone che sono scandalizzate da altri (cf. Marco 9,42). C’è chi li muove ad agire in modo micidale dopo aver indicato ai terroristi che sono stati «chiamati» da Dio, che sono oggetto di una «scelta provvidenziale». Essi infatti sono indotti a far morire –ed eventualmente a morire anche sé stessi– come atto supremo di religiosità e di fede in Dio. Per ciò sono istruiti come veri martiri, che riceveranno una ricompensa straordinaria in paradiso. Occorre affermare che colui che spinge un’altra persona a uccidere degli innocenti in nome di Dio meriterebbe, citando la parola forte di Gesù appena menzionata, che gli attaccassero al collo una pietra di mulino e lo buttassero in mare. Far cadere persone conducendole  a togliere la vita a degli innocenti in nome di Dio merita una riprovazione totale. Gesù la esprime con una immagine iperbolica che vuole mostrare la gravità di quello che accade. Quanti terroristi religiosi sono stati attratti in nome di Dio perchè cadessero nella trappola di una violenza giustificata al grido di «È Dio che lo vuole, sii coraggioso e uccidi, non perderai la vita, anzi Egli ti ricolmerà di beni nel mondo che verrà!». 
 
1. Il testo rivelato, l’esperienza, i comportamenti 
Colui che decide di uccidere degli innocenti in nome di Dio, per propria volontà o per influsso di altrui, ha capovolto e tradito i principi della religione che professa. Pensa che è un grande credente ma in realtà è un credente che è caduto nelle mani del principe del male, il signore della menzogna e della violenza. Ma, come si arriva a pensare che Dio  chieda la violenza cieca e senza volto di coloro che non guardano agli occhi delle vittime e non vedono in esse un essere umano ma una preda di un odio senza misura? Si può cadere in una disumanizzazione tale che l’altro, un essere umano, perda la sua vera natura? Le risposte a queste domande si trovano nei testi sacri delle religioni, nell’esperienza religiosa e nei comportamenti che le religioni giustificano.        
Un testo rivelato o sacro è fonte principale di qualsiasi religione. Ma bisogna interpretarlo in modo giusto e verace, e adeguato ai grandi consensi interpretativi che si formano accanto a esso. Leggere il testo rivelato non può essere fatto al margine della grande comunità dei credenti. Quando si sceglie di leggere il testo all’interno  di un gruppo di solitari o di puri, che si situa in disparte, chiuso in sé stesso, senza contatti con la grande tradizione, si rischia di interpretare in modo sbagliato quello che Dio vuole dire attraverso quelle parole. Dio parla tramite la comunità di credenti, non attraverso un gruppo che ha una posizione ideologica previa e la vede «confermata» nel testo rivelato. In tal caso si entra in una confusione pericolosa: dico quello che il testo dice o quello che io voglio che esso dica? All’origine di molti terrorismi religiosi c’è una lettura parziale e interessata del testo sacro, che lo sfigura e lo rende irriconoscibile. 
Il testo rivelato è la fonte e il garante dell’esperienza religiosa. Ma quando questo testo non viene interpretato secondo la grande tradizione della comunità credente, allora diventa la giustificazione del fanatismo ideologico, che è il passo precedente al terrorismo religioso. La persona fanatica considera che la sua posizione è unica e per ciò esclude tutte le altre. Inoltre, il fanatico non si lascia giudicare da nessuno e si sente in grado di giudicare tutti, e considera che la sua esperienza religiosa è talmente alta da diventare irraggiungibile dagli altri. Orbene, la sicurezza con cui giudica la sua esperienza religiosa come promossa da Dio e dal suo Santo Spirito, senza che lo affliga nessun senso di peccato, porta costui a pensare che tutte le altre esperienze sono minori. L’arroganza spirituale lo conduce a considerare giusta qualsiasi violenza quando si tratta di difendere o diffondere la sua verità – divenuta nel frattempo l’unica possibile.
Se il testo rivelato e l’esperienza religiosa propria giustificano la violenza, occorre raggiungere l’obiettivo a qualsiasi prezzo. Allora il terrorismo religioso, basato sul fanatismo fondamentalista, chiaramente ideologico, diventa una prassi che non si può contestare. Il terrorista religioso cade in questo momento nel peccato di tentare Dio, di metterlo a prova. Egli è così convinto del suo successo e della via della violenza come mezzo per ottenerlo, che assume dei comportamenti come l’assassinio di innocenti fatto che è contro la legge naturale e la coscienza. Ma il terrorista religioso non riflette più. Agisce secondo le conclusioni false derivate da premesse non meno false. Il suo relativismo morale è assoluto: poco importa chi viene ucciso, lo scopo deve essere raggiunto!
 
