Il titolo della nostra sessione di discussione tratta di fare la storia senza violenza. Indirettamente si evoca la possibilità che sia la pace e non la violenza a cambiare la storia. Un'altra domanda che mi viene in mente è: è possibile mantenere la pace che segue una guerra? Come è possibile, nonostante le ferite della guerra, i massacri, gli stupri, l'abuso dei bambini-soldato, come è possibile nonostante tutto questo far sorgere e mantenere la pace? Oppure la violenza è inevitabile?
Quando ci facciamo queste domande, pensiamo alla Siria. Come potrà tornare la pace? Come potrà la gente tornare a una vita pacifica? È pensabile che religioni diverse, visioni del mondo contrastanti coesistano pacificamente nella ricostruzione di un paese devastato? Pensiamo all'Iraq. Possiamo solo immaginare le profonde spaccature che si sono create nel paese dopo decenni di dittatura, di tirannia e di guerre, la disperazione della gente dopo la distruzione totale delle istituzioni causata dall'intervento militare del 2003 e dai quotidiani episodi di terrorismo che si sono susseguiti da allora, per dieci anni. Pensiamo all'Afghanistan. Possiamo ancora credere che la pace si ristabilirà dopo decenni di guerra e interventi militari? Cosa dovrebbe succedere per rendere possibile lo sviluppo di questa orgogliosa nazione nella dignità, nell' indipendenza e, soprattutto, nella pace?
In 25 anni di lavoro con la Caritas in giro per il mondo ho incontrato rifugiati e vittime di guerre di tutti i continenti e cercato di organizzare gli aiuti. Se non ho perso fiducia nel significato di questo lavoro in tutti questi anni è perché ho potuto vedere la forza e il coraggio di queste persone. Ma ho anche dovuto troppo spesso constatare come il loro ottimismo e il loro desiderio di vivere venisse schiacciato dai potenti, dalla geopolitica e dalla crudeltà. Per me questi venticinque anni di lavoro con la Caritas sono stati un impegno personale e morale ad operare per la giustizia e la comprensione reciproca.
Oggi dirigo una Fondazione tedesca che si prefigge di sviluppare la comprensione fra i popoli e trarre insegnamenti dalla storia. Parlerò di entrambi questi temi, delle responsabilità personali e individuali nel superamento delle esperienze di violenza e nel raggiungimento della pace.
La Fondazione Rimembranza, Responsabilità e Futuro (nota con l'acronimo tedesco EVZ) è nata per affrontare i crimini commessi contro milioni di persone durante il regime nazionalsocialista. La Fondazione è stata creata solo nel 2000, cioè 55 anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, per indennizzare i lavoratori forzati. Perché si sentì l'esigenza di istituire la Fondazione dopo tanto tempo e dopo tutto quello che era stato già fatto per "venire a patti col passato"? Rianalizzare le circostanze della guerra fredda, della divisione della Germania, della concorrenza fra i due stati tedeschi e del loro diverso modo di affrontare il lascito del Nazionalsocialismo richiederebbe troppo tempo. Il fatto è che dopo la caduta del Muro di Berlino e la riunificazione tedesca gli indennizzi fino allora pagati alle vittime apparvero insufficienti. Soprattutto, molte vittime non erano nemmeno state riconosciute come tali. Non lo erano state neanche nei loro paesi, pur essendo vittime dei Tedeschi, come i milioni di lavoratori forzati dell'Unione Sovietica, che anzi in molti casi erano stati accusati, dopo la guerra, di aver collaborato con l' occupante tedesco.
Con l'istituzione della Fondazione EVZ si intendeva porre rimedio alle ingiustizie che non erano state affrontate fino allora. Non fu peraltro una decisione facile. Non fu neanche una decisione spontanea dello stato o dei politici tedeschi. Negli anni 90 i lavoratori forzati sopravvissuti e altre vittime del nazismo dell'Europa dell'Est riuscirono a organizzarsi per la prima volta e a iniziare procedimenti giudiziari contro le imprese tedesche che li avevano impiegati praticamente senza un salario durante la seconda guerra mondiale. Tribunali degli Stati Uniti ammisero class actions, mentre varie organizzazioni della società civile offrirono assistenza alle vittime, nell'Europa centro-orientale, negli Stati Uniti e anche in Germania. Le imprese tedesche dovettero rispondere. Le campagne di stampa contro di loro in America ne stavano danneggiando reputazione e mercati. La loro non fu però unicamente una reazione difensiva. Una nuova generazione di consiglieri nell’amministrazione cercò seriamente, con motivazioni morali, di esplorare la storia e il coinvolgimento delle loro società negli stermini razzisti e nei sistemi di sfruttamento dei nazisti.
Fu quindi l'interazione fra forze diverse che portò alla fine alla creazione della Fondazione EVZ: le pressioni internazionali e il rischio di una cattiva reputazione per le imprese tedesche, l' impegno personale di alcuni dirigenti aziendali, il dibattito pubblico stimolato da singoli cittadini e dalla stampa, l' intervento di politici saggi.
La Fondazione EVZ è dunque, per le sue origini e il suo mandato, un'istituzione con la quale l'industria, la politica e la società tedesche si assumono una responsabilità politica e morale per i crimini nazisti. Il suo primo compito fu di pagare un indennizzo almeno simbolico, dopo tanti anni dalla seconda guerra mondiale, per le sofferenze patite, mettendo insieme fondi dello stato e delle imprese. Il programma permise di pagare 4,6 miliardi di euro a un milione e settecentomila persone, per la maggior parte dell'Europa centro-orientale e di Israele. Fu completato nel 2007. Nonostante tante manchevolezze era stato fatto un tentativo di rendere quella giustizia fino allora mancata, come fu riconosciuto anche dalle vittime delle persecuzioni. Fu un contributo molto importante per la riconciliazione fra la Germania e i paesi con cui era stata in guerra.
