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9 Septiembre 2014 09:30 | Thomas More, Campus Carolus, Aula 006

Intervento


Louis Raphaël I Sako


Patriarca de Babilonia de los caldeos, Iraq

Per circa due millenni comunità cristiane hanno vissuto in Iraq, Siria, Egitto e altrove in Medio Oriente. Questi gruppi hanno contribuito economicamente, politicamente e intellettualmente e hanno aiutato a forgiare le loro rispettive culture. Sfortunatamente, nel XXI secolo i cristiani mediorientali sono stati gravemente perseguitati. Se possiedono mezzi, molti fuggono dalla regione.

È divenuto ovvio che i cristiani iracheni assieme ad altre minoranze abbiano ricevuto il colpo fatale al cuore delle loro vite e delle loro esistenze quando più di 120.000 cristiani sono stati forzati a fuggire dalle loro case e dai loro villaggi, quando i loro beni di una vita, valori e documenti sono stati saccheggiati e quando le loro case sono state occupate: quindi una autentica e antica tradizione è in pericolo!

La comunità internazionale a causa della sua responsabilità morale e storica verso l’Iraq non può restare indifferente. È anche triste dire che la risposta della comunità internazionale musulmana verso gli atti barbarici commessi (nel nome della loro religione) contro la vita, la dignità e la libertà dei cristiani non è stata a livello delle nostre speranze, considerando il fatto che i cristiani hanno contribuito e lottato per questo paese, vivendo in partnership con i loro fratelli musulmani lungo il periodo della civilizzazione islamica (condividendo le loro sofferenze e le loro gioie).

Il fondamentalismo religioso sta ancora crescendo in potere e forza, provocando tragedie e questo ci porta a interrogarci su quando gli studiosi religiosi islamici e gli intellettuali musulmani esamineranno criticamente questo pericoloso fenomeno e lo sradicheranno attraverso l’educazione a una autentica coscienza religiosa, diffondendo una autentica cultura di accettazione della gente di fede diversa come fratelli e cittadini con uguali e pieni diritti. L’Isis sta progredendo con la sua guerra feroce contro la cultura e la diversità e in questo modo minaccia la costruzione intellettuale e sociale dell’intera società.

I cristiani e i musulmani non dovrebbero cessare di alzare le loro voci contro gli estremisti e dovrebbero lavorare insieme per creare una nuova mentalità del vivere insieme in pace e armonia. Quindi, è giunto il momento che una azione affettiva venga intrapresa a livello ideologico all’interno del mondo islamico e arrestare la pretesa di questi estremisti di una loro legittimazione religiosa che consente loro di ricevere risorse e di reclutare nuovi militanti. Noi esortiamo tutti i leader politici e religiosi a diffondere una cultura di apertura, diversità, pluralismo e uguaglianza di fronte a una cultura dell’estremismo, della eliminazione, della marginalizzazione e dell’arretratezza sociale sostenuta da una debole consapevolezza, individuale e collettiva, del proprio limite.

Solo l’educazione può avviare questa trasformazione e costruire una società in cui prevarrà l’uguaglianza tra i cittadini. Tutto ciò può essere realizzato in primo luogo operando una opportuna revisione del curriculum di tutti i centri di insegnamento, specialmente dei centri di formazione religiosa. Per garantire una migliore coabitazione è doveroso creare una società civile che rispetti ogni religione e non politicizzi le religioni per i suoi propri interessi.

Il titolo di questo incontro a 100 anni dalla prima guerra mondiale è “Religioni e culture in dialogo. La pace è il futuro”. Questo dovrebbe essere il nostro stile di vita. Quindi, suggerisco alcuni punti pratici.

1. La nozione di religione nell’islam e il suo linguaggio teologico differiscono dalla prospettiva cristiana. L’islam è un sistema in cui la religione e la politica sono interconnesse e in che detta legge in tutte le aree dell’umana esistenza. Ritengo che sia giunto il momento di separare la religione, che è basata sulla verità, dalla politica, che è basata essenzialmente sugli interessi (di colui che governa o di coloro che vogliono governare!).

2. Il dialogo è un processo, uno stile di vita. Non è un lavoro da ufficio né qualcosa che può essere ridotto a qualche incontro o discussione. Il dialogo è uno sforzo autentico intellettuale nel pensare e analizzare la propria fede, la propria vita e la propria cultura mentre facciamo spazio alla comprensione della fede, della vita e della cultura degli altri. In questo processo, l’autentico cercatore di dialogo trova più somiglianze che differenze tra le religioni, più motivi di unità che di divisione tra le fedi. Allora, la religione diventa qualcosa di personale e non una realtà ereditata.

3. La promozione dei diritti umani e’il migliore terreno comune tra cristiani e musulmani su cui entrambi possono lavorare ed agire per promuovere una coesistenza pacifica.  Entrambi dobbiamo preoccuparci delle questione sanitaria e della lotta alla fame e all’analfabetismo.

Un aggiornamento del vocabolario religioso ed una riforma dei programmi di insegnamenti religiosi e’ fondamentale. La trasformazione ed il rinnovamento e’ parte della natura. La cultura si sta evolvendo, le mentalità stanno diventando più fini, ed i linguaggi si stanno sviluppando. Dovremmo cercare un nuovo metodo di pensiero ed esistere in uno spirito di “misericordia e nel servizio dell’ amore.” (cfr. Ut Unum sint, 92-93) piuttosto che far ricorso a giustificazioni della situazione attuale. Le religioni dovrebbero ricercare un nuovo linguaggio umano e teologico che parli e tocchi i cuori delle persone, dando un orientamento ed una speranza alla loro vita invece di essere strumenti di violenza a beneficio di pochi. Invito i nostri amici musulmani in Medio Oriente a portare avanti un’ azione comune per una “parola comune”.

4. La riforma della Costituzione: l’islam è religione di stato nelle Costituzioni dei Paesi islamici. Per rendere giustizia alle situazioni ed alla storia, sarebbe necessario un emendamento di queste costituzioni, che garantisca ai cristiani ed alle altre minoranze, che abitano questa terra dagli albori della storia, lo stesso trattamento dei cittadini musulmani. Non ci aspettiamo la tolleranza (“dhimmi”), ma l’uguaglianza. La religione non dovrebbe diventare un criterio di discriminazione dei cittadini. I cristiani sono una minoranza distinta in Medio Oriente, radicata sulla loro terra, dotata di una mente aperta e capacità di dialogo, che ha offerto un grande contributo ai loro paesi in diversi campi della vita, specialmente in quello dell’educazione. 

Infine, invito noi, cristiani, musulmani e yazidi a fermare la logica dei conflitti e della violenza e a sostituirla con la logica del dialogo e della pace, allora tutti avremo un futuro. Io credo fermamente che la soluzione del nostro problema sia un governo federale che possa mantenere l’unità nel paese e possa aiutare.

 

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