2. L’interpellazione ai credenti
Dinanzi a queste riflessioni si direbbe che non c’è nessuna domanda per i credenti. Basterebbe non agire come agiscono i terroristi, cioè di eliminare ogni violenza e odio. Ma questa posizione sarebbe insufficiente poichè ridurrebbe i credenti a non fare quello che i terroristi fanno. Una conclusione di questo tipo avrebbe un tono moralistico che in fondo eviterebbe una domada personale. 
In Luca 9,51-56 i discepoli Giacomo e Giovanni si rivolgono a Gesù e dicono: "Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?" si riferisce ai samaritani che non hanno voluto accogliere Gesù che passava. Per i «nemici», soltanto serve la distruzione! Ma Gesù rimprovera i discepoli e non accetta affatto di punire quei samaritani. Il suo atteggiamento è contrario al fanatismo religioso: bisogna rispettare la libertà di scelta religiosa. 
Questo brano mostra anzitutto che occorre ascoltare la voce dei testi sacri e dei suoi interpreti più fedeli: gli uomini veramente spirituali. Un testo religioso non si può capire senza il concorso di un «esegeta» qualificato e saggio, che rappresenta la comunità credente e dà una parola giusta in  nome di essa. Il problema del terrorismo religioso è spesso la distanza tra il terrorista e la fede di tutta la comunità (e non soltanto di un gruppo radicalizzato). Se si ascolta la parola di Dio all’interno della comunità tramite i suoi rappresentanti più qualificati, se non si va da solo, immediatamente ci si accorge che questi testi non possono diventare un pretesto. Nessun credente dovrebbe sttaccarsi dalla comunità, poichè essa lo preserva di fare il male. 
Dall’altra parte, non possiamo essere ingenui e non dare importanza ai sentimenti di violenza verso l’altro. Il fanatismo obnubila il cuore, in modo che il prossimo diventa un nemico che bisogna uccidere. Nel suo Vangelo, Gesù esorta a non avere questi sentimenti, cioè a non dare retta alla violenza. Egli mostra che la religione può essere usata malvagiamente e che diventa facile rifiutarla. Si incomincia con piccoli rifiuti – che non sembrano particolarmente gravi – ma si finisce con una violenza radicata e pesante, che passa, come nel caso dei due discepoli già menzionati, attraverso la richiesta di una punizione divina. Gesù non risponde e continua il suo cammino.  Il vero nemico del terrorismo è una fede salda espressa dall’amore. Questa è la vera barriera di ogni violenza! Per il contrario, la violenza è il primo passo verso la morte del fratello. Per ciò l’uomo di religione non tollera che la violenza si infiltri nella sua vita.   
Dunque, il credente non cade nella trappola sottile del mettersi al centro e fare della religione una giustificazione che «copra» un atteggiamento violento contro gli innocenti, la qual cosa è assolutamente estranea a un discorso di Dio. La religione viene manipolata quando il nome di Dio è usato invano, cioè quando emerge nel nostro cuore un Dio che si compiace della morte di innocenti. Il credente ha la tentazione di cercare di giustificare degli interessi non vincolati con la volontà di Dio contenuta nel testo sacro e presentarli come frutto del disegno divino. La violenza del terrorismo religioso contribuisce a purificare in modo radicale la fede del vero credente e la preclude nel confondere una scelta ideologica di tipo politico con una scelta religiosa che si fonda su un Dio che non farà morire nessun innocente. Anzi, li farà vivere tutti. Perciò il compito del vero credente è non di non far morire ma di creare vita, non di distruggere ma di costruire, non di uccidere ma di far vivere.
 

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