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1 Ottobre 2013 19:00 | Piazza del Campidoglio

Discorso di Andrea Riccardi alla cerimonia conclusiva in Piazza del Campidoglio



Andrea Riccardi


Storico, fondatore della Comunità di Sant’Egidio

Illustri Rappresentanti delle Chiese cristiane e delle Religioni mondiali,
Signor Sindaco,
Cari amici,

Domenico Quirico ha testimoniato l'orrore del terrorismo religioso: si tortura l'uomo a immagine di Dio e poi si va a pregare Dio. Il terrorismo religioso rappresenta un dramma del nostro tempo: è la perversione di quello che è più prezioso: il nome di Dio. Perché avviene questa perversione?
Forse l'autoreferenzialità di mondi, a contatto con la globalizzazione, è impazzita. E' divenuta prima disprezzo per l'altro, poi odio, infine terrore e guerra all'uomo. Questo impone una nuova responsabilità delle religioni - tutte! - di liberarsi dalle chiusure autoreferenziali e di educare alla vita con l'altro con amore in pace. Mai senza l'altro! Lo ha detto ieri ai leader religiosi papa Francesco con molta forza: "Ciascuno di noi è chiamato ad essere un artigiano di pace, unendo e non dividendo, estinguendo l'odio e non conservandolo, aprendo le vie del dialogo e non innalzando nuovi muri".
La situazione attuale del mondo globalizzato impone una nuova responsabilità. Quella di opporre dolcemente e fermamente al terrorismo religioso e alle seduzioni della violenza la pace delle religioni. La nostra immagine insieme questa sera dal Campidoglio è un messaggio di pace che va lontano più di quanto possiamo credere. Non un accostamento superficiale, perché ci uniscono la preghiera e il dialogo dei giorni trascorsi a Roma. Veniamo dalla preghiera in luoghi diversi, ma vicino, accanto all'altro.
C'è necessità - come sognava Giovanni Paolo II - di un più grande movimento di pace, in un tempo in cui tanti, troppi disertano le frontiere della pace, ripiegati sulla cronaca, lontani e impassibili, perché chiusi nel proprio particolare. Non è un compito delle religioni, che portano nel loro cuore il messaggio della pace? Un grande movimento di pace...
La pace non è una ricetta predicata, ma una dimensione che parte da sé. Lo insegnano le religioni. Un grande spirituale russo, Serafino di Sarov, insegnava: "Acquista lo spirito di pace in te e migliaia attorno a te troveranno la salvezza". Forse, proprio per la carenza di uno spirito di pace in noi stessi, è cresciuto un mondo di indifferenza. Non si cambia il mondo, se non si cambia se stessi. E' la via delle religioni! 
Cari amici,
queste non sono parole al vento. Vengono così considerate in una società dove - come ha detto papa Francesco - "l'egoismo è aumentato e l'amore per gli altri è diminuito". Lo vediamo nel teatro triste della politica, che ha perso troppo un rapporto verace con le fonti dell'umanesimo spirituale e laico. Lo vediamo nell'incapacità di far fronte alle sfide della vita quotidiana, perdendosi nel teatro, mentre quelle terribili del mondo vengono trascurate, perché non c'è spazio per loro. Siamo miserevolmente abbarbicati alla cronaca, alle sue sorprese che non sorprendono. Non lo dico con disprezzo, ma con dolore. Nessuno è superiore alla miseria della vita quotidiana, ma non possiamo restarne prigionieri. Ma non siamo pessimisti. Tutt'altro. Il pessimismo e la rassegnazione sono spesso cedimento alla miseria o al male. Ci vuole una rivolta dello spirito!
Nella rapidità delle comunicazioni o nei contatti sfuggevoli, abbiamo perso la grande dimensione dell'ascolto e dell'incontro: quella a cui le religioni richiamano con il valore del silenzio. L'ascolto genera quella partecipazione alla realtà dell'altro che è la compassione. L'ascolto lega all'altro e alle sue ragioni profonde. La compassione riconnette il tessuto umano lacerato. L'ascolto non è passività. Dal dialogo e dall'ascolto di questi giorni, emerge forte la volontà di una rivolta della speranza.
Una rivolta che non accusa nessuno, ma non è sottomissione a uno spirito pubblico impoverito, come emerge in tanti paesi del mondo, che stanno perdendo la speranza. Ma la speranza non è perduta: la si ritrova nel fondo del pozzo dello spirito, di una vita vissuta con la pace nel cuore.
Il dolore per gli altri, per il proprio paese, per le sofferenze del mondo, è fecondo: ne nasce una domanda, una preghiera, l'esigenza di agire, la speranza. Soffrire con gli altri è generatore di speranza e di voglia di futuro. Abbiamo ascoltato Alganesh Fessaha, che ci parlava del dramma dei rifugiati eritrei: un mondo deserto di umanità nel Sinai si può popolare di solidarietà. Sull'albero della compassione nasce la speranza e la voglia di cambiare.
Una rivolta dello spirito è un lavoro paziente che i credenti possono compiere ogni giorno, perché rinasca la speranza.

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