Alla sua creazione la Fondazione ricevette un fondo di dotazione per consentirle anche di operare per la comprensione fra i popoli e per i diritti umani. Essa si considera soprattutto al servizio delle iniziative in questo senso di cittadini e della società civile. Vogliamo difendere i valori messi in luce dalle vittime del nazismo, sostenere anche con finanziamenti le iniziative per la comprensione fra i popoli, per i diritti umani, contro la discriminazione razziale e l'emarginazione delle minoranze.
Vorrei presentare brevemente due progetti della nostra Fondazione: il concorso "Europei per la pace" (EFP) e "Umanità in azione" (HIA), una rete di giovani accademici.
Nell'EFP gruppi di lavoro internazionali formati da scuole e associazioni giovanili chiedono fondi per finanziare progetti che riguardano i diritti umani, nel passato e nel presente, e in particolare le discriminazioni di minoranze. I giovani individuano tematiche come le difficoltà dei disabili in Polonia e in Germania oggi, i rifugiati illegali in Israele e in Germania, la persecuzione e la discriminazione dei Rom, il traffico di esseri umani e il lavoro forzato nell'Europa di oggi. La riflessione su questi temi viene condotta sempre in una prospettiva storica e si seguono quindi le discriminazioni nel tempo, fino al periodo dei crimini nazisti.
È sorprendente ed entusiasmante la creatività con cui i giovani trattano gli argomenti. Possiamo sperare che la partecipazione a questi progetti sia di ispirazione per la loro vita futura.
Nel progetto HIA si è sviluppata una rete di giovani studiosi negli Stati Uniti e in sei paesi europei. Ogni paese ha un'organizzazione locale; l'EVZ ha finanziato e sostenuto da oltre dieci anni i progetti tedesco e polacco. Vengono fornite borse per programmi estivi di studio intensivo, incentrati da un lato sui crimini nazisti e in particolare l' Olocausto, dall' altro sulla situazione odierna dei diritti umani. E tutti quelli che hanno ricevuto borse finora si incontrano ogni estate per parlare delle loro vite professionali e dei campi in cui hanno assunto impegni a titolo personale.
Questi sono due esempi dell'attività della Fondazione nell'area "Operare per i diritti umani". Altre aree di intervento sono "Un' analisi critica della storia" e "Impegno per le vittime del nazismo sopravvissute". Il lavoro sui diritti umani e la lotta alla discriminazione delle minoranze sono le aree prioritarie per il futuro. Insieme ai siti di memoriali e ad altre istituzioni la Fondazione EVZ è dunque un esempio di come un paese e una società possono affrontare la loro responsabilità storica su un piano istituzionale.
Ma è sufficiente il piano istituzionale? Che noi non lo crediamo è testimoniato dall'impegno della Fondazione in favore di iniziative della società civile. Sono queste iniziative a essere determinanti per l'assunzione di responsabilità per la nostra storia e per il suo mantenimento nel tempo. Al concetto di mantenimento nel tempo vorrei dedicare l'esempio dei Sinti e dei Rom.
Le minoranze Sinti e Rom furono perseguitate dai nazisti come gli Ebrei. Anch'esse erano destinate all'annientamento. Si stima che mezzo milione di membri di queste minoranze siano stati uccisi in campi di sterminio e in fucilazioni di massa. Questo sterminio, a differenza di quello degli Ebrei, per molto tempo non è stato riconosciuto. Solo l'anno scorso è stato inaugurato un memoriale a Berlino. Un Sinti olandese, Zoni Weisz, lamentava al Parlamento tedesco nel gennaio del 2011 che "mezzo milione di Sinti e Rom, uomini, donne e bambini, sono stati sterminati nell' Olocausto. Nulla o quasi nulla si è mai saputo, altrimenti la società ci tratterebbe oggi in modo più responsabile"
E all'Incontro per la Pace di Sant' Egidio ad Auschwitz nel 2009 l'austriaca Celja Stojka si chiese: "Che senso ha che io sia sopravvissuta al campo di concentramento se i miei nipoti ancora oggi devono temere per la vita?"
Quello che conta alla fine è che tanti assumano una decisione personale. La decisione di mettere in discussione gli stereotipi radicati in noi stessi. Di ricordare il destino di persecuzione di Sinti e Rom e quindi di adoperarsi per i loro diritti, per i diritti che appartengono a tutti gli Europei e a tutti gli uomini. La decisione di imparare e di accettare lezioni dalla storia, di non consentire più discriminazioni è fondamentalmente una decisione personale e morale, una decisione che ognuno deve prendere per sé. Istituzioni come la Fondazione EVZ possono e devono favorire questi comportamenti. Noi possiamo fornire l'ispirazione, la rete di collegamento e i fondi, ma la volontà di adoperarsi per la comprensione e la riconciliazione deve venire dalla gente.
Questa breve riflessione sul lavoro della Fondazione EVZ per favorire la reciproca comprensione mi fa sentire più ottimista sulle questioni che ho sollevato all'inizio a proposito dei teatri di guerra odierni? Non necessariamente. Ma un riesame critico della nostra storia, piena di violenza e di distruzioni, ci costringe a riconoscere, come disse J.F. Kennedy, che:
"L'umanità deve mettere fine alla guerra prima che la guerra metta fine all'umanità".